Federalismo fiscale e territorialità Iva: la giusta interpretazione dell’Avvocato Franco Mancini

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Continua a tenere alta l’attenzione la discussione in merito all’applicazione del federalismo fiscale sul territorio nazionale. In particolare gli argomenti che attualmente animano il confronto riguardano la partecipazione degli enti locali e territoriali al gettito fiscale, anche in virtù di una nuova lettura dei principi ispiratori in materia, tra cui il principio di territorialità. Nelle previsioni normative, infatti, il criterio della territorialità ha come cardine il territorio, con le sue molteplici sfaccettature, come luogo di produzione, di consumo e anche come strumento su cui far leva per il controllo dell’elusione e dell’evasione fiscale. Nelle iniziali previsioni normative, però, questo criterio utilizzava la corrispondenza tra il luogo di produzione del gettito fiscale e suo utilizzo. Con la manovra correttiva (D. L. n. 78 del 2010) è stata introdotta una diversa lettura del criterio di territorialità che vede il gettito Iva rapportato al luogo di consumo, non a quello di produzione. Tale orientamento, individuato prima di tutti gli altri e con largo anticipo dall’avv. Franco Mancini, noto tributarista ed esperto di federalismo fiscale , in un articolo pubblicato sulle colonne del “Settimanale del Molise”, risulta assolutamente centrale per un effettivo riequilibrio della ricchezza tra i territori. “Bisogna fare una premessa: il federalismo fiscale rischia di reggersi su un’illusione ottica, secondo cui il gettito proveniente dalla fiscalità del Nord Italia debba essere ricalibrato su tutto il territorio nazionale. Con la nuova interpretazione del criterio della territorialità, quale delineato dalla manovra correttiva alla finanziaria, il gettito Iva è rapportato al luogo di consumo dei beni e non a quello di produzione.” – spiega l’avv. Mancini – “Un esempio che permette di comprendere questa nuova interpretazione potrebbe essere quello dell’acquisto di un’auto: se acquisto una vettura Fiat in Basilicata il gettito fiscale proviene dalla Basilicata, luogo di acquisto e utilizzo del mezzo, non dal Piemonte, regione in cui la Fiat ha la sede legale ed amministrativa e questo perché i soggetti realmente incisi dall’imposta sono i consumatori finali, i quali risiedono principalmente nel Sud Italia. Vi sono, infatti, certe “rappresentazioni” del federalismo fiscale inquinate da profili tecnici che non tengono conto del contributo apportato dalle diverse aree del Paese. Tra questi, e sempre per restare nel esempio fatto poc’anzi, anche il contributo alla produzione del reddito di imprese, quali la Fiat, che hanno stabilimenti in altre regioni italiane, come Melfi o lo stesso stabilimento di Termoli, nella mia regione”. Altro tema su cui si sta focalizzando l’attenzione degli studiosi della materia è quello relativo alla partecipazione dei Comuni all’attività di accertamento fiscale. “Anche su questo tema è opportuno fare dei distinguo, a seconda anche della estensione territoriale dei Comuni e ad altri fattori, come la densità abitativa. Un esempio è l’attività svolta dal Comune di Pesaro che ha accertato che la reale residenza di Valentino Rossi non era Montecarlo, paradiso fiscale, ma è sempre stata Pesaro.” – continua l’Avv. Mancini – “Oltre all’esiguità dei numeri, un altro problema potrebbe essere rappresentato dalla maggiore incidenza dell’attività investigativa degli organi preposti in aree con economie asfittiche: aree piccole, come ad esempio il Molise, sono facilmente controllabili, cosa che non potrà verificarsi in Emilia Romagna o in Lombardia. In questo senso, anche quando sentiamo di statistiche circa il grado di evasione nelle regioni italiane, dobbiamo guardare a come si formano le statistiche ed alla maggiore capillarità dei controlli, che potrebbero sembrare inferiori in territori caratterizzati da una densità abitativa maggiore. Il rischio è elevato soprattutto per i piccoli paesi in quanto i Comuni non hanno gli stessi strumenti dell’Agenzia delle Entrate o degli organi investigativi. Il rischio è che da una leva fiscale si passi ad una leva politica”. Ma il federalismo fiscale può fare realmente bene al Paese? “Astrattamente sì – conferma Mancini – in quanto può servire come strumento di responsabilizzazione per le singole amministrazioni. Il problema, riscontrato tanto a destra quanto a sinistra, è la mancanza di numeri su cui ragionare: se non ci sono numeri su cui ragionare ogni valutazione è monca. Ci sono ancora incognite su certi parametri atti a dimostrare la validità dell’applicazione di dati sui territori, come ad esempio la densità, l’orografia, l’incidenza delle vie di comunicazione. In queste aree il federalismo dovrà essere rivolto al contenimento della spesa piuttosto che ad un incremento della pressione fiscale”.

di Anita Ottaviano

Franco Mancini è Avvocato tributarista dal 1978 e Cassazionista in Campobasso. Docente Ipsoa in materie tributarie, collabora con riviste del settore, tra cui il Corriere Tributario e Italia Oggi. Diverse le pubblicazioni, tra cui Il Manuale Iva degli Enti locali. Fautore di un nuovo orientamento in materia di regime del margine e frodi carosello che e sta trovando seguito nelle decisioni in materia da parte delle Commissioni tributarie, si occupa principalmente di contenzioso e penale tributario.