Costituisce reato di truffa contrattuale minimizzare i rischi e non rilevare con dovizia di particolari tutti gli elementi di una operazione finanziaria proposta al cliente.
Così ha stabilito la Suprema Corte con la sentenza 13 novembre 2009, n. 43347 secondo cui la condotta di un funzionario di banca ha integrato, appunto, il reato di truffa contrattuale per la vendita di prodotti finanziari rischiosi (nello specifico si trattava di prodotti finanziari atipici, c.d. swaps) per il cliente, in quanto non gli aveva fornito con completezza ogni elemento utile per l’operazione stessa, traendo, altresì, consapevolmente un vantaggio per conto dell’istituto di credito dalla inesperienza e ignoranza in materia del consumatore.
Nel quadro della tutela del consumatore, talvolta si trascura la rilevanza penale di molte fattispecie pregiudizievoli per i diritti e gli interessi dei singoli.
Tra le fattispecie penali da prendere in considerazione nell’ottica consumerista una delle più rilevanti è quella della c.d. truffa contrattuale.
Si configura il reato di truffa, nella specie di truffa contrattuale, quando il “dolus in contrahendo” si manifesta attraverso artifici o raggiri che, intervenendo nella formazione del negozio, inducono la controparte a prestare il proprio consenso, ovvero quando sussiste un rapporto immediato di causa ad effetto tra il mezzo o l’espediente fraudolentemente usato dall’agente ed il consenso ottenuto dal soggetto passivo, sì che questo risulta viziato nella sua libera determinazione.
Ricorrono, quindi, gli elementi della truffa contrattuale tutte le volte in cui uno dei contraenti pone in essere artifici o raggiri diretti a tacere o a dissimulare fatti o circostanze tali che, se conosciuti, avrebbero indotto la controparte ad astenersi dal concludere il contratto.
Nella sentenza in oggetto, i giudici affermano, altresì, che il reato in oggetto è a “consumazione prolungata, cioè si realizza ogni volta in cui si determina – alla scadenza di ogni contratto sottoscritto dall’investitore – la sua perdita economica con il profitto ingiusto per la banca, mentre la condotta dell’agente perdura, ugualmente, fino alla scadenza di ogni singolo contratto”.
Precedenti giurisprudenziali
Il delitto di truffa, nella forma cosiddetto contrattuale, si consuma non al momento in cui il soggetto passivo, per effetto degli artifici o raggiri, assume l’obbligazione della dazione di un bene economico, ma al momento in cui si realizza il conseguimento del bene da parte dell’agente con la conseguente perdita dello stesso da parte della persona offesa.
(La Corte ha precisato che, ove il bene sia corrisposto in più ratei, il reato si consuma con l’ultimo atto di erogazione)” (cfr. . Cassazione Penale, Sezione II, 11.7.2008, n. 31044; per gli altri precedenti cfr. 14095/2009; 11016/2005).
Reati contro il patrimonio, truffa, momento di consumazione del reato
Poiché la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Ne consegue che, qualora l’oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell’acquisizione da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, Sentenza del 21 giugno 2000, n. 18).
(Altalex, 22 marzo 2010. Nota di Manuela Rinaldi)