Accertamento possibile qualora la contabilità, pur formalmente corretta, possa essere considerata inattendibile
E’ legittimo l’accertamento analitico-induttivo nel caso in cui la società, nell’ambito di operazioni infragruppo, abbia tenuto un comportamento inspiegabilmente “antieconomico”. Lo ha sancito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11154 del 7 maggio 2010.
Svolgimento del processo
La pronuncia si riferisce a un avviso di accertamento Irpeg e Ilor, emesso nei confronti di una società per azioni. I verificatori della Guardia di Finanza avevano concluso l’attività istruttoria mediante la consegna alla spa di un pvc con il quale veniva contestata l’omessa applicazione e rilevazione in contabilità di interessi attivi di mora, su crediti vantati nei confronti di alcune società facenti parte del medesimo gruppo.
Il conseguente ricorso in Ctp veniva respinto; al contrario, la Ctr accoglieva l’appello della spa, sulla base della considerazione che gli interessi di mora (che agli atti non risultavano ancora percepiti) dovevano essere contabilizzati al momento del loro effettivo incasso.
Avverso tale decisione, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione.
Il ricorso per cassazione
A parere dell”Agenzia delle Entrate, tra l’altro, la sentenza della Ctr violava l’articolo 56 del Tuir (ante riforma del 2004). In particolare, la spa, operante nel settore dell’intermediazione finanziaria, aveva addebitato a un’altra società, facente parte del gruppo, interessi di mora al tasso del 18% relativi a un credito non onorato alla scadenza pattuita. La stessa spa, però, non aveva addebitato e rilevato nelle scritture contabili gli interessi attivi di mora nei confronti di altre società del medesimo gruppo che si trovavano in analoga posizione debitoria nei suoi confronti.
Conseguentemente, l’Agenzia aveva fondato la pretesa tributaria eccependo un comportamento “antieconomico ed irragionevole”, tale da consentire l’accertamento del maggior reddito ai fini Irpeg e Ilor mediante la ripresa a tassazione dei componenti positivi di reddito (interessi di mora) non addebitati ai clienti e non rilevati nel conto economico.
La pronuncia della Corte
La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
A giudizio della Corte, gli interessi attivi e passivi relativi a crediti e debiti derivanti da operazioni infragruppo devono essere contabilizzati secondo il criterio di competenza economica (interessi maturati nell’esercizio) e non in base a quello di cassa (interessi percepiti o pagati).
Il rispetto della regola contabile indicata è funzionale alla redazione delle scritture contabili e del bilancio d’esercizio secondo i “principi di trasparenza” previsti dall’articolo 2423 del codice civile, in base al quale “Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio”.
La Corte ha affermato che non assume alcun rilievo il fatto che i rapporti di credito e debito, da cui scaturiscono gli interessi, intercorrano tra società del medesimo gruppo.
Inoltre, l’accertamento induttivo emanato dall’Amministrazione finanziaria è valido in quanto l’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, consente lo stesso pur in presenza di scritture formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente inattendibile. Inattendibilità che può sussistere quando non si rispettano regole fondamentali di ragionevolezza, a causa, ad esempio, di un comportamento manifestamente e inspiegabilmente antieconomico.
Osservazioni conclusive
La Cassazione ha sottolineato l’importanza del rispetto del principio di competenza economica ai fini della rilevazione in contabilità dei costi e ricavi d’impresa, compresi gli interessi di mora, indipendentemente dal momento dell’effettiva percezione o pagamento.
Un corretto comportamento contabile è funzionale alla redazione del bilancio di esercizio secondo i principi di trasparenza sanciti dall’articolo 2423 del codice civile. Trasparenza che non deve venir meno nel caso di rappresentazione contabile delle operazioni intercorse tra società appartenenti al medesimo gruppo.
In tale ambito, molte operazioni tra due o più compagini societarie possono essere “a somma zero” in relazione al risultato economico complessivo del gruppo (ad esempio, il costo per una società rappresenta specularmente il ricavo per l’altra); in tal caso, le operazioni possono rappresentare una compensazione tra reciproche posizioni di debito e di credito (“partite di giro”).
Nonostante ciò, ogni società deve distintamente rilevare i componenti positivi e negativi derivanti dalle operazioni infragruppo.
In particolare, ogni singola operazione di natura commerciale (ad esempio, acquisto di materie prime da una società del gruppo), se posta in essere perché giustificata da precise scelte imprenditoriali dei soggetti coinvolti, deve essere correttamente rappresentata in contabilità da ciascuna società, indipendentemente dal risultato complessivo dell’operazione.
Sarà, pertanto, legittimo l’accertamento del Fisco se nell’ambito delle attività istruttorie si rilevano comportamenti palesemente antieconomici, che disattendono i principi sanciti dall’articolo 2423 del codice civile e che sono volti a non far emergere la reale natura di una o più operazioni aziendali, con particolare riferimento a quelle infragruppo.
Giovanni Bagni