di Lukas Plattner
È stato da poco presentato dal ministro dell’Economia francese Christine Lagarde un prezioso rapporto, redatto da Fabrice Demarigny, ex segretario generale del Cesr, destinato a sostenere la richiesta del governo francese alla Commissione Europea di predisporre un nuovo quadro normativo volto a rianimare la quotazione di imprese di piccole e medie dimensioni sui mercati regolamentati (ed evitare la loro fuga dai mercati).
VENTI RACCOMANDAZIONI CONTRO IL DELISTING
La Francia è, peraltro, all’avanguardia in questo campo, avendo già dato vita a una disclosure semplificata e a una governance più snella per le cosiddette Vamp, ossia gli emittenti di valeurs moyennes et petites, e preme da tempo per introdurre specifiche esenzioni a livello comunitario sempre in tema di governance. (1)
Il rapporto, che ha già raccolto il sostegno del commissario al Mercato interno Michel Barnier eil giudizio favorevole del presidente del Cesr Eddy Wymeersch, formula ben venti raccomandazioni basate su alcuni principi chiave: (a) creazione di una definizione di Pmi quotata; (b) rilassamento delle norme in tema di raccolta di capitali (prospetto semplificato) e di disclosure; (c) regime agevolato per la presentazione delle situazioni contabili; (d) applicazione Ifrs semplificati; (e) incremento dei flussi di risparmio verso le Pmi; (f) creazione di un piattaforma paneuropea per accrescerne la liquidità (con le borse nazionali come punto di ingresso per l’ammissione alle negoziazioni su base domestica ed europea).
Come messo in luce da un studio della Commissione europea, volto a misurare l’impatto sulle Ipo delle direttive in tema di mercati finanziari, il problema è attuale (e grave) in quanto, negli ultimi anni, nell’Unione Europea si è assistito a una costante diminuzione di nuove quotazioni e a un altrettanto costante aumento dei delisting. (2)
Un fenomeno, questo, che colpisce anche il nostro paese se solo si considera che negli ultimi quindici anni il numero di società quotate è rimasto pressoché invariato: poco meno di 300 unità contro le 700 tedesche, le mille francesi e le 3mila inglesi.
La principale ragione della fuga, accanto alla situazione congiunturale certamente non favorevole, è stata individuata negli alti costi legati all’entrata e alla permanenza su di un mercato regolamentato, che sono oramai largamente percepiti, in primis dalle stesse Pmi, come superiori (e dissuasivi) rispetto ai relativi benefici e, quindi, non giustificabili.
UN NUOVO REGIME PER LE SMILE
La tendenza è stata, purtroppo, ancor più marcata per le Small and Medium-sized Issuers Listed in Europe (Smile). (3) Ciò rappresenta un fattore estremamente negativo per l’economia nel suo complesso, considerato che per tali imprese il mercato dei capitali, soprattutto nel corso di una crisi finanziaria, rimane forse l’unica valida alternativa per accedere a forme di finanziamento a lungo termine. Oltretutto, nel momento in cui le aziende di grandi dimensioni tagliano gli investimenti in ricerca e sviluppo, è vitale per l’innovazione che le Pmi abbiano la possibilità di finanziarsi sul mercato dei capitali. E ricordiamo che le piccole e medie imprese rappresentano il 99,8 per centodei 20 milioni di imprese non finanziarie dell’Unione Europea, impiegano il 67,4 per cento della forza lavoro e, secondo dati della Bce, solo l’1 per cento ha fatto appello al pubblico risparmio. In Italia, peraltro, le Pmi sono oltre 4 milioni pari al 99,9 per cento del totale e occupano circa l’80 per cento degli addetti.
Le Smile necessitano di un regime normativo proporzionato alle loro dimensioni, che comporti l’applicazione di oneri (e costi) minori. Oggi, sono soggette a una disciplina identica a quella applicabile alle Blue Chip e pertanto eccessivamente dispendiosa, e ciò sebbene, diversamente dalle Blue Chip, le Smile non siano portatrici di alcun rischio sistemico.
