La sentenza in esame prevede che in caso di licenziamento illegittimo del lavoratore, il risarcimento del danno spettante a quest’ultimo a norma dell’art. 18 legge n. 300 del 1970, commisurato alle retribuzioni perse a seguito del licenziamento fino alla riammissione in servizio, non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall’interessato a titolo di cassa integrazione guadagni.
Anzi, la pronuncia ha affermato e ribadito che il cd. aliunde perceptum non riguarda qualunque somma che il lavoratore abbia percepito dopo la illegittima cessazione del rapporto di lavoro, ma esclusivamente gli importi la cui corresponsione sia in qualche modo collegata al mancato svolgimento della prestazione lavorativa e che pertanto incidano, limitandolo o eliminandolo, sul danno provocato dalla corrispondente mancata percezione della retribuzione. Le somme percepite dal lavoratore ingiustamente licenziato a titolo di trattamento previdenziale e pensionistico non sono in alcun modo ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e di contribuzione stabiliti dalla legge, e si sottraggono pertanto all’operatività della regola della “compensatio lucri cum damno”, con la conseguenza che le relative somme non possono configurarsi come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore detraibile dall’ammontare del risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro, in quanto la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento, facendo venir meno il presupposto del pensionamento, travolge ex tunc lo stesso diritto dell’assicurato alla prestazione previdenziale e lo espone all’azione di ripetizione dell’indebito da parte del soggetto erogatore della pensione. La regola della c.d. “compensatio lucri cum damno”, d’altra parte, non può configurarsi neanche allorchè, eccezionalmente, la legge deroghi ai requisiti del pensionamento, anticipando, in relazione alla perdita del posto di lavoro, l’ammissione al trattamento previdenziale, sicchè il rapporto fra la retribuzione e la pensione si ponga in termini di alternatività , nè allorchè il medesimo rapporto si ponga invece in termini di soggezione a divieti più o meno estesi di cumulo tra la pensione e la retribuzione, posto che in tali casi la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento travolge “ex tunc” il diritto al pensionamento e sottopone l’interessato all’azione di ripetizione di indebito da parte del soggetto erogatore della pensione, con la conseguenza che le relative somme non possono configurarsi come un lucro compensabile col danno, e cioè come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore.
(Altalex, 26 aprile 2010. Nota di Rocchina Staiano)
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