La moglie rimane solidale anche se dall’accertamento emergono maggiori redditi frutto di reati del marito
La Corte di cassazione ha stabilito, con la sentenza n. 20856 dell’8 ottobre, che la dichiarazione dei redditi congiunta vincola sempre entrambi i coniugi, che rispondono al Fisco, sia se è intervenuta la separazione legale sia se il reddito è il provento di attività illecite di uno dei due.
La decisione della Suprema corte si inserisce nella giurisprudenza formatasi in tema di responsabilità per le obbligazioni giuridiche d’imposta derivanti dall’utilizzo della dichiarazione dei redditi congiunta.
Il fatto
Il caso riguarda una coppia di coniugi che hanno presentato la dichiarazione dei redditi in forma congiunta per gli anni 1995 e il 1996. Essendo emerse dal successivo controllo irregolarità sostanziali, l’ente impositore ha emesso la relativa cartella di pagamento, notificata a entrambi i soggetti, recuperando la maggiore Irpef e gli accessori dovuti.
L’iscrizione a ruolo è stata contestata, con ricorso alla Commissione tributaria provinciale, dalla moglie separata, la quale ha affermato di essere imputabile soltanto per i redditi di natura fondiaria, ma non per quelli di capitale, derivanti dalla gestione di una cooperativa agricola condotta, a sua insaputa, esclusivamente dall’ex marito, senza mai avere percepito da quell’attività alcun reddito.
L’esito favorevole al contribuente è stato confermato dal giudice di appello nella considerazione dell’effettiva “estraneità” dell’appellante alla diversa gestione dell’impresa da parte dell’ex coniuge, poiché, nel caso di riconosciuta responsabilità, verrebbero a essere violati i principi di equità fiscale, di uguaglianza e di capacità contributiva, non potendo la contribuente essere chiamata a rispondere dei redditi che non ha percepito, peraltro di provenienza illecita.
Per il giudice d’appello – disattendendo completamente i principi che regolano questa materia – è quindi decisivo che “se nell’ipotesi di dichiarazione congiunta entrambi i coniugi sono solidalmente obbligati per le maggiori imposte accertate in riferimento ai redditi denunciati, non può invece sussistere solidarietà in riferimento a quelli omessi in conseguenza di attività che fanno capo esclusivo ad uno dei coniugi, come nella fattispecie”.
Nel ricorso per Cassazione, l’Agenzia delle Entrate sottolinea invece che, proprio in base al violato articolo 17 della legge 114/1997, è espressamente prevista la responsabilità in solido dei coniugi per il pagamento dei cespiti “iscritti a ruolo a nome del marito”, nel senso che l’“attrazione” a tassazione riguarda non soltanto i redditi dichiarati, ma anche quelli accertati e che tale principio opera anche in caso di provenienza illecita dei redditi.
La dichiarazione congiunta
Si premette, per compiutezza, che nel sistema dell’imposizione diretta la dichiarazione “congiunta” era presentabile fino al periodo di imposta 1996 mentre, successivamente, con l’introduzione del modello Unico, ciascun contribuente ha dovuto dichiarare i propri redditi in via del tutto autonoma, senza alcun riferimento alla propria famiglia.
Il legislatore è infatti intervenuto, con l’articolo 7 del Dpr 435/2001, abrogando l’articolo 6 del Dpr. 322/1998, che riguardava proprio la “dichiarazione congiunta in materia di imposte sui redditi”, mentre, l’articolo 9, comma 6, dello stesso decreto 322, ha abrogato definitivamente, dal 22 settembre 1998, l’articolo 17, comma 1, della legge 114/1977, relativo alla facoltà, appunto, dei coniugi non legalmente ed effettivamente separati di presentare su un unico modello la dichiarazione dei redditi di ciascuno di essi.
In virtù dell’abrogazione, la disciplina recata dall’articolo 6 del Dpr 322/1998 è stata trasfusa nel Dm 164/1999; tuttavia, l’eliminazione della norma non ha inciso sulla possibilità per i coniugi di presentare – ancora – congiuntamente, dal 1° gennaio 1999, sussistendo le condizioni per almeno uno dei due di utilizzare il modello 730, facoltà espressamente prevista dall’articolo 13, comma 4, del Dm 164/1999, in base al quale iconiugi non legalmente ed effettivamente separati, non in possesso di redditi di lavoro autonomo o d’impresa di cui agli articoli 49, comma 1, e 51, del Dpr 917/1986, possono adempiere gli obblighi di dichiarazione dei redditi anche presentando dichiarazione in forma congiunta, purché uno dei due sia in possesso di redditi di lavoro dipendente e assimilati, nonché di redditi derivanti dall’utilizzazione economica delle opere dell’ingegno et similia (cfr circolari 6/2002 e 36/2008).
