Golden share: l’Italia sempre più vicina all’Unione Europea

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Il nostro Paese si mette in regola sul fronte della “golden share”, bloccando la procedura di infrazione avviata dall’Unione Europea. E’ stato infatti pubblicato in Gazzetta Ufficiale 21 maggio 2010, n. 117 il decreto del Presidente del Consiglio che modifica la disciplina contenuta all’interno dell’art. 1, comma 2, del D.P.C.M. 10 giugno 2004, che consentiva al Ministro del Tesoro l’esercizio di poteri speciali in relazione a Eni S.p.a., società del Gruppo Stet, società del Gruppo Enel e Finmeccanica S.p.a..
La modifica abroga, in particolare, i poteri speciali che erano stati introdotti a garanzia, tra l’altro, dell’approvvigionamento nazionale dei prodotti petroliferi ed energetici, della garanzia del livello minimo di servizi di telecomunicazione e di trasporto, a tutela di situazioni che potevano configurare grave ed effettivo pericolo per la difesa nazionale.
Cos’è la golden share
Golden share (letteralmente “azione dorata”) è un istituto, di origine britannico, introdotto a partire dagli anni ’90, con il quale uno Stato, nel corso, o a seguito, di un procedimento di privatizzazione di un’azienda pubblica, si riserva poteri speciali che possono essere esercitati dal Governo durante tale procedimento.
Tra questi poteri possiamo, a titolo esemplificativo, ricordare: a) il potere di riservare allo Stato un certo quantitativo di capitale sociale; b) il potere di nominare un membro del Governo all’interno del Consiglio di amministrazione della società; c) il potere di attribuire, a tale membro, poteri più ampi rispetto ad altri componenti dell’organo di governo dell’impresa.
L’istituto non prevede la percentuale minima di azioni che lo Stato deve detenere all’interno della società per poterla esercitare, con la conseguenza che potrebbe ritenersi sufficiente anche solo il possesso di un’unica azione (ovviamente simbolica) per conferire allo Stato il potere di intervenire nel novero delle strategie dell’impresa, indipendentemente dal fatto che l’opera di privatizzazione sia completata ([i]).
Il quadro normativo italiano
Per quanto attiene al nostro ordinamento giuridico, il quadro normativo in tema di golden share è rappresentato, in particolare, dall’art. 2, D.L. 31 maggio 1994, n. 332, convertito con Legge 30 luglio 1994, n. 474 e modificato ad opera della Legge 350/2003, nonché dal D.P.C.M. 10 giugno 2004, che ha provveduto a definire i criteri di esercizio dei poteri speciali, così come disciplinati nella normativa di cui sopra.
L’art. 2 (Poteri speciali) del decreto legge del 1994 dispone:
“1. Tra le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia, e degli altri pubblici servizi, sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell’economia e finanze, di intesa con il Ministro delle attività produttive, nonché con i Ministri competenti per settore, previa comunicazione alle competenti Commissioni parlamentari, quelle nei cui statuti, prima di ogni atto che determini la perdita del controllo, deve essere introdotta con deliberazione dell’assemblea straordinaria una clausola che attribuisca al Ministro dell’economia e delle finanze la titolarità di uno o più dei seguenti poteri speciali da esercitare di intesa con il Ministro delle attività produttive:
a) opposizione all’assunzione, da parte dei soggetti nei confronti dei quali opera il limite al possesso azionario di cui all’articolo 3, di partecipazioni rilevanti, per tali intendendosi quelle che rappresentano almeno la ventesima parte del capitale sociale rappresentato da azioni con diritto di voto nelle assemblee ordinarie o la percentuale minore fissata dal Ministro dell’economia e delle finanze con proprio decreto. L’opposizione deve essere espressa entro dieci giorni dalla data della comunicazione che deve essere effettuata dagli amministratori al momento della richiesta di iscrizione nel libro soci, qualora il Ministro ritenga che l’operazione rechi pregiudizio agli interessi vitali dello Stato. Nelle more di decorrenza del termine per l’esercizio del potere di opposizione, il diritto di voto e comunque quelli aventi contenuto diverso da quello patrimoniale, connessi alle azioni che rappresentano la partecipazione rilevante, sono sospesi. In caso di esercizio del potere di opposizione, attraverso provvedimento debitamente motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato dall’operazione agli interessi vitali dello Stato, il cessionario non può esercitare i diritti di voto e comunque quelli aventi contenuto diverso da quello patrimoniale, connessi alle azioni che rappresentano la partecipazione rilevante e dovrà cedere le stesse azioni entro un anno. In caso di mancata ottemperanza il tribunale, su richiesta del Ministro dell’economia e delle finanze, ordina la vendita delle azioni che rappresentano la partecipazione rilevante secondo le procedure di cui all’articolo 2359-ter del codice civile. Il provvedimento di esercizio del potere di opposizione è impugnabile entro sessanta giorni dal cessionario innanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio;
