WWF calcola lo stato di salute della Terra: nel 2030 ci vorranno due pianeti per sopportare lo sviluppo

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L’uomo sta continuando a sfruttare troppo la Terra e, se si continua così, nel 2030 ci vorrà l’equivalente di due pianeti per sopportare la crescita e lo sviluppo della nostra specie. E in questa situazione sta diminuendo del 30% lo stato di salute delle specie globali, con picchi fino al 60% nei paesi tropicali e nelle nazioni più povere. Rispetto agli anni ’70, infatti, la pressione dell’uomo sulla natura è raddoppiata e, già da oggi, la domanda di risorse naturali richiede una capacità bioproduttiva pari a 1,5 pianeti. La crescita economica nei paesi ricchi è dunque diventata insostenibile con impatti sugli ecosistemi che ricadono più direttamente sulle popolazioni povere e vulnerabili. E in questo scenario l’Italia si colloca al 29° posto per capacità di sviluppo sostenibile e se tutti vivessero come noi già da oggi servirebbero 2,8 pianeti per sopravvivere. Lo scenario emerge dal Living Planet Report 2010, il rapporto realizzato ogni due anni dal Wwf in collaborazione con la Zoological Society di Londra e il Global Footprint Network (http://www.wwf.it/client/render.aspx?content=0&root=6241) che, nell’anno internazionale della biodiversità, e a pochi giorni dalla apertura della Conferenza di Nagoya dove si dovranno decidere le nuove strategie per fermare il tasso di perdita della biodiversità al 2020, ribadisce con forza il diktat di dare un ruolo centrale alla natura per garantire salute e benessere all’umanità. E non solo. Il rapporto di quest’anno parla anche dell’importanza di includere i servizi degli ecosistemi nei nuovi indicatori di sviluppo oggi sanciti per lo più dal Pil. I dati del Living Planet Report 2010 sono stati presentati oggi, in diretta mondiale webcast dalla sede del Festival del cinema naturalistico di Bristol, con una diretta mondiale, condotta dalla giornalista di Al Jazeera Veronica Pedrosa, sul sito internazionale www.panda.org. I dati del rapporto sullo stato di salute del pianeta sono stati presentati in Italia, nella Sala delle Colonne dell’Università Luiss Guido Carli di Roma da Antonio Giuliani della segreteria del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, da Sebastiano Maffettone, professore di Filosofia politica e direttore del Center For Ethics and Global Politics della Luiss, da Riccardo Valentini, professore di Ecologia forestale dell’Università della Tuscia di Viterbo e Chairman del Gtos (Global Terrestrial Observing System) Fao-Unet-Unesco e presidente della Commissione Cambiamenti globali del Cnr, e da Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia. Per tracciare lo scenario dell’attuale stato di salute del nostro Pianeta il Living Planet Report mette in relazione degli indicatori importanti quanto ancora inediti nel sistema delle politiche ambientale ed economiche: l’Impronta ecologica ed idrica, insieme a misure della pressione antropica delle risorse naturali della Terra e con l’Indice del Pianeta vivente che misura lo stato di salute della Terra che attraverso i trend di quasi 8mila popolazioni di oltre 250 specie di vertebrati che sono alla base dei servizi naturali da cui dipendiamo. E proprio secondo l’indice della specie il rapporto registra un certo miglioramento nella zona temperata del nostro Pianeta (+29%) rispetto al 1970 ma rileva un tragico declino tra il 60 e il 70% per le specie di acqua dolce ai Tropici, «il tasso più alto tra tutte le specie terrestri e marine considerate» come sottolinea il Living Planet Report. Secondo gli esperti nella complessa rete delle connessioni ecologiche «la perdita di biodiversità è sintomo e sinonimo del cattivo stato di salute degli ecosistemi e implica un peggioramento dei servizi ecosistemici che sono proprio alla base della nostra vita e del nostro benessere». E tra questi proprio la fornitura di cibo, materie prime e medicine. Ma non solo. Anche la regolazione del clima, la depurazione di acqua e aria, la rigenerazione del suolo, l’impollinazione delle piante, la protezione da inondazioni e le malattie. Basti pensare, sottolineano gli esperti del Linving Planet Report che circa il 75% delle cento principali colture a livello mondiale fa affidamento sugli impollinatori naturali, che oltre metà degli attuali composti medici di sintesi provengono da precursori naturali, e che gli ecosistemi terrestri riescono a immagazzinare ben 2.000 miliardi di tonnellate di carbonio dando così un contributo preziosissimo alla lotta al cambiamento climatico. Nonostante questo il rapporto rileva che l’Impronta ecologica dell’uomo, cioè la domanda di risorse naturali necessarie per le nostre attività, è in costante aumento e va ben oltre la capacità del Pianeta di poter rigenerare le proprie risorse. Dal 1966 l’Impronta ecologica globale, riferisce il rapporto del Wwf, è raddoppiata, mentre l’Impronta di carbonio è aumentata addirittura di 11 volte, rappresentando oggi oltre la metà dell’Impronta ecologica globale, l’Impronta idrica, inoltre è in costante aumento e considerando l’acqua ‘virtualè contenuta nei prodotti commercializzati internazionalmente, ha infatti ricadute su fiumi e falde acquifere di tutto il mondo. Secondo i calcoli degli esperti che hanno stilato il rapporto, per esempio, un abitante del Regno Unito consuma 150 litri di acqua al giorno, ma il consumo nel paese di prodotti esteri, prodotti cioè che viaggiano e vengono da paesi lontani dal Regno Unito, fa crescere questo valore fino a 4.645 litri di risorse idriche mondiali al giorno. «La sfida posta dal Living Planet Report è molto chiara. Dobbiamo assolutamente trovare un modo per soddisfare le esigenze di una popolazione sempre più numerosa che incrementa i propri consumi. Dobbiamo insomma imparare a vivere nei limiti delle risorse dell’unico Pianeta che abbiamo e per fare questo bisogna pensare da uno stile di vita consumista a uno stile di vita più sostenibile che limiti i consumi e gli sprechi» sottolinea il direttore scientifico del Wwf Italia Gianfranco Bologna.
Fonte: Andkronos