Penalmente rilevanti le omissioni nella dichiarazione annuale e non quelle commesse nel periodo d’imposta
Il reato di omesso versamento delle ritenute d’acconto operate sugli stipendi dei dipendenti si consuma con la scadenza della presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta, a nulla rileva che la normativa tributaria preveda altri termini, cui sono invece collegate solo le sanzioni fiscali. A chiarirlo è la sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 25875 del 7 luglio 2010.
Il fatto
Un contribuente, rappresentante legale di una società a responsabilità limitata, aveva omesso di versare per l’anno 2004, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta, le ritenute operate sugli stipendi dei dipendenti. Era incorso, così, nella violazione che prevede la reclusione da sei mesi a due anni per chiunque non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta (articolo 10-bis del Dlgs 74/2000).
Su questa base veniva riconosciuta la colpevolezza dell’imputato sia in primo grado sia in appello.
Nel corso del procedimento penale le difese dell’imputato evidenziavano che la normativa fiscale prevede l’obbligo di versare le ritenute d’acconto entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui sono state operate, ai sensi dell’articolo 8 del Dpr n. 602/1973. Ne conseguiva, secondo tale impostazione, che la maggior parte delle omissioni erano state commesse nell’anno 2004, fatta eccezione per i versamenti relativi alle ritenute del mese di dicembre di quello stesso anno. Poiché il reato era entrato in vigore dal primo gennaio 2005, ai fini della responsabilità penale occorreva far riferimento esclusivamente alle somme del mese di dicembre 2004, il cui ammontare complessivo non raggiungeva però la soglia prevista dalla legge per la punibilità.
In sostanza, secondo la difesa del contribuente, il termine per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto di imposta, previsto dalla normativa fiscale, individua solo una condizione di punibilità della condotta omissiva, che invece si perfeziona con l’omesso versamento delle ritenute entro il termine stabilito dalla normativa tributaria (il giorno 16 del mese successivo a quello in cui vengono operate).
L’imputato propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale. Denuncia violazione di legge e vizi di motivazione e insiste nel riproporre la tesi secondo la quale la condotta omissiva si è verificata anteriormente alla efficacia della norma incriminatrice, con la conseguente inapplicabilità delle sanzioni penal-tributarie entrate in vigore successivamente. Il contribuente conclude affermando che una diversa interpretazione contrasterebbe con il principio della irretroattività delle norme penali sancito dagli articoli 2 del Codice penale e 25 della Costituzione.
La decisione della Cassazione
La Suprema corte ha respinto il ricorso.
Per comprendere appieno la trama argomentativa delle motivazioni della sentenza n. 25875/2010, occorre osservare che il nuovo testo delle norme penali in materia di imposte dirette e Iva ha abrogato la precedente legge 516/1982 e, con essa, le disposizioni che qualificavano come reato le condotte omissive dei sostituti di imposta.
Punto incontroverso della vicenda è che non vi alcuna continuità normativa tra l’articolo 10-bis del Dlgs 74/2000 e le norme incriminatrici previgenti. Infatti, la fattispecie di cui all’articolo 2 della legge 516/1982 (di conversione del Dl 429/1982), che sanzionava penalmente l’omesso versamento delle ritenute d’acconto operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, non è stata più ripetuta come illecito. Il Dlgs 74/2000, in sostanza, ha diversamente disciplinato la materia dei reati tributari non figurando fattispecie di reato in continuità normativa rispetto a quella abrogata (cfr Cassazione, sentenze nn. 3603/2000, 3714/2000 e 12918/2000).
Tanto premesso, la Corte passa ad analizzare la specifica figura delittuosa in esame, osservando che gli elementi che la caratterizzano sono precipuamente:
1. la condotta, che può essere commissiva o omissiva
2. l’elemento psicologico e l’evento, salvo che si tratti di reati di pura condotta (si ricorda che questi ultimi si perfezionano con il compimento di una data azione o omissione).
La fattispecie in esame è strutturata secondo lo schema dei reati di pura omissione: la condotta si concreta, infatti, nel mancato versamento all’erario delle ritenute operate e certificate entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta.
Tale reato è punibile esclusivamente a titolo di dolo: nessun rilievo può assumere, di conseguenza, il mancato versamento delle ritenute riconducibile a una dimenticanza o a mera negligenza (considerata la natura di reato omissivo proprio, non sembra configurabile il tentativo). L’elemento soggettivo è strutturato nella forma del dolo “generico”, consistendo nella semplice coscienza e volontà di omettere il versamento delle ritenute certificate nel periodo d’imposta: ai fini della configurazione del reato è dunque necessario che il sostituto sia consapevole di aver rilasciato la certificazione e, volutamente ometta il versamento delle somme trattenute per un ammontare superiore alla soglia prescritta dal legislatore.