b) opposizione alla conclusione di patti o accordi di cui all’articolo 122 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nel caso in cui vi sia rappresentata almeno la ventesima parte del capitale sociale costituito da azioni con diritto di voto nell’assemblea ordinaria o la percentuale minore fissata dal Ministro dell’economia e delle finanze con proprio decreto. Ai fini dell’esercizio del potere di opposizione la CONSOB informa il Ministro dell’economia e delle finanze dei patti e degli accordi rilevanti ai sensi del presente articolo di cui abbia avuto comunicazione in base al citato articolo 122 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998. Il potere di opposizione deve essere esercitato entro dieci giorni dalla data della comunicazione effettuata dalla CONSOB. Nelle more di decorrenza del termine per l’esercizio del potere di opposizione, il diritto di voto e comunque quelli aventi contenuto diverso da quello patrimoniale dei soci aderenti al patto sono sospesi. In caso di emanazione del provvedimento di opposizione, debitamente motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato dai suddetti accordi o patti agli interessi vitali dello Stato, gli accordi sono inefficaci. Qualora dal comportamento in assemblea dei soci sindacali si desuma il mantenimento degli impegni assunti con l’adesione ai patti di cui al citato articolo 122 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, le delibere assunte con il voto determinante dei soci stessi sono impugnabili. Il provvedimento di esercizio del potere di opposizione è impugnabile entro sessanta giorni dai soci aderenti ai patti o agli accordi innanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio;
c) veto, debitamente motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato agli interessi vitali dello Stato, all’adozione delle delibere di scioglimento della società, di trasferimento dell’azienda, di fusione, di scissione, di trasferimento della sede sociale all’estero, di cambiamento dell’oggetto sociale, di modifica dello statuto che sopprimono o modificano i poteri di cui al presente articolo. Il provvedimento di esercizio del potere di veto è impugnabile entro sessanta giorni dai soci dissenzienti innanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio;
d) nomina di un amministratore senza diritto di voto.
1-bis. Il contenuto della clausola che attribuisce i poteri speciali è individuato con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con i Ministri del bilancio e della programmazione economica, e dell’industria, del commercio e dell’artigianato.
2. Ai soci dissenzienti dalle deliberazioni che introducono i poteri speciali di cui al comma 1, lettera c), spetta il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 2437 del codice civile.
3. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle società controllate, direttamente o indirettamente da enti pubblici, anche territoriali ed economici, operanti nel settore dei trasporti e degli altri servizi pubblici e individuate con provvedimento dell’ente pubblico partecipante, al quale verranno riservati altresì i poteri previsti al comma 1”.
L’art. 1 del D.P.C.M. 10 giugno 2004, recante “Definizione dei criteri di esercizio dei poteri speciali, di cui all’art. 2 del D.L. 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 1994, n. 474” (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 giugno 2004, n. 139), è stato stabilito che:
“1. I poteri speciali di cui all’art. 2 del decreto-legge n. 332 del 1994, sono esercitati esclusivamente ove ricorrano rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale, in particolare con riferimento all’ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla sanità pubblica e alla difesa, in forma e misura idonee e proporzionali alla tutela di detti interessi, anche mediante l’eventuale previsione di opportuni limiti temporali, fermo restando il rispetto dei princìpi dell’ordinamento interno e comunitario, e tra questi in primo luogo del principio di non discriminazione.
