di Stefano Castriota e Marco Delmastro
In un periodo di drammatiche turbolenze, l’Europa cerca di muoversi verso regole di spesa più rigorose e controlli più efficienti ma, purtroppo, continua a impiegare le proprie risorse in modo inutile, se non dannoso. L’agricoltura, in particolare, rimane un settore in cui gli interventi comunitari sembrano spesso il frutto di pressioni lobbistiche piuttosto che di misure finalizzate ad aumentare l’efficienza.
UN REGOLAMENTO PER IL VINO
Il regolamento Ce 479/2008 relativo all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo persegue l’ambizioso obiettivo di ridurre gli sprechi e uniformare il mercato europeo del vino, rendendolo più efficiente, trasparente e competitivo. (1)
Le misure intraprese sono molteplici, alcune delle quali lodevoli, altre, invece, assai più discutibili. Tra le prime, annoveriamo l’eliminazione dei sussidi destinati alla distruzione delle eccedenze, il sostegno agli investimenti delle aziende, la verifica del rispetto dei disciplinari di produzione affidata non più ai consorzi bensì a soggetti terzi e le misure volte a garantire la tracciabilità del prodotto. (2)
Tra quelle negative figurano, il nuovo sistema di classificazione Vdt/Igp/Dop, nonché la normativa sui diritti d’impianto, reimpianto ed estirpazione dei vigneti che limita fortemente l’impianto di nuovi vigneti e fornisce premi per estirpare quelli già esistenti. (3) L’intera normativa spinge verso un contenimento della produzione con l’obiettivo di aumentare il livello medio dei prezzi e sostenere il reddito degli agricoltori, come riportato chiaramente nel regolamento. (4)
Anche volendo condividere, e non lo facciamo, gli obiettivi delle misure, che tralasciano totalmente di considerare il benessere dei consumatori, il problema risiede nel fatto che l’Unione Europea non è un’economia chiusa e non ha più l’esclusiva della produzione del vino. “Nuovi” produttori (in primis, Australia, Cile, Sud Africa, Argentina e Stati Uniti) stanno invadendo con i loro prodotti i mercati mondiali, il che tende a vanificare gli effetti della strategia comunitaria di contenimento della produzione in ambito europeo. Il tutto nonostante il costo considerevole sopportato dall’Unione che ha stanziato più di un miliardo di euro per il triennio 2009-2011 per incentivare l’estirpazione di vigneti spesso improduttivi.
Non sarebbe meglio lasciar funzionare il mercato? Col tempo i produttori peggiori uscirebbero spontaneamente dal mercato e vi sarebbero maggiori risorse da destinare all’innovazione delle aziende più competitive e desiderose di puntare sulla qualità. Il tentativo del legislatore comunitario di riequilibrare “d’ufficio” domanda e offerta in un’economia ormai globalizzata appare costoso e inutile.
SOLUZIONI SEMPRE ATTUALI
Nonostante il sistema economico stia cambiando velocemente, i problemi, e le relative soluzioni, non sembrano mutare in modo sostanziale nel corso del tempo. In un articolo apparso sull’Economic Journal, Charles Gide analizzava in modo lucido e puntuale le cause della crisi del mercato vitivinicolo francese. L’autore rilevava come, secondo molti economisti, la causa principale del crollo del prezzo del vino fosse l’eccesso di produzione, e non esiste allora soluzione migliore che affidarsi all’antica legge della domanda e dell’offerta: il calo dei prezzi indurrà alcuni agricoltori ad abbandonare la coltivazione della vite e ciò porterà a un riequilibrio tra domanda ed offerta.
Secondo l’autore, però, la vera radice del problema non era l’eccesso di produzione, bensì la carenza di domanda, questione ben più seria. (5) Si può, infatti, limitare per legge la produzione di vino, ma non si può certo imporre ai singoli individui di incrementare il consumo di bevande alcoliche. Secondo Gide, per ristabilire un equilibrio tra domanda e offerta, i viticultori avrebbero dovuto restringere spontaneamente la propria produzione, puntando sulla qualità e non sulla quantità. Ebbene, l’articolo di Gide è stato pubblicato nel 1907..(6)
A cent’anni di distanza, alcuni osservatori restano dell’opinione che si debba offrire una via d’uscita agli imprenditori che non riescono più a essere competitivi, aiutandoli a riconvertire la produzione. In realtà, l’entità degli incentivi per ettaro (da 1.740 a 14.760 euro una tantum a seconda della resa) non sembra essere tale da spingere un imprenditore ad abbandonare la propria attività a meno che questa non sia fortemente in perdita, nel qual caso l’estirpazione avverrebbe anche senza alcun incentivo monetario.
In sostanza, abbiamo l’ennesimo aiuto di stato alla lobby degli agricoltori nell’ambito di una politica agricola comune (Pac) che da oltre cinquant’anni persegue quale obiettivo principale il sostegno dei redditi degli agricoltori a scapito dei consumatori e assorbe metà del bilancio dell’Unione Europea, sottraendo risorse preziose ad altri investimenti più strategici.
Ad ogni modo, è inutile illuderci: in un contesto caratterizzato dal costante calo dei consumi domestici e dalla crescente concorrenza internazionale, non saranno certo le restrizioni all’offerta e i premi all’estirpazione a risolvere l’annoso problema dello squilibrio tra domanda e offerta. Dopo oltre cento anni, ne dovremmo quantomeno prendere atto.
Fonte: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001841.html