Le motivazioni della sentenza
Con la pronuncia 20586/2010, la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso, ha sostanzialmente affermato che la scelta dei coniugi di presentare dichiarazione dei redditi congiunta ha effetto non solo sui redditi dichiarati, ma anche su quelli accertati; così la responsabilità solidale della moglie si estende alle obbligazioni derivanti dal successivo accertamento di maggior reddito a carico del marito (principio che opera anche quando i redditi accertati costituiscano proventi di reato), peraltro non influenzata dal venir meno della convivenza matrimoniale dovuta a separazione personale.
Infatti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 114/1977 – il quale prevede che, nel caso in cui marito e moglie abbiano presentato dichiarazione dei redditi congiunta, gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi e notificati al marito e che entrambi “sono responsabili in solido per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito” –, la responsabilità solidale della moglie si estende alle obbligazioni derivanti dal successivo accertamento di un maggior reddito a carico del marito, titolare dell’impresa familiare in cui la moglie è collaboratrice.
Pertanto, non è possibile desumere dall’analisi testuale della norma l’esclusione di responsabilità invocata dalla contribuente.
La Corte di legittimità ha più volte chiarito al riguardo che, nel caso di dichiarazione congiunta, a norma dell’articolo 17 della legge 114/1977, gli accertamenti correttivi della stessa sono effettuati a nome di entrambi i coniugi ancorché notificati soltanto al marito. La moglie è dunque solidalmente responsabile per il pagamento dell’imposta, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito, come è legittimata a proporre autonoma impugnazione per contestare gli accertamenti notificati al(l’ex) coniuge anche a suo nome (sentenze 19896/2006 e 13525/2008).
Il principio affermato riguarda il valore del vincolo di solidarietà, paradossalmente “disconosciuto” dalla sentenza impugnata, intercorrente fra i due codichiaranti, il quale comporta per l’effetto la responsabilità di un coniuge in relazione al maggior reddito accertato nei confronti dell’altro.
La rettifica del reddito imponibile, comunque effettuata e a prescindere dalla metodologia adottata, è riferita, quindi, inevitabilmente, alla posizione giuridica di entrambi e non è limitata o circoscritta al soggetto al quale la somma è direttamente imputata (Cassazioni 4862/2002, 5169/2002 e 2021/2003).
La Corte di legittimità ha anche affermato che la responsabilità solidale dei coniugi, derivante dalla dichiarazione congiunta, opera anche nel caso in cui i redditi accertati nei confronti del marito siano costituiti da introiti derivanti da reato, senza che ciò possa far dubitare della legittimità costituzionale della norma, atteso che il diritto di difesa della moglie (articolo 24 della Costituzione) è garantito dalla possibilità di impugnare autonomamente l’avviso di mora a lei notificato (Cassazione 5202/2003).
Né tale disciplina confligge con altri canoni costituzionali, atteso che la Corte costituzionale (sentenza 184/1989) ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità dell’articolo 17, comma 5, della legge 114/1977, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione, in quanto la dichiarata violazione dell’articolo 3 – ossia la disparità di trattamento dei coniugi che si sono avvalsi della facoltà di presentare dichiarazione congiunta rispetto a quelli che hanno presentato una distinta dichiarazione – non sussiste in quanto sono i contribuenti a scegliere liberamente di avvalersi dell’uno o dell’altro sistema stimandone vantaggi od oneri connessi. La valutazione sulle conseguenze che ne discendono e circa la solidarietà o meno fra i dichiaranti spetta esclusivamente al legislatore, e non può ritenersi in sé irragionevole una legge che abbia optato per la prima soluzione.
Per quel che riguarda il profilo relativo alla violazione dell’articolo 53 della Costituzione, il collegamento con la capacità contributiva non esclude che la legge possa stabilire prestazioni tributarie solidali a carico, oltreché del debitore principale, anche di altri soggetti, comunque non estranei alla posizione giuridica cui inerisce il rapporto tributario.
Salvatore Servidio