Ha sfiorato i 26mila euro la retribuzione media dei lavoratori dipendenti nel 2009, 500 euro in più del 2008. La crescita, in linea con quanto registrato negli anni precedenti, è stata così del 2,0%. Certo la crisi si è fatta sentire sulle famiglie: la riduzione del numero dei percettori di reddito, provocata dall’aumento della disoccupazione, ha prodotto infatti un calo del reddito lordo delle famiglie pari al –1,4%.
Le prospettive per il 2010, comunque, sono di un miglioramento del quadro complessivo, soprattutto per quanti – giovani e meno giovani – possono contare su un diploma o una laurea. Perché nel 2010 le imprese, per agganciare la ripresa, investiranno sempre di più sulle risorse umane qualificate sia in termini di assunzioni, sia in termini di crescita e motivazione delle risorse umane già presenti in azienda. Questi alcuni dei risultati del Rapporto “Domanda di lavoro e retribuzioni nelle imprese italiane”, realizzato da Unioncamere insieme a OD&M Consulting, società specializzata in indagini nell’ambito dei sistemi incentivanti e delle politiche retributive, e con il contributo di Gi Group, primo gruppo italiano nei servizi per il mercato del lavoro. Lo studio contiene tra l’altro un approfondimento specifico su come le imprese si stanno comportando per agganciare la ripresa, effettuato attraverso una ricerca che ha interessato 211 aziende con la collaborazione dell’Associazione Italiana per la Direzione del Personale (AIDP).
Nel dettaglio, il Rapporto mostra che:
Nel 2009, la retribuzione media degli occupati alle dipendenze è ammontata a 25.980 euro: 500 euro in più del 2008, pari a +2,0%.
E’ aumentato, anche se di poco, il differenziale tra i salari percepiti da uomini e donne, passando dal 12,8 al 13% a favore degli uomini. Uomini e donne hanno percepito rispettivamente 27.130 e 24.010 euro, con variazioni del +2,0% e del +1,9% rispetto al 2008.
L’incremento delle retribuzioni nominali nell’ultimo anno ha beneficiato di un aumento meno accentuato dei prezzi al consumo, pari al +0,8%. Questo indice, in forte calo rispetto al 2008 (quando ha raggiunto il +4,8%), ha subito una forte decelerazione a causa della contrazione dei consumi (-1,9%), dovuta non alla flessione dei salari individuali reali (che al contrario sono aumentati di un punto in più rispetto all’indice dei prezzi), ma alla contrazione della massa retributiva, provocata in primo luogo dalla riduzione degli occupati e, per quanti hanno beneficiato degli ammortizzatori sociali, dalla differenza tra l’importo unitario di questi ultimi e la retribuzione percepita in precedenza.
Per agganciare la ripresa, quest’anno, come già nel 2009, le imprese si sono dimostrate più caute nel procedere a nuove assunzioni ma molto attente al profilo professionale da integrare in azienda. Per il 2010, infatti, la quota di assunzioni previste sul totale destinata ai laureati dovrebbe raggiungere il 12,5% (era l’11,9% nel 2009 ed il 10,6% nel 2008); la domanda di diplomati, invece, dovrebbe rappresentare addirittura il 44% delle assunzioni totali nel 2010 (era il 42,4% nel 2009 ed il 40,5% nel 2008).
La crescente domanda di occupati con titoli di studio elevati, già evidenziata nel 2009, ha avuto un chiaro effetto sugli incrementi retributivi – generalmente superiori alla media – dei profili professionali più elevati: +2,5 e +2,7% l’aumento della retribuzione di dirigenti e quadri; +2% quello delle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione; +2,2% quello delle retribuzioni dei laureati specialistici e +2,5% quello dei laureati triennali fino a 29 anni.
