di Gianni Pittella, Vicepresidente del Parlamento Europeo, Bruxellese Paolo Garonna, Università Luiss G.Carli e Ania, Roma
La crisi ha colpito al cuore dell’Europa. Ma attenzione a non scambiare causa ed effetti e a non perdersi nelle specificità e nei dettagli. La crisi dell’Euro infatti non è che il secondo atto di una crisi più ampia, iniziata nel 2008; e sarà seguita da altri episodi e sviluppi. I problemi quindi della Grecia, dei PIGS, dell’Euro, dell’indebitamento pubblico, della governance economica dell’Unione, ecc., sono problemi reali e urgenti, ma sono anche epifenomeni di una malattia più profonda, che è globale e sistemica, e richiederà quindi soluzioni globali e sistemiche. Gli squilibri fondamentali dell’economia mondiale, che sono alla base dell’instabilità e della turbolenza sistemica, sono stati scalfiti di poco – dobbiamo ammetterlo- dalla risposta alla prima ondata della crisi. Permangono infatti gli eccessi di risparmio delle economie emergenti e gli eccessi di debito in quelle industrializzate, i surplus e i deficit nelle bilance commerciali e dei pagamenti, a cominciare da quella degli USA. L’indebolimento dell’Euro, da cui trarranno beneficio le esportazioni nette dell’Europa, non va nella direzione del riequilibrio, ma anzi accentuerà gli squilibri. Le politiche monetarie espansive e i bassi tassi d’interesse rischiano di alimentare bolle e tensioni inflazionistiche, mentre le prospettive di crescita nell’area OCSE restano modeste e incerte.L’Europa quindi è solo parte di un problema più vasto. Anzi l’Europa rappresenta rispetto alla crisi un’opportunità, lo stimolo a cercare vie di uscita innovative, la ricerca di una direzione di marcia sostenibile. Il caso della Grecia ha mostrato quanto sia pericoloso interrompere o rallentare i processi di integrazione: fermarsi in sella alla bicicletta, anche solo per alleviare qualche stanchezza può farci cadere o far marcia indietro. Meglio continuare a pedalare. Nella concitazione e nei compromessi che hanno segnato le decisioni, e le indecisioni, dell’Unione si
possono leggere significativi “cambi di marcia” che lasciano ben sperare per il futuro.Anzitutto, il fondo europeo di stabilizzazione deciso a Bruxelles il 10 maggio scorso, o meglio lo special purpose vehicle, consente di emettere Eurobond garantiti dagli Stati membri. Supera quindi i tradizionali meccanismi bilaterali e intergovernativi, e impone un primo timido trasferimento di sovranità fiscale alle istanze comunitarie. In secondo luogo, si prevede il rafforzamento dei meccanismi di sorveglianza, monitoraggio e sanzione previsti dal trattato di Maastricht.Infine la disponibilità annunciata dalla BCE ad intervenire sui mercati acquistando titoli del debito pubblico marca un nuovo orientamento della politica monetaria, sensibile a sostenere in caso di emergenza le ragioni dello sviluppo, senza perciò compromettere in linea di principio l’indipendenza dell’Istituto di emissione. Insomma, ritardi compromessi e lentezze non devono farci
perdere di vista il salto qualitativo realizzato dall’Europa nella impostazione degli interventi anti-crisi.Da un altro canto non possiamo permetterci di indulgere in nessun autocompiacimento. Perchè le misure proposte funzionino davvero, E’ necessario procedere ulteriormente con coraggio e determinazione sulla via intrapresa, intensificando tempi e misure del risanamento finanziario e delle riforme strutturali. Occorrerà in particolare consolidare la capacità di manovra fiscale dell’Unione, finalizzandola non solo ad operazioni di emergenza salvataggio e stabilizzazione, ma anche al sostegno della crescita e delle ristrutturazioni produttive. Per compensare gli effetti deflattivi delle strategie di consolidamento fiscale, l’Unione dovrebbe riprendere ed aggiornare l’ipotesi di Delors sugli investimenti pubblici europei, investimenti produttivi in infrastrutture, ricerca e formazione.Restano certo le preoccupazioni comprensibili dei
tedeschi, ma vi sono ragioni fondate per superarle. In sintesi, il trasferimento di competenze fiscali a livello dell’Unione Europea può, e deve, rappresentare un trampolino di lancio per realizzare un nuovo modello di sviluppo e crescita economica a livello nazionale, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato, sulla sussidiarietà, sulla snellezza amministrativa, sul decentramento. La riuscita della exit strategies nel medio termine dipenderà molto da questo nuovo
modello di sviluppo e in particolare dal rilancio della partnership pubblico privato, tanto a livello europeo che nazionale. Vi è una ricchezza importante sui mercati che può essere indirizzata al finanziamento di progetti strategici europei. E’ necessario infine procedere speditamente al completamento del mercato unico, specialmente nei servizi, alla semplificazione delle regole, a far funzionare bene i mercati. Se l’Europa riuscirà in questi ambiziosi obiettivi, e deve
farlo per fronteggiare la crisi, essa darà un contributo rilevante anche sul piano internazionale, alla riforma del FMI, alla stabilizzazione della finanza globale, alla liberalizzazione del commercio internazionale (Doha round). La lezione del mercato unico e dell’Unione economica e monetaria vale dunque non solo in Europa e per l’Europa, ma nel mondo e per la leadership europea nella governance globale.