La prova del conferimento dell’incarico a un professionista, alla tenuta delle scritture contabili e alla presentazione della dichiarazione dei redditi, non è condizione sufficiente a tenere il contribuente al riparo dalle sanzioni eventualmente irrogate in seguito alla mancata osservanza del mandato.
Questa è la conclusione della Cassazione, contenuta nelle ordinanze 12472 e 12473, depositate lo scorso 21 maggio. L’intero processo si è occupato delle contestazioni del socio di una Snc avverso un avviso di accertamento e sanzioni, scaturito in conseguenza degli inadempimenti del consulente.
La Suprema corte ha cassato (con rinvio) la sentenza, emessa dal collegio di grado inferiore, con la quale il ricorrente era stato “salvato” dalle sanzioni, proprio per l’affidamento del settore amministrativo e fiscale della società al commercialista. La Cassazione ha censurato tale conclusione, puntualizzando che la responsabilità del contribuente non si configura solo nei casi di dolo ma anche di colpa; nel caso di specie, quest’ultima era ravvisabile nell’omissione di ogni controllo, da parte del contribuente sul mandatario, in ordine alla effettiva esecuzione dell’incarico conferito. Nella pronuncia non è mancato il riferimento a un precedente responso (Cassazione, sentenza n. 22890/2006) che, indicando i riferimenti normativi negli articoli 5, Dlgs 472/1997, e 3, legge 689/1981, aveva rimarcato la presunzione di colpa a carico del contribuente (salvo l’onere di provare, da parte sua, di aver agito senza colpa), escludendo nel contempo la rilevabilità d’ufficio di una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa. Le ordinanze 12472 e 12473, pur mantenendo fermo tale principio, sembrano affermare, neanche tanto implicitamente, anche l’ulteriore obbligo per il contribuente del controllo sull’esecuzione del mandato conferito. Queste, infatti, statuiscono che “poiché ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, la violazione delle norme tributarie suscettibile di sanzione da parte della legge richiede che il comportamento addebitato sia posto in essere con dolo o anche con colpa, il contribuente a cui venga contestata la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e l’omessa tenuta delle scritture obbligatorie non può considerarsi esente da colpa per il solo fatto di avere incaricato un professionista delle relative adempiente, dovendo egli altresì allegare e dimostrare, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di avere svolto atti diretti a controllare la loro effettiva esecuzione, prova nel concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento”. E’ doveroso evidenziare che la decisione assume una certa “complementarietà soggettiva” con la n. 9916, depositata il 26 aprile 2010 dalla terza sezione della Suprema corte, che – in ossequio al principio di osservanza degli obblighi di diligenza che sono prescritti in capo allo stesso professionista – aveva confermato la legittimità della condanna del professionista al pagamento della metà delle sanzioni applicate dall’Erario, avendo tale soggetto (in quel caso) contabilizzato costi privi di documentazione e oneri non riguardanti l’anno della dichiarazione redditi del cliente. Così, in via del tutto sostanziale e in linea con una apprezzabile tutela dell’interesse erariale, l’effetto delle ordinanze crea un interesse, sia in capo al contribuente sia al professionista, al vicendevole controllo sul regolare espletamento degli obblighi tributari. Ben vero, mentre le decisioni in commento hanno rilevato il profilo giurisprudenziale della colpa cosiddetta “in vigilando” del cliente, la sentenza n. 9916/2010 aveva invece sottolineato che, ai fini dell’esonero della responsabilità del professionista, “a nulla rilevava il fatto che il cliente tenesse in modo disordinato la contabilità”. In altre parole, le conseguenze di una “culpa in vigilando”, da un lato, e del mancato rispetto degli obblighi di correttezza e lealtà professionale previsti dalla normativa vigente e dal codice di deontologia professionale, dall’altro, formano quindi due facce di una stessa medaglia: il comune interesse del contribuente e del professionista a esercitare, entrambi correttamente, gli adempimenti di carattere fiscale.
Antonino Russo