Ancora disavanzi nei bilanci sanitari di alcune regioni, sempre le solite. Ma a quanto possono ammontare i risparmi di spesa non sfruttati? Nessuno lo sa con certezza, ma una stima per le regioni a statuto ordinario mostra che per quasi tutte il valore medio dell’inefficienza risulta sensibilmente più elevato negli ultimi anni. Forse è l’effetto della crescita delle aspettative di salvataggio da parte del governo centrale. E i risparmi potenziali di spesa pro capite più consistenti sono proprio in quelle con i conti in disordine. Cosa accade se il governo riduce i trasferimenti.
La storia si ripete: la sanità regionale ha cumulato anche nel 2009 più di 4 miliardi di euro di disavanzi, sostanzialmente concentrati in poche regioni, come negli ultimi anni. Tre dei quattro miliardi sono infatti dovuti ai conti di Lazio, Campania e Calabria, tre regioni che ricorrono spesso nelle cronache degli ultimi anni per le difficoltà finanziarie. La storia potrebbe però avere un finale (forse) diverso rispetto al passato. Il governo ha infatti deciso nei giorni scorsi di non utilizzare i famosi Fondi per le aree sottoutilizzate (Fas) per ripianare i disavanzi di Campania, Lazio, Molise e Calabria, “graziando” invece Sicilia e Abruzzo. Per le regioni con i conti non in regola si richiede un nuovo piano di rientro, in assenza del quale scatterebbe un aumento delle aliquote delle imposte regionali. Seguendo la logica delle teorie economiche sul federalismo fiscale, sono infatti i cittadini delle regioni in rosso – responsabili di aver eletto politici inadatti a gestire le finanze regionali – che si devono sobbarcare il costo della loro decisione improvvida.
SPESA EFFICIENTE PER LA SALUTE DEI CITTADINI
Naturalmente, perché la “punizione” possa funzionare come incentivo a migliorare, è necessario presupporre che ci siano effettivamente risparmi di spesa non sfruttati. E dall’evidenza aneddotica che abbiamo, raccolta anche dalle commissioni parlamentari di inchiesta, gli sprechi di risorse sembrano diffusi, più o meno in tutte le regioni, con carattere endemico in alcune. Ma quanti sono i quattrini che si potrebbero ragionevolmente risparmiare alla luce dei dati che abbiamo a disposizione? Aldilà degli aneddoti, nessuno ovviamente lo sa con certezza. Èpossibile tuttavia provare a “stimare” l’inefficienza regionale attraverso moderne tecniche di benchmarking disponibili in letteratura.
Esercizi di questi tipo sono diffusi nel settore della sanità, anche su dati italiani. (1) E ce ne saranno altri ancora non appena si cercherà di rendere operativa la legge 42/2009. Qui riportiamo i risultati di un esercizio sulle regioni a statuto ordinario nel periodo 1993-2006. (2)
Ma è necessaria una considerazione preliminare: l’individuazione dell’obiettivo perseguito dai sistemi sanitari regionali. Èbene osservare che non si tratta affatto di un esercizio retorico: dall’analisi dei piani sanitari regionali sembra infatti evidente che nella gran parte dei casi non c’è una visione strategica nella gestione delle risorse. (3) Aldilà di qualche parola chiave (l’equità, l’efficienza, l’efficacia), evidentemente senza troppo significato, in molte regioni non si sa da dove si parte né dove si vuole arrivare. Immaginiamo quindi di attribuire ai Ssr l’obiettivo di garantire un certo livello di salute per i cittadini al minor costo possibile. Si tratta di un obiettivo plausibile alla luce della legge 833/78 che ha istituito il Ssn. E a partire da questo obiettivo ci chiediamo qual è la spesa efficiente (standard) necessaria per garantire quel dato livello di salute.
A questo punto dobbiamo però affrontare un secondo problema: come misuriamo la salute dei cittadini? A livello internazionale, si utilizzano spesso due indicatori: l’aspettativa (media) di vita alla nascita e il tasso di mortalità infantile. Sulla base di questi indicatori, nel periodo in esame, i Ssr hanno effettivamente contribuito a migliorare la salute: secondo i dati Istat, campiamo di più (da 80 a 84 anni per le donne, da 74 a 78 per gli uomini) e la mortalità infantile si è ridotta (da 8,1 a 3,7 bimbi morti per mille nati sani). Naturalmente con differenze, talvolta marcate, tra regioni.
Partendo dall’obiettivo di minimizzazione del costo di produzione della salute e utilizzando il tasso di mortalità infantile come proxy per misurare la salute, possiamo ora provare a “stimare” l’inefficienza, ovvero la percentuale di spesa sanitaria regionale in eccesso rispetto a quella minima necessaria per garantire un certo stato di salute ai cittadini, tenendo anche conto di altre variabili che possono influenzare la salute medesima, come il livello di istruzione, la spesa sanitaria privata, la composizione per sesso ed età delle popolazioni regionali. Si noti che questi risultati sono robusti rispetto alla specificazione della variabile di “output”, dal momento che valori analoghi di inefficienza si ottengono utilizzando l’aspettativa di vita alla nascita come indicatore per lo stato di salute. (4) Poiché il modello di frontiera di spesa stimato include anche un controllo per le caratteristiche peculiari delle singole regioni invarianti nel tempo (gli “effetti fissi”, come si dice in gergo, che catturano l’eterogeneità non osservata imputabile a fattori geografici, economici, culturali, ecc.), i valori di inefficienza risultanti vanno interpretati come spesa “in eccesso” rispetto all’inefficienza “strutturale”: in altre parole, riflettono il minimo risparmio conseguibile. Si potrebbe ragionevolmente risparmiare ancora di più intervenendo su alcuni fattori strutturali che condizionano la “posizione” (elevata) della frontiera, in modo particolare per le regioni del Sud.
Fonte: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001724.html