di Francesco Giavazzi
Il progetto tedesco di introdurre il pareggio di bilancio quale condizione per l’appartenenza all’euro è sbagliato per due motivi. Primo, non funzionerà, e quando ce ne renderemo conto la credibilità dell’euro subirà un ulteriore colpo: non ce n’era bisogno. Secondo, distrae dal vero problema dell’Europa, che è la crescita, non la finanza pubblica. Ciò non significa che ridurre la spesa pubblica e la dimensione degli stati sociali non sia una priorità in Europa. Ma se si sceglie di farlo occorre farlo in modo credibile e non velleitario, caratteristiche che mancano al progetto della signora Merkel.
PERCHÉ NON FUNZIONERÀ
Il progetto è poco credibile a cominciare da chi lo propone. Fu proprio la Germania (insieme alla Francia), nel 2005, a imporre una modifica delle regole del Patto di stabilità al fine di non dover essere costretta a pagare la multa prevista per i paesi che violano quelle regole. Né è credibile la minaccia dell’espulsione dall’euro nel caso un paese non rispetti il vincolo del pareggio di bilancio. La Germania ha accettato di salvare la Grecia mettendo a rischio la credibilità della Bce: sarebbe davvero pronta a espellere l’Italia dall’euro se violassimo il pareggio di bilancio?
L’esperienza di simili regole introdotte da altri paesi ricordano che i vincoli di bilancio raramente funzionano. La legge proposta dai senatori Gramm, Rudman e Hollings negli Stati Uniti prevedeva limiti alla spesa con la facoltà di tagliare automaticamente capitoli del bilancio federale nel caso il vincolo aggregato venisse violato. La legge ebbe vita difficile: fu necessario modificarla già nel 1987, quando la Corte Suprema dichiarò incostituzionali alcuni dei tagli introdotti e soprattutto contribuì solo marginalmente al contenimento del deficit federale (1). Gli Stati Uniti raggiunsero il pareggio di bilancio, ma non grazie a questa legge, bensì all’accelerazione della crescita dopo la metà degli anni Novanta.
Quelli che invece spesso funzionano sono i limiti ai bilanci dei singoli stati degli Stati Uniti, con due cautele (2). Innanzitutto, molti stati escludono dal vincolo del bilancio in pareggio le spese per investimenti pubblici che possono essere finanziati in deficit tramite l’emissione di obbligazioni direttamente collegata all’opera pubblica finanziata. In secondo luogo, anche questi vincoli, se necessario, vengono violati. La California, ad esempio, sta finanziando un disavanzo di parte corrente emettendo Iou, cioè promesse di pagamento che i californiani accettano come se fossero vere e proprie obbligazioni dello stato.
Ciò che pare funzionare non sono i vincoli, ma le procedure. Nel caso italiano, ad esempio, una svolta la si ottenne quando si fece precedere la presentazione della Legge finanziaria da una risoluzione parlamentare che fissava ex-ante il massimo deficit ammissibile. Gli studi di Jurgen von Hagen sulle procedure seguite da vari paesi confermano che hanno effetti reali significativi (3). Nella stessa direzione si muove la proposta di Charles Wyplosz di introdurre comitati di esperti incaricati di produrre un’opinione sulla qualità della Legge finanziaria (4). La proposta è vicina a quanto deciso la scorsa settimana dal governo di David Cameron che ha introdotto un Office for Budget Responsibility presieduto da Sir Alan Budd con il compito di produrre previsioni indipendenti sugli effetti delle leggi di bilancio.
UN PAREGGIO DISCUTIBILE
Vi sono altri tre aspetti che rendono la proposta del pareggio di bilancio discutibile e in ogni caso di difficile attuazione. Innanzitutto, il pareggio di bilancio inclusa la spesa per interessi è asimmetrico: impone tagli tanto maggiori quanto più elevato è il debito pubblico. In paesi ad alto debito pareggiare il bilancio significa far scendere il rapporto debito-Pil a un tasso tanto più elevato quanto maggiori sono l’inflazione e lo stock di debito. L’esperienza storica mostra che i paesi che hanno ridotto il loro debito, lo hanno fatto gradualmente nel tempo: accelerazioni sono avvenute solo in occasione di default (5).
In secondo luogo, non è detto che pareggiare il bilancio corrente sia sempre la strategia giusta. Oggi ad esempio, una politica fiscale espansiva è necessaria per far fronte alla crisi. Come ripete da molti mesi il Fondo monetario internazionale (Fiscal strategies after the global crisis), per stabilizzare il debito occorre intervenire non sul deficit corrente, ma sui deficit futuri, in particolare sulle spese legate all’invecchiamento della popolazione. Concentrarsi sul pareggio di bilancio oggi potrebbe essere una distrazione costosa. Potrebbe aggravare la crisi e non far nulla per i deficit futuri.
Infine, ed è forse l’aspetto più importante, pareggiare il bilancio senza spiegare come, può essere molto pericoloso. Stretto da un vincolo di bilancio e dalla minaccia di espulsione dall’euro un paese potrebbe essere indotto ad alzare le tasse. L’esperienza irlandese del 1982 e poi del 1987 e gli studi di Alerto Alesina e Silvia Ardagna mostrano che le stabilizzazioni fiscali costruite su aumenti delle tasse di solito falliscono.
Ma il rischio maggiore è che la proposta tedesca sposta l’attenzione dal problema centrale dei paesi dell’euro, che è la crescita. Stati Uniti e Gran Bretagna uscirono dalla seconda guerra mondiale con rapporti debito-Pil superiori al 150 per cento. In quindici anni li ricondussero vicini al 50 per cento e ciò fu possibile grazie alla crescita di quei decenni. Il Giappone cerca da venti anni di ridurre il proprio debito, senza mai riuscirci. Con una crescita media vicino a zero il rapporto debito-Pil giapponese è salito al 200 per cento. Ciò che spesso si dimentica è che il rapporto debito-Pil è appunto un rapporto: lavorare sul numeratore senza preoccuparsi degli effetti che ciò ha sul denominatore può dar luogo a spiacevoli sorprese, come è accaduto nel caso giapponese.
Tutto ciò non significa che il Patto di stabilità non debba essere rivisto. Ma va fatto in modo intelligente, riconoscendo che da un debito elevato si esce in un paio di generazioni, non in un paio di anni, che per uscire occorre ridurre la spesa, non aumentare le tasse e che non tutte le spese sono uguali: ridurre le spese collegate all’invecchiamento della popolazione ha effetti diversi da un taglio alle infrastrutture. E infine che introdurre comitati indipendenti autorevoli è una soluzione più intelligente che affidarsi a tagli automatici. Un “comitato indipendente autorevole” l’Europa già lo possiede: sono gli uffici della Commissione. Nella vicenda greca la commissione ha evidentemente fallito. Occorre capire perché e chiedersi che fare per evitare che ciò si ripeta.
Fonte: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001728.html