Inoltre, occorre tenere conto del fatto che le Smile sono state penalizzate dall’attuazione della direttiva Mifid, la quale ha portato a una concentrazione degli scambi e della liquidità sui titoli delle Blue Chip e sui relativi indici. Dagli ultimi dati disponibili, risulta che il 93 per cento delle società quotate, costituito da emittenti a capitalizzazione ridotta, beneficia solo del 7 per cento della liquidità, il che – sottolinea il rapporto Demarigny – ha accentuato il rischio che si possa verificare, nel medio termine, una desertificazione dei mercati, che potrebbero ritrovarsi a essere composti unicamente da Blue Chip.
Per invertire la tendenza negativa, occorre (a breve) un intervento riformatore volto a favorire la raccolta di capitali da parte delle Pmi e ciò soprattutto sui mercati regolamentati, che a differenza di quelli non regolamentati (i quali svolgono comunque una funzione più che meritevole quando ben organizzati e gestiti), offrono ancora maggiori garanzie quanto a tutela degli investitori e liquidità. Sotto quest’aspetto, il 2010 può rappresentare un anno cruciale per innovare tale settore, in quanto è in programma la revisione della direttiva Prospetto, della direttiva Transparency, della direttiva sugli abusi di mercato e della Mifid.
Merita un accenno la situazione degli Stati Uniti, ove il processo di semplificazione è partito da lungo tempo, nel 1992, e dove per ragioni analoghe alle small and mid caps è stato concesso un regime agevolato in tema di filing e di informazione continua. Nel 2007 è intervenuta un’ulteriore deregulation (Smaller Reporting Company Regulatory Relief and Simplification), la quale, come messo in evidenza da un recente ricercaempirica rispetto al primo periodo di applicazione, ha avuto il pregio di sortire degli effetti netti più che positivi per gli emittenti interessati. È stato rilevato, tra l’altro, che le imprese di minori dimensioni preferiscono adottare un regime informativo attenuato – il che fa ritenere che la riduzione dei costi di produzione delle informazioni rappresenti un elemento di rilievo – e che il livello di indebitamento è (positivamente) correlato all’adozione di una disclosure semplificata: le imprese maggiormente indebitate con il sistema bancario tendono a diffondore minori informazioni al mercato in quanto i creditori hanno comunque accesso alle informazioni di cui necessitano.
La speranza è che le raccomandazioni indicate nel rapporto Demarigny siano senza indugio prese in considerazione dalla Commissione europea e, successivamente, da parte del Parlamento europeo e del Consiglio e che venga creato in tempi brevi un ambiente di quotazione funzionale alle piccole e medie imprese. Come messo in luce dallo stesso Demarigny, la protezione degli investitori non viene in alcun modo scalfita dalle numerose raccomandazioni formulate nel rapporto, che sono anzi modellate avendo proprio a mente la tutela del mercato. Si pensi alla richiesta di avere prospetti più chiari, precisi e coincisi, in modo da agevolare le scelte di investimento o di istituire gestori professionali dedicati a tale segmento, che possano favorire e filtrare l’incontro tra domanda (risparmiatori) e offerta (Smile). Occorre anche considerare, in ogni caso, che le Smile interessate dal regime agevolato rappresentano poco meno del 7 per cento della capitalizzazione e degli scambi a livello comunitario e perciò non rappresentano né un rischio di mercato né un rischio sistemico. Peraltro, non si può non notare che il numero di imprese di piccole e medie dimensioni revocate dal listino dal 2001 a oggi nel nostro paese perché versano in situazioni di crisi finanziaria o patrimoniale non sembra destare eccessive preoccupazioni: si tratta di solo diciassette società, con un picco negli anni 2004 e 2005 in cui sono state revocate complessivamente dieci società.
Fonte: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001760.html