L’assegno bancario “postdatato”, il quale svolge le funzioni proprie della cambiale, ma sfugge alla relativa tassa sul bollo, non può essere considerato titolo esecutivo, anche se viene successivamente regolarizzato dal punto di vista fiscale.
E’ questo il principio fissato dalla terza sezione civile della Cassazione con la sentenza 3 marzo 2010, n. 5069.
Richiamando la precedente giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, i giudici rammentano come l’esplicita abrogazione della normativa sugli assegni (art. 119 r.d. n. 1736 del 1933), che subordinava l’azione di regresso alla regolarizzazione fiscale presso l’Ufficio del Registro, abbia comportato l’abrogazione implicita del precedente articolo 118, che, a sua volta, subordinava la qualità di titolo esecutivo dell’assegno alla successiva bollatura nel termine prescritto dalla legge.
Precisano i giudici di legittimità che se è vero che la postdatazione non comporta automaticamente la nullità dell’assegno bancario, ma comporta soltanto la nullità del relativo patto per contrarietà a norme imperative, poste a tutela della buona fede e della regolare circolazione dei titoli di credito, consentendo al creditore di esigere immediatamente il suo pagamento; è altrettanto vero che l’assegno postdatato non può valere, però, come titolo esecutivo.
Nel caso di specie, l’opponente aveva anche chiesto il risarcimento, facendo valere l’illegittimità del pignoramento e quindi la responsabilità per fatto illecito di cui all’articolo 2043 del Codice civile.
Il giudice di merito ha rigettato l’opposizione a pignoramento presso terzi, ponendo a fondamento della sua decisione, la norma dell’articolo 31, secondo comma, R.D. n. 1736 del 1933 ed ha escluso la risarcibilità dei danni per fatto illecito.
Peraltro, la richiesta di risarcimento davanti al primo giudice non conteneva alcun riferimento all’articolo 96 Codice di procedura civile, invocato solo in sede di legittimità.
La Cassazione ha confermato che non può essere accolta una richiesta di risarcimento ex articolo 2043 del Codice civile, “fondata sulla mera illegittimità del pignoramento e senza alcun elemento sull’eventuale danno, laddove l’esecuzione è frutto dell’inadempimento dell’opponente”, perché non esiste un principio in base al quale si possa qualificare come illecita la richiesta di pignoramento “da chiunque provenga e comunque posta in essere”.
Il rimedio contro i casi di impignorabilità dei beni, di nullità del pignoramento come atto, di inesistenza del titolo esecutivo, dal quale trae origine il pignoramento stesso, è dato soltanto dalle opposizioni esecutive, nel senso che, nei casi indicati dall’articolo 96 Codice di procedura civile, è consentito all’opponente di fare valere le pretese risarcitorie previste dalla legge nell’ambito del giudizio di opposizione.
La responsabilità processuale per danni ricade, quindi, interamente, in tutte le sue possibili ipotesi, nell’ambito normativo dell’articolo 96 del Codice di rito.
Ma neppure sotto tale profilo (nel caso inammissibile perché sollevato per la prima volta in sede di legittimità), secondo i giudici di legittimità ricorre un’ipotesi di responsabilità aggravata, nel caso si agisca (come nel caso di specie) sulla base di un titolo esecutivo ritenuto valido, quindi, “senza dolo o colpa grave; ma neppure adottando una condotta non contraddistinta da “normale prudenza””.
In conclusione, la Corte ha considerato errata ed ha cassato la decisione di merito per aver posto a fondamento del rigetto dell’opposizione a pignoramento presso terzi, “la irregolarità come titolo dell’assegno, perché postdatato”, facendo riferimento all’articolo 31, secondo comma, R.D. n. 1736 del 1933, senza considerare “la sua qualità di titolo esecutivo”.
Accolti i primi due motivi di ricorso e respinto il terzo con la richiesta di risarcimento, in mancanza di ulteriori accertamenti di fatto, il Collegio ha deciso anche nel merito accogliendo l’opposizione all’esecuzione, stante l’inesistenza di un valido titolo esecutivo.
(Altalex, 23 marzo 2010. Nota di Giuseppe Mommo)