A differenza delle altre figure criminose disciplinate dal Dlgs 74/2000, la nuova norma incriminatrice non richiede, quale presupposto per affermare la responsabilità del soggetto agente, il dolo specifico di evasione.
Alla luce delle espresse considerazioni di ordine normativo, la Suprema corte afferma che tra la fattispecie penale prevista dall’articolo 10-bis del Dlgs 74/2000 e quella dell’inadempimento dell’obbligo di versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti prevista dalla normativa tributaria (articolo 8, Dpr 602/1973, alla quale sono connesse sanzioni di natura esclusivamente amministrativa: articoli 13 e 14 del Dlgs 471/1997) corre assoluta autonomia, e non sono affatto coincidenti tra loro, in quanto diversa è la condotta omissiva e diverso è il termine per l’adempimento. Infatti:
* la norma tributaria si riferisce alle ritenute operate mensilmente e fissa quale termine per il versamento delle stesse all’erario il giorno sedici del mese successivo
* la norma penale ex art. 10-bis ha a oggetto le ritenute complessivamente operate nell’anno d’imposta, cui si riferisce la soglia di punibilità fissata dalla norma (cinquantamila euro), e prevede quale termine per l’adempimento quello stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta (30 settembre dell’anno successivo).
Di conseguenza, in quest’ultimo caso, con il maturare di tale scadenza, si verifica l’eventus damni per l’erario previsto dalla fattispecie penale.
In tale contesto a nulla rileva l’inadempimento già verificatosi agli effetti fiscali, mentre della condotta omissiva propria del reato – cioè, il manato versamento delle ritenute afferenti all’intero anno di imposta – si protrae fino alla scadenza del termine del 30 settembre (secondo la normativa vigente ratione temporis), che coincide con la data di commissione del reato.
Nella prima parte della disposizione si legge, infatti, che è punito con la reclusione chiunque non versa “entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta”.
Naturalmente, tra le due fattispecie, pur autonome nella loro struttura, sussiste comunque un nesso di reciproco compendio, nel senso che la scadenza del termine per il versamento delle ritenute fiscali non fa venir meno l’obbligazione tributaria, in quanto è la permanenza di quest’ultima, considerata nel suo complessivo ammontare in riferimento all’anno d’imposta, a essere configurata come reato in relazione all’ulteriore scadenza fissata per il pagamento.
La consumazione del reato
L’impostazione interpretativa che si presenta sincronica con l’impianto generale ispiratore della riforma dei reati tributari. Considera, infatti, penalmente rilevanti non tanto le omissioni commesse durante il periodo di imposta, quanto il mancato versamento in occasione della dichiarazione annuale.
In ultima analisi, il caso trattato non concerne l’inosservanza della normativa fiscale, autonomamente sanzionata ai fini amministrativi (articoli 13 e 14 del Dlgs 471/1997). L’evento dannoso del comportamento omissivo penalmente perseguito si verifica, di conseguenza, con la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto di imposta (coincidente, per l’anno in contestazione, con il 30 settembre 2005).
Ne consegue che detto termine deve considerarsi di consumazione del reato e non di condizione di punibilità. Pertanto, anche gli omessi versamenti del 2004 sono rilevanti, in quanto il reato viene a intendersi commesso, in realtà, il 30 settembre 2005, con la presentazione del modello 770.
Non di poco conto è, infatti, la circostanza che il legislatore abbia fissato – con coerenza logica e sistemica – il momento consumativo del delitto su base annua, avuto riguardo al “termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta”.
Coerentemente con la filosofia del decreto legislativo 74/2000, non viene penalmente colpito il comportamento prodromico, fosse pure quantitativamente sufficiente a superare la soglia minima di punibilità. Ne deriva anche che omessi versamenti di ritenute certificate di volta in volta nel corso del “periodo d’imposta”, anche se complessivamente superiori a cinquantamila euro, non integrano il delitto di cui all’articolo 10-bis fino a che non sia decorso inutilmente il termine di presentazione della dichiarazione annuale.
In conclusione, tali ragioni – di segno contrario a quelle manifestate dall’imputato – escludono che nel caso trattato possa concretizzarsi la paventata violazione del principio della irretroattività della norma penale.
Salvatore Servidio
Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/mancato-versamento-delle-ritenute-delitto-allo-scoperto-nel-770