Vale la pena sottolineare che, comunque, l’investimento in istruzione ripaga nel tempo: la differenza retributiva media tra un lavoratore laureato e un lavoratore con il solo titolo della scuola dell’obbligo ha raggiunto nel 2009 il 68% a vantaggio del primo. Il “salto” retributivo vero si incontra comunque tra il salario medio di un diplomato (26.760 euro) e quello di un laureato (38.440): la “forbice” tra i due profili è infatti pari al 44% in più per quanti hanno un titolo universitario. La laurea, infatti, è davvero un investimento a lungo termine. La retribuzione di un laureato aumenta del 180% da inizio a fine carriera, mentre l’incremento per un diplomato è pari all’88%: se un giovane ventiquattrenne che ha appena conseguito il titolo di laurea specialistica percepisce in media 23.350 euro l’anno, superati i 50 anni ne prenderà oltre 65mila.
Non tutti i salari sono comunque aumentati nel 2009. Alcuni lavoratori, infatti, o per una diversa valutazione “di mercato” del loro profilo oppure per una contrazione della parte “variabile” dello stipendio (quella legata al raggiungimento dei risultati piuttosto che alla durata dell’orario di lavoro), hanno registrato nel 2009 una riduzione dello stipendio annuo. Le figure professionali con la retribuzione in calo sono state complessivamente 2.444 (alle quali corrispondono 2,8 milioni di lavoratori). Tra queste figurano alcune professioni tecnico-scientifiche (specialisti di scienze matematiche, fisiche, naturali; ingegneri, architetti e professioni simili; specialisti in scienze umane, sociali e gestionali e professioni tecniche nell’amministrazione nelle attività finanziarie e commerciali) e alcuni profili low skill (professioni non qualificate dell’agricoltura, operatori di macchinari fissi in agricoltura e nell’industria alimentare e le professioni non qualificate nelle attività commerciali e nei servizi).
Nel 2009, e per il terzo anno consecutivo, gli aumenti retributivi dell’industria sono stati superiori a quelli dei servizi: 25.550 euro nell’industria e 26.430 nei servizi, con una variazione annua del +2,1% nel primo caso e del +1,8% nel secondo. Il settore nel quale si registra il maggior incremento è l’agricoltura, con il +3,1% annuo. Fra le attività industriali, l’incremento più sostenuto si è avuto nelle costruzioni (+2,9%), ma hanno superato il 2% anche i salari del tessile-abbigliamento, cartario-poligrafico, chimico-petrolifero, poligrafico-cartario-editoriale e delle apparecchiature elettroniche. Nel terziario le variazioni oscillano tra il 1,5% del commercio e il +2,9% delle comunicazioni e dei servizi domestici.
Il salario cambia a seconda della dimensione di impresa, oscillando tra i quasi 24mila euro pagati dalle imprese fino a 49 dipendenti e i 31.750 pagati dalle imprese con oltre 250 dipendenti. Lo scarto rispetto al 2008 tende a ridursi, grazie agli aumenti sostenuti dalle imprese piccole e medie.
Anche nel 2009, l’importo delle retribuzioni secondo la professione mostra un ampio divario tra le figure di basso profilo (21.590 euro per gli operai specializzati) e i quasi 96mila dei dirigenti. Importi superiori a quelli degli operai specializzati sono percepiti anche dagli operai semiqualificati (conduttori di impianti e macchinari) e dalle professioni non qualificate (rispettivamente 23.770 e 22.210 euro). All’opposto, in seconda posizione dopo i dirigenti, con una retribuzione di 41.810 euro, figurano le professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione.
All’interno dei grandi gruppi professionali emergono differenze di particolare ampiezza. Tra i dirigenti, ad esempio, quelli occupati nelle grandi imprese percepiscono uno stipendio medio di 109mila euro, un terzo in più degli 82mila dei loro pari livello delle piccole imprese. Scarti ancora maggiori si riscontrano tra le professioni di tipo scientifico, le cui retribuzioni variano da 17.740 a 44.520, percepiti rispettivamente dagli specialisti della salute (in gran parte operai paramedici) e dagli ingegneri ed architetti. Nelle professioni tecniche, gli scarti più significativi sono compresi tra i 22.370 euro percepiti dai professionisti delle scienze della salute e della vita e i 31.520 di quanti operano nell’amministrazione e nelle attività finanziarie e commerciali.
