Campo fertile per gli individuali non anche per le società di capitali

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La Cassazione ribadisce i requisiti necessari per fruire delle agevolazioni previste per gli imprenditori agricoli
Le agevolazioni concesse, ai sensi dell’articolo 9 del Dlgs 504/1992, agli imprenditori agricoli individuali, non si applicano anche alle società di capitali che svolgono attività agricola, non rientrando queste ultime nella definizione di imprenditore agricolo a titolo principale.

Con la sentenza 5931 dell’11 marzo – che ribalta l’esito del precedente grado di giudizio, il quale riconosceva la natura di imprenditore agricolo a titolo principale a una società di capitali – la Suprema corte ha accolto il ricorso presentato da un Comune piemontese contro un’azienda agricola (Srl), chiudendo dunque definitivamente a favore dell’Ente locale il contenzioso.

La vicenda
Appellandosi al diritto comunitario, l’azienda aveva chiesto il riconoscimento delle agevolazioni previste per l’imprenditore agricolo a titolo principale. La Ctp respingeva il ricorso, e la Ctr riformando affermava che: ai fini Ici, la società esercente attività agricola, aveva diritto a essere considerata per l’anno 1996, quale imprenditore agricolo a titolo principale, dal momento che la qualificazione doveva ritenersi estesa, anche a seguito di intervento della Corte di giustizia, alle persone giuridiche esercenti attività agro-silvo-pastorale, nel testo all’epoca vigente. Inoltre, i giudici di appello aggiungevano che il terreno della società situato in area montana o di collina doveva considerarsi esente dall’imposta comunale sugli immobili (ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera b), Dlgs 504/1992).

La sentenza della Cassazione
Sostanzialmente la Suprema corte, riallacciandosi a quanto già affermato in precedenza in tema di Ici (Cassazione 14145/2009), ha confermato che le agevolazioni previste dall’articolo 9 Dlgs 504/1992 per gli imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale si applicano unicamente agli imprenditori agricoli individuali e non anche alle società di capitali che svolgono attività agricola, non rientrando queste ultime nella definizione di imprenditore agricolo a titolo principale quale risulta delineata dall’articolo 12 della legge 153/1975, attuativa delle direttive Ce nn. 72/159, 72/160 e 72/161 del Consiglio, del 7/4/1972.

Inoltre, i giudici di legittimità hanno precisato come la limitazione agli imprenditori agricoli individuali è stata successivamente ribadita e, anzi, ulteriormente ristretta dall’articolo 58, comma 2, Dlgs 446/1997, mediante la previsione della necessaria iscrizione delle persone fisiche negli appositi elenchi comunali.
Per cui, la definizione applicabile alla fattispecie è risultata quella contenuta nell’articolo12 della legge 153/1975 (versione antecedente alle modifiche introdotte col Dlgs 228/2001), secondo la quale si considerava “a titolo principale l’imprenditore agricolo che dedichi all’attività agricola due terzi del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dall’attività medesima almeno due terzi del proprio reddito globale risultante dalla propria posizione fiscale”, ossia la persona fisica. Riguardo alla quale, l’articolo 12 precisava le caratteristiche, richiedendo, oltre al requisito del reddito, titolo di studio specifico o attività pregressa nel settore.

Il riferimento, poi, fatto alla giurisprudenza (comunitaria, contenuto nella sentenza della Ctr e richiamato dalla società, secondo la quale l’articolo 2, n. 5, del Regolamento Ce n. 797/85, relativo al miglioramento delle strutture agrarie, nella misura in cui conferisce agli Stati membri il compito di definire la nozione di imprenditore agricolo a titolo principale, non consente di escludere da detta nozione le società di capitali per il solo motivo della forma giuridica – Corte di giustizia 18 dicembre 1986 in C-312/85) non si attaglia alla fattispecie. La stessa Corte di giustizia, intervenuta con due successivi arresti in materia tributaria sulla nozione di “imprenditore agricolo a titolo principale”, ha affermato che non è possibile ricavare dalle disposizioni del trattato o dalle norme di diritto comunitario derivato una definizione comunitaria generale e uniforme di “azienda agricola”, valida per tutte le disposizioni di legge e di regolamento concernenti la produzione agricola (Corte di giustizia 15/10/1992 in C-162/91 par. 19), poiché il Regolamento 797/85 riguarda un regime di aiuti agli investimenti nel settore agricolo rigorosamente determinati, mentre altre modalità di aiuti (nella specie agevolazioni tributarie in tema di imposta di registro) riguardano esclusivamente il legislatore nazionale.
Concetto, quest’ultimo, riferibile evidentemente ad altri tributi (e nella specie all’Ici) e ribadito con la sentenza della stessa Corte 11/01/2001 n. 403 in C-403/98, nella quale si afferma che le disposizioni dei Regolamenti comunitari (e, nella specie, quelle dei Regolamenti 797/85 e 2328/91 in materia di aiuti agli investimenti nell’agricoltura) non producono tutte effetti immediati nell’ordinamento nazionale, ma richiedono norme attuative, in assenza delle quali “gli art. 2, n. 5, u.c. del reg. 797/85 e 5 n. 5 u.c. del reg. 2328/91 (che richiedono la parificazione delle persone giuridiche a quelle fisiche nel settore agricolo) non possono essere invocati davanti ad un giudice nazionale da società di capitali al fine di ottenere il riconoscimento dello status di imprenditore agricolo a titolo principale allorché il legislatore di uno Stato membro non ha adottato le misure necessarie per la loro esecuzione nel suo ordinamento giuridico interno”, misure che possono in effetti riscontrarsi nel Dlgs 228/2001, di portata non retroattiva e che richiede comunque, per la società di capitali che svolga attività agricola, requisiti che la contribuente non ha un alcun modo provato – a fronte delle contestazioni di controparte – di possedere.
Si tratta, in sostanza, dell’applicazione del principio della “efficacia verticale” degli obblighi comunitari, che hanno efficacia diretta nell’ordinamento dello Stato membro sempre che siano dettati da norme incondizionate e sufficientemente precise (Cassazione 19771/2009, 23937/2006), mentre la sola previsione di norme attuative – non tempestivamente adottate dallo Stato membro – impedisce al privato di chiederne al giudice nazionale la loro immediata applicazione.

Infine, il supremo Collegio ha chiarito che:
l’edificabilità di un’area va ritenuta per il solo inserimento, come tale, negli strumenti urbanistici, non potendo le eventuali cause di esclusione o di riduzione delle possibilità edificatorie trasformare il terreno edificabile in agricolo, ancorché il proprietario preferisca mantenerne tale ultima destinazione (Cassazione 13817/2003)
la posizione del terreno sito in territorio montano non rileva ai fini dell’esenzione, in quanto l’Ici prevista dal Dlgs 504/1992, articolo 7, comma 1, lettera h), riguarda “i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina”, e non i terreni edificabili che evidentemente esistono anche nei territori di montagna o di collina.
Gabriella Petrone
Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/campo-fertile-gli-individuali-non-anche-le-societa-di-capitali