Premi assicurativi e sesso dell’assicurato. Per l’avvocato generale Juliane Kokott, non sarebbero compatibili con i diritti fondamentali riconosciuti dall’Unione le clausole dei contratti di assicurazione che tengono in conto, a titolo di fattore di rischio, del sesso dell’assicurato poiché violerebbe il divieto di discriminazioni fondate sul sesso.
Un’importante caso arriva a conclusione in una causa intentata da un’associazione di consumatori belga e due soggetti privati che hanno proposto dinanzi alla Corte Costituzionale belga per l’annullamento di una norma nazionale di trasposizione di una direttiva U.E. che prevederebbe una deroga alla direttiva 2004/113/CE che come noto vieta le discriminazioni fondate sul sesso per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura.
La deroga in questione che prenderebbe spunto dalla direttiva stessa secondo cui gli Stati membri possono consentire differenziazioni legate al sesso nei premi e nelle prestazioni assicurative, qualora il sesso costituisca un fattore di rischio determinante e tale circostanza sia supportata da pertinenti e accurati dati attuariali e statistici.
In seguito a ciò, la Cour constitutionnelle belga ha chiesto alla Corte di Giustizia di verificare la compatibilità della deroga prevista dalla direttiva con norme di rango superiore ed in particolare, con il principio della parità di trattamento tra uomini e donne sancito dal diritto dell’Unione
Nelle conclusioni rassegnate il 30 settembre scorso, l’avvocato generale Kokott ha rilevato anzitutto la grande importanza del principio della parità di trattamento tra uomini e donne nel diritto dell’Unione.
L’avvocato generale ha ritenuto sottolineare che la disciplina derogatoria in discussione non si riferisca ad evidenti differenze biologiche tra gli assicurati, bensì riguardi piuttosto ipotesi nelle quali sia eventualmente possibile sotto il profilo statistico attribuire un rischio assicurativo differente a seconda del sesso dell’assicurato. Ma come è noto vi sarebbero numerosi altri fattori che giocano un ruolo importante per la valutazione dei rischi assicurativi e tra questi l’aspettativa di vita degli assicurati sarebbe fortemente influenzata da circostanze di natura economica e sociale riguardanti il singolo individuo, quali, ad esempio, natura ed entità dell’attività lavorativa esercitata, contesto familiare e sociale, abitudini alimentari, consumo di generi voluttuari e/o di droghe, attività nel tempo libero, attività sportiva.
L’avvocato generale conclude quindi che non sia giuridicamente appropriato associare i rischi assicurativi al sesso di una persona e perciò eventuali differenze tra persone che possano essere associate al sesso di queste soltanto sotto un profilo statistico non potrebbero portare ad un diverso trattamento degli assicurati di sesso maschile o femminile per quanto riguarda l’offerta di prodotti assicurativi.
In tale contesto, l’avvocato generale evidenzia in particolare che il sesso è una caratteristica che, al pari della razza e dell’origine etnica, è inscindibilmente connessa con la persona dell’assicurato e sulla quale questi non può influire in alcun modo. A differenza ad esempio dell’età, il sesso di una persona non sarebbe inoltre soggetto ad alcuna modifica naturale.
In conclusione, l’avvocato generale ritiene che l’applicazione di fattori di rischio correlati al sesso per quanto riguarda premi e prestazioni assicurative sia incompatibile con il principio della parità di trattamento tra uomini e donne sancito dal diritto dell’Unione e perciò propone alla Corte di dichiarare invalida la corrispondente norma derogatoria contenuta nella direttiva.
Giovanni D’Agata
Componente
del Dipartimento Tematico Nazionale
“Tutela del Consumatore”