L’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi acquisiti
Nel processo tributario, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili a operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti.
Con la sentenza n. 5913 dell’11 marzo, la Corte di cassazione ha così sancito la legittimità dell’accertamento fiscale fondato sui versamenti ingiustificati nei conti bancari dei familiari di un contribuente indagato per corruzione.
Svolgimento del processo
La vicenda trae origine da indagini svolte dalla Guardia di finanza, nel corso di un procedimento connesso a indagini penali, sui conti bancari del contribuente e di alcuni suoi familiari, segnalando gli accreditamenti effettuati su tali conti al competente ufficio finanziario, il quale, per conseguenza, ha proceduto a rettificare il reddito dichiarato dal contribuente intestatario dei conti, considerando le emergenze del verbale istruttorio proventi (illeciti) omessi, così allocandoli tra i redditi diversi di cui all’articolo 81, comma 1, lett. l), del Tuir (redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitata abitualmente o dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere), testo vigente all’epoca dei fatti (oggi articolo 67).
La Commissione tributaria regionale, ribaltando l’esito favorevole al contribuente del primo grado del giudizio, confermava l’operato dell’ufficio, ritenendo i versamenti di cui trattasi allo stesso ascrivibili, sulla base di un ragionamento presuntivo (ex articolo 2729 c.c.) che traeva origine dai seguenti presupposti:
l’ufficio, prima di emanare l’atto di accertamento, aveva notificato un questionario al contribuente per consentirgli di documentare la provenienza delle somme affluite nei conti
il conto intestato alla moglie in origine era cointestato al contribuente medesimo
l’attività accertativa era originata da fatti di reato per corruzione.
Le descritte circostanze portavano all’univoca conclusione, avvalorata da un alto indice probabilistico, che i versamenti affluiti sui conti connessi del contribuente fossero a lui ascrivibili. Tanto più che anche la provenienza del denaro depositato avvalorava un’inferenza abduttiva, logicamente collegabile a una situazione di fatto da cui la presunzione stessa si alimentava. Sostanzialmente, quindi, la circostanza che l’accertamento scaturisca da un’indagine penale per reati di corruzione è un fatto (la situazione base) che contribuisce a creare la presunzione (la circostanza dedotta) sulla quale si è basato l’accertamento (tassazione del bene prodotto, il denaro) (articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr 600/1973).
In ogni caso, la Commissione regionale riteneva incombente sul contribuente l’onere di dimostrare l’estraneità delle somme rispetto ai redditi dichiarati, prova che invece non è stata data.
Avverso la sentenza del riesame viene proposto ricorso per Cassazione ove il contribuente, con una serie articolata di motivi, eccepisce sostanzialmente l’errata valutazione fatta dal giudice dell’appello sull’inversione dell’onere della prova e sull’imputazione delle somme confluite sui conti dei propri familiari, oltre all’illegittima tassazione retroattiva dei proventi (illeciti).
La motivazione ob relationem
La Suprema corte ha innanzitutto disatteso il primo motivo d’impugnazione (con il quale il contribuente lamenta che la sentenza del riesame si sarebbe limitata a recepire acriticamente il processo verbale della Guardia di finanza, senza peraltro essere stato dallo stesso né sottoscritto né mai notificato), osservando, ferma l’incontrovertibilità che non è stata offerta al riguardo una idonea illustrazione delle ragioni dell’inadeguatezza della motivazione per relationem, che la materia (articolo 3, legge 241/1990 e articolo 7, legge 212/2000) è governata dai seguenti principi giuridici, posti a disciplina del rapporto dedotto davanti all’autorità giurisdizionale (cfr Cassazione 3896/2008):
1. L’atto amministrativo d’imposizione tributaria può essere motivato per relationem ad un atto istruttorio del procedimento
2. Il rinvio motivazionale dell’atto amministrativo d’imposizione tributaria ad un atto istruttorio deve essere adeguato
3. L’accertamento giudiziale dell’adeguatezza della motivazione per relationem dell’atto amministrativo d’imposizione tributaria deve essere adeguatamente motivato
4. L’accertamento in sede di giudizio di legittimità dell’adeguatezza della motivazione per relationem dell’atto amministrativo d’imposizione tributaria deve essere specificamente contestato dal ricorrente.
