Un amministratore delegato che viene dall’esterno e un direttore generale interno, scelto fra i quattro deputy ceo. Secondo quanto risulta all’Adnkronos, potrebbe essere questo lo schema più adatto per assicurare equilibrio alla soluzione che si sta cercando per la successione di Alessandro Profumo. La scelta appare infatti delicata e le variabili da considerare sono diverse. Scontato il requisito del gradimento dei soci, c’è da considerare la conformazione dell’azionariato di Unicredit: ci sono gli investitori arabi, i privati, i tedeschi e le Fondazioni, ognuna con una differente rivendicazione territoriale. Altrettanto dirimente sarà il via libera di Bankitalia e Tesoro che, pur senza interferenze dirette, saranno consultati dal presidente Dieter Rampl. Sarà tenuta in debita considerazione la prevedibile ricaduta in termini di giudizio da parte del mercato e, quindi, le ripercussioni sull’andamento del titolo. Per queste ragioni, nonostante le comprensibili pressioni per una chiusura della partita in tempi rapidi, il primo criterio di selezione resta quello della competenza, per privilegiare la qualità e assicurare al gruppo una guida che sia in grado di raccogliere la pesante eredità di un banchiere del calibro di Profumo. Proprio la necessità di preservare gli ingranaggi di una macchina ‘paneuropeà, che non può permettersi di girare a vuoto in una eventuale fase di transizione, suggerirebbe di valorizzare la scuola di management cresciuta alle spalle dell’amministratore delegato. Oggi, infatti, pur senza sottovalutare il vuoto lasciato dall’uscita di Profumo, Unicredit è una banca che può marciare senza contraccolpi grazie al lavoro della sua prima linea di manager. E anche chi dovesse essere chiamato dall’esterno avrebbe tutto l’interesse a non disgregare quello che all’interno già funziona. Per questo, la figura di un direttore generale che sia in grado di condurre la macchina potrebbe rivelarsi una scelta lungimirante.