La ripresa? Si può agganciare investendo nel capitale umano
Cosa faranno le imprese per agganciare la ripresa? Questa la domanda posta ai Responsabili Risorse Umane di 211 imprese nell’indagine svolta in collaborazione con l’Associazione Italiana per la Direzione del Personale (AIDP). Dalla survey emerge che il mutamento di contesto economico avvenuto tra il 2009 e il 2010 ha avuto un impatto rilevante sui comportamenti delle imprese nella gestione delle risorse umane. In particolare, il tema della gestione degli esuberi risulta essere quello che nel 2010 impegnerà in misura minore le imprese, al contrario di quanto avvenuto nel 2009. Quest’anno, l’attenzione sarà puntata soprattutto sullo sviluppo delle risorse umane (le iniziative finalizzate al miglioramento delle competenze e della professionalità degli operatori), su interventi sull’organizzazione (ovvero le revisioni del funzionamento e della struttura dell’impresa), sulla politica retributiva e sulla gestione delle ricompense e degli incentivi.
La maggioranza delle aziende coinvolte nell’indagine ha dichiarato che quest’anno intende impegnarsi il più possibile a rispondere alle esigenze del cliente adottando una strategia di tipo Customer Intimacy (55%). I dati emergenti consentono di ipotizzare che queste imprese abbiano considerato la crisi del 2009 come un rallentamento momentaneo del mercato di riferimento, senza prevedere che esso cambierà in modo sostanziale a valle della crisi. Pertanto all’interno di questa prospettiva, la Direzione Risorse Umane di queste imprese lavorerà da un lato con un obiettivo di controllo e gestione dell’emergenza tradotto in attività quali la riorganizzazione dei processi e dei ruoli aziendali, il miglioramento degli strumenti di controllo e gestione dei processi, il monitoraggio del costo del lavoro, l’introduzione/ miglioramento delle diverse forme di incentivi individuali; dall’altro si impegnerà in un ottica di continua motivazione e coinvolgimento degli operatori, che saranno chiamati a farsi carico delle esigenze (sia manifeste che latenti) dei clienti attivi e potenziali.
Il 17,5% delle aziende si impegnerà inoltre ad offrire beni e servizi “nuovi”. Per raggiungere questo obiettivo queste imprese lavoreranno sul controllo dell’efficienza nell’ottica di gestione dell’emergenza, ma anche con un obiettivo di sviluppo “alto”, ponendosi il problema del posizionamento strategico aziendale all’interno del mercato dopo la crisi tramite iniziative di Sviluppo Organizzativo e di formazione manageriale.
E’ emerso inoltre che mentre un 17,5% di rispondenti ha dichiarato di non adottare nessuna strategia specifica e di continuare a operare come prima della crisi, una azienda su dieci ha scelto nel biennio di affrontate la crisi offrendo sul mercato prodotti e/o servizi a un prezzo più basso dei concorrenti riducendo i costi di produzione e/o i propri margini di guadagno.
Per quanto riguarda le imprese che dichiarano una crescita economica e dimensionale, l’indagine ha messo in luce come, appartenendo probabilmente a gruppi multinazionali, queste aziende stiano affrontando i mercati mondiali puntando sia sulla qualità dei prodotti e/o servizi proposti, sia sulla competenza delle proprie risorse umane.
Infatti, queste aziende indicano un grado di presidio mediamente più alto del resto dei rispondenti su tutti le leve di gestione delle risorse umane, indipendentemente dalla specifica area di intervento. Si può quindi ipotizzare che si tratti di un gruppo di aziende che attribuisce una maggiore attenzione a tutte le tematiche relative alla gestione del personale, considerato un elemento importante per determinare il successo aziendale.