E’ indirizzo non contraddetto, in tema di rettifica delle dichiarazioni dei redditi da parte dell’Amministrazione finanziaria, che la motivazione degli atti di accertamento per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio, in salvaguardia anche dell’articolo 24 della Costituzione (Cassazione 8690/2002, 10205/2003).
Inoltre, in tale ambito, in senso più generale, è ritenuta legittima la considerazione che il rinvio dell’atto amministrativo finale a un atto endoprocedimentale – quale è, ad esempio, proprio il verbale di constatazione – può esser effettuato non solo alle conclusioni, ma anche ai fatti accertati e alle ragioni addotte dagli organi istruttori per giungere alle loro qualificazioni giuridiche dei fatti accertati (Cassazione 7766/2008).
Senza dimenticare poi che l’atto impositivo tributario è il risultato di un processo cognitivo e determinativo, disciplinato dalla legge, imputabile nel suo insieme alla Pubblica amministrazione; l’organo che emana l’atto finale può quindi far proprie le valutazioni di coloro che hanno proceduto alle attività cognitive, senza procedere a ulteriori acquisizioni di dati o provvedere a nuove valutazioni (Cassazione 1236/2006).
Ma anche anteriormente all’entrata in vigore dell’articolo 7 della legge 212/2000, l’avviso di rettifica della dichiarazione Iva non era illegittimo se fondato su verbale di constatazione della Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria (Cassazione 10205/2003).
Il rilievo concernente il thema probandum
In secondo luogo, la Corte ha ribadito il principio secondo cui, in tema di indagini finanziarie, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, ex lege, attraverso i dati e gli elementi emergenti dai conti (Cassazione 4589/2009). Spetta invece al contribuente dimostrare l’estraneità di tali movimentazioni rispetto al reddito dichiarato. Nel caso di specie, comunque, pur trattandosi di conto intestato formalmente a un terzo (il coniuge), vi era il conforto del fatto illecito accertato nel procedimento penale, la corruzione, che lasciava ragionevolmente presumere l’utilizzo di conti di terzi per farvi affluire dette somme illecite.
Peraltro, la Cassazione ha consolidato l’orientamento secondo cui le disposizioni relative agli accertamenti fondati sulle indagini bancarie accordano all’Amministrazione finanziaria una presunzione circa la determinazione dell’imponibile ricostruito sulla base dei dati ed elementi desunti dai conti correnti, anche qualora intestati ai soci della società e rispettivi familiari (Cassazione 7766/2008).
In tali fattispecie, la Suprema corte ha ripetutamente affermato che si verifica un’inversione dell’onere della prova perchè in presenza di accertamenti bancari, ai sensi dell’articolo 51 del Dpr 633/1972 (per l’Iva) e dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 (per le imposte sui redditi), è onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione o perchè egli ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni o perchè non sono fiscalmente rilevanti in quanto non si riferiscono ad operazioni imponibili. Nei casi previsti dalle norme richiamate, pertanto, l’onere dell’Amministrazione di provare la sua pretesa è soddisfatto, per volontà di legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti bancari, per cui resta a carico del contribuente l’onere di provare il contrario, realizzandosi così l’ipotesi di inversione dell’onere della prova, in quanto la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari od operazioni imponibili si correla a una valutazione del legislatore di rilevante probabilità (id quod plerumque accidit) che il contribuente si avvalga di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse e i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività (Cass. n. 4589/2009).In sostanza, (anche) nell’ambito degli accertamenti bancari (recte, finanziari), la presunzione del denaro affluito nei conti rimane fondata se non viene adeguatamente giustificata mediante la “prova di estraneità”.
Salvatore Servidio
Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/contribuente-indagato-corruzione-attaccabili-i-conti-bancari-dei-familiari