2. (comma abrogato dal comma 1 dell’art. 1, D.P.C.M. 20 maggio 2010) I poteri speciali di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 332 del 1994, ferme restando le finalità indicate allo stesso comma 1, sono esercitati in relazione al verificarsi delle seguenti circostanze:
a) grave ed effettivo pericolo di una carenza di approvvigionamento nazionale minimo di prodotti petroliferi ed energetici, nonché di erogazione dei servizi connessi e conseguenti e, in generale, di materie prime e di beni essenziali alla collettività, nonché di un livello minimo di servizi di telecomunicazione e di trasporto;
b) grave ed effettivo pericolo in merito alla continuità di svolgimento degli obblighi verso la collettività nell’àmbito dell’esercizio di un servizio pubblico, nonché al perseguimento della missione affidata alla società nel campo delle finalità di interesse pubblico;
c) grave ed effettivo pericolo per la sicurezza degli impianti e delle reti nei servizi pubblici essenziali;
d) grave ed effettivo pericolo per la difesa nazionale, la sicurezza militare, l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica; e) emergenze sanitarie].
3. Al fine di garantire la proporzionalità delle misure adottate, i poteri speciali di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 332 del 1994, potranno essere esercitati anche in forma condizionata. Il potere speciale di cui alla lettera c) potrà essere esercitato sia in relazione alle delibere assunte dall’assemblea degli azionisti che in relazione alle delibere degli organi di amministrazione”.
La posizione della Corte di Giustizia
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 26 marzo 2009, C-326/07 ha giudicato incompatibili con la normativa comunitaria i poteri speciali detenuti dallo Stato italiano in Telecom Italia, Eni, Enel e Finmeccanica, accogliendo le conclusioni della Commissione Europea, che nel giugno 2006 aveva deferito l’Italia alla Corte di Strasburgo per la violazione degli articoli 56 e 43 del Trattato CE ([ii]).
In particolare, secondo la Commissione, la violazione della normativa richiamata, da parte del nostro Paese, consisterebbe nel fatto che il decreto del 2004 non specificherebbe in modo sufficiente i criteri di esercizio dei “poteri speciali”, non permettendo agli investitori di conoscere le situazioni in cui detti poteri verranno utilizzati.
Per utilizzare le parole della Corte: “La Repubblica italiana, avendo adottato le disposizioni di cui all’art. 1, comma 2, d.p.c.m. 10 giugno 2004, recante definizione dei criteri di esercizio dei poteri speciali [attribuiti dal possesso della c.d. golden share], di cui all’art. 2 d.l. 31 maggio 1994 n. 332, convertito, con modifiche, dalla l. 30 luglio 1994 n. 474, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti: — in forza degli art. 43 Ce e 56 Ce, nella misura in cui dette disposizioni si applicano ai poteri speciali previsti dall’art. 2, comma 1, lett. a) e b), predetto decreto legge, come modificato dalla l. 24 dicembre 2003 n. 350, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004), e — in forza dell’art. 43 Ce, nella misura in cui dette disposizioni si applicano al potere speciale previsto dal citato art. 2, comma 1, lett. c)”.
Come ha evidenziato accorta dottrina, é bene ricordare come il decreto del 2004 indica che i poteri speciali debbano esercitati nel rispetto dei principi dell’ordinamento interno e comunitario, e tra questi, in primis, del principio di non discriminazione. Devono ricorrere, quindi, «circostanze di grave pericolo di carenza di approvvigionamento nazionale minimo di prodotti petroliferi ed energetici, di materie prime e di beni essenziali alla collettività, nonché di servizi di telecomunicazione e di trasporto di servizi pubblici, pericoli per la difesa nazionale, la sicurezza militare, l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, emergenze sanitarie». Secondo la Commissione, però, e la Corte ha confermato la pertinenza dell’osservazione, l’uso dei poteri speciali previsti dalla normativa italiana per raggiungere tali obiettivi è «eccessivo», i criteri per l’esercizio di questi poteri sono «vaghi e di portata indeterminata» e, di conseguenza, conferiscono alle autorità «ampi poteri discrezionali nel giudicare i rischi per gli interessi vitali dello Stato» ([iii]).
(Altalex, 4 giugno 2010. Nota di Simone Marani)
Fonte: http://www.altalex.com/index.php?idu=143290&cmd5=ac265b1bc42e01dbe234216e9f6c78ee&idnot=11239