Infortunio in itinere: decisioni contrastanti della Cassazione sulla indennizzabilità del danno

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La Corte di Cassazione, con due recenti sentenze (la n. 19937 del 21 settembre 2010 e la n. 20221 del 24 settembre 2010), afferma principi contrastanti in ordine al riconoscimento del danno indennizzabile per infortunio in itinere. Con la prima decisione la Suprema Corte rigetta l’istanza di un medico, finalizzata ad ottenere l’indennizzo di tutti i danni derivatigli da un incidente automobilistico mentre si recava dal suo luogo di residenza a quello di lavoro; avallando la decisione dei Giudici di merito – secondo cui l’infortunio non era indennizzabile in quanto il luogo del sinistro si trovava “fuori rotta” rispetto all’itinerario che il sanitario avrebbe dovuto seguire per raggiungere la sede di lavoro -, la Cassazione precisa che correttamente “la sentenza impugnata ha dichiarato di attenersi in primo luogo all’elemento topografico e cioè a quello che era il percorso più breve dalla abitazione alla sede di lavoro ed ha aggiunto che la deviazione che il ricorrente aveva fatto, non sembrava comportare, rispetto al percorso normale, minori intoppi e attraversamenti urbani.” Con la seconda pronuncia la Corte di Cassazione, relativamente al caso di un dipendente che perdeva la vita durante il tragitto verso il posto di lavoro (in riferimento al quale la Corte d’Appello escludeva la presenza del requisito dell'”occasione di lavoro”), si pronuncia in modo discordante rispetto al Collegio precedente, riconoscendo la copertura assicurativa all’infortunato anche se la strada percorsa non era stata la più breve, ma la “più comoda e conveniente”. La Suprema Corte, bacchettando i Giudici di merito per aver omesso di effettuare una completa valutazione della fattispecie nel configurare la sussistenza del c.d. rischio elettivo, senza motivare adeguatamente la ragione della loro decisione, ribadisce che “per rischio elettivo, che esclude la c.d. ‘occasione di lavoro’, si intende una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa o ad essa riconducibile, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e a motivazioni del tutto personali, al di fuori dell’attività lavorativa e prescindendo da essa, idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata”. Il Giudice del merito, prosegue la Corte, “avrebbe dovuto procedere alla verifica della sussistenza del diverso criterio della ‘normalità’ della percorrenza dell’indicato itinerario tra casa e lavoro” secondo i principi attualmente codificati nella L. n. 38 del 2000, art. 12, “che riconoscono la copertura assicurativa qualora il comportamento del lavoratore non sia motivato in base a ragioni del tutto personali, al di fuori dell’attività lavorativa.”