Acquisti da società cartiera. Va dimostrata la buona fede

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Detrazione dell’Iva e costi deducibili solo se il contribuente prova l’inconsapevolezza del comportamento illecito
Qualora l’Amministrazione finanziaria contesti l’indebita detrazione dell’Iva o la deduzione dei costi sostenuti per operazioni soggettivamente inesistenti, il contribuente ha l’onere di provare di non aver avuto consapevolezza della falsità ideologica delle fatture emesse a fronte delle operazioni inesistenti. Tale prova, peraltro, non può essere validamente fornita dimostrando che la merce è stata effettivamente ricevuta e ne è stato versato il corrispettivo, trattandosi di circostanze non concludenti.
Lo ha affermato la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 9138 del 16 aprile, ha provveduto a richiamare e chiarire alcuni importanti principi elaborati nel corso degli anni in tema di operazioni inesistenti.

La vicenda
La controversia, sottoposta al giudizio della Suprema corte, ha ad oggetto l’impugnazione, da parte di una società, di un avviso di accertamento, a mezzo del quale l’ufficio finanziario aveva ritenuto indebita la detrazione dell’Iva e la deduzione dei costi in quanto relative a operazioni ritenute soggettivamente inesistenti.

Nei primi due gradi di giudizio veniva confermata la legittimità dell’atto impositivo in quanto i giudici di merito statuivano l’irrilevanza della dimostrazione, da parte della società, che la merce era stata effettivamente ricevuta e che ne era stato effettuato il pagamento.

La società provvedeva, quindi, ad adire la Corte di cassazione eccependo, in particolare, di aver realmente effettuato i pagamenti della merce ricevuta dalla società “cartiera” e di non essere stata a conoscenza della condotta illecita posta in essere dalla società fornitrice. Ulteriormente, la ricorrente rilevava che, avendo l’ufficio svolto le sue contestazioni in materia di detrazione Iva, i costi e i relativi oneri dovevano essere comunque riconosciuti come deducibili dal reddito imponibile essendo stati effettivamente sostenuti.

I principi affermati dalla Corte
I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso del contribuente attraverso un preciso percorso di analisi.
Il Collegio ha, prima di tutto, effettuato un excursus dei numerosi principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di operazioni inesistenti.
In particolare, i giudici di legittimità hanno precisato che:
la nozione di “fattura inesistente” non comprende solo l’ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata, bensì “ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l’ipotesi di inesistenza soggettiva, nella quale, pur risultando i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice, venga accertato che uno o entrambi i soggetti sono falsi” (Cass. 62378/2006)
la nozione di “fattura soggettivamente inesistente” presuppone, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture e, dall’altro, la simulazione soggettiva ossia la provenienza della merce da ditta diversa da quella figurante sulle fatture medesime (Cass. 29467/2008)
nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa al soggetto diverso dall’effettivo cedente/prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta ivi formalmente indicata, ma richiede altresì, che il committente/cessionario, il quale invochi la detrazione, fornisca sul proprio stato soggettivo in ordine all’altruità della fatturazione, riscontri precisi, non limitandosi a sostenere l’avvenuta consegna della merce e il pagamento della stessa nonché dell’Iva riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell’Iva e dei relativi, possibili, abusi (Cass. 1950/2007)
sotto il profilo probatorio, in presenza di elementi probatori forniti dall’ufficio finanziario a sostegno della propria tesi, è onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni, tenendo presente che, in caso di contestazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non rileva la presenza di documenti contabili formalmente regolari o l’effettività delle transazioni.
In applicazione di tali principi, la Suprema corte statuisce che, in caso di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, al committente/cessionario può essere riconosciuto il diritto a detrarre l’Iva “solo a condizione che provi che la controparte venditrice appariva legittimata a ricevere il pagamento dell’Iva in base a circostanze univoche” che, nel caso oggetto della sentenza, non erano state fornite.

Analogamente, sotto il profilo dell’imposizione diretta, il diritto alla deduzione dei costi è possibile solo se emerge chiaramente la buona fede del contribuente. E’ necessario, quindi, che il committente/cessionario dimostri di “non aver avuto consapevolezza della falsità ideologica” delle fatture rilasciate a fronte dell’operazione, vale a dire della diversità tra il soggetto effettivamente cedente e quello indicato nelle fatture. Tale prova, chiariscono i giudici, non può essere validamente fornita soltanto dimostrando che la merce è stata effettivamente ricevuta e ne è stato versato il corrispettivo, “trattandosi di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a mostrare l’inesistenza della frode”.

Considerazioni conclusive
Secondo le statuizioni della Suprema corte, in caso di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, il pagamento della fattura e il relativo versamento dell’Iva danno diritto alla detrazione dell’Iva pagata sugli acquisti e alla deduzione dei costi dal reddito imponibile solo se il fruitore riesce a dimostrare l’estraneità e l’inconsapevolezza della illiceità del comportamento altrui al di là delle apparenze costituite dalla ricezione dei beni o dal versamento del corrispettivo.
In altri termini, grava sul contribuente l’onere probatorio previsto dalla Corte di giustizia Ce per legittimare la detrazione dell’Iva relativa alle fatture soggettivamente inesistenti ricevute dall’interposto: il contribuente deve dimostrare che, anche usando l’ordinaria diligenza, non avrebbe mai potuto comprendere che l’effettivo cedente non era colui che risultava nella fattura (sentenze causa C- 439/04; causa C- 271/06).
Angelina Iannaccone

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/acquisti-da-societa-cartiera-va-dimostrata-la-buona-fede