In due anni terziario “datore di lavoro” per quasi ventimila persone

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Al via il primo numero dell’Osservatorio di Confcommercio. Al Sud più disoccupati e costo del lavoro più basso. Fondamentale il rifinanziamento della Cassa integrazione in deroga.

L’Ufficio Studi di Confcommercio presenta “Il lavoro nel terziario di mercato”, il primo Osservatorio periodico di monitoraggio e analisi del mercato del lavoro in questo settore, consultabile integralmente. Aumentano di quasi 150 mila unità, tra il 2008 e il 2010, gli “scoraggiati” – ovvero coloro i quali sono convinti che, pur mettendosi alla ricerca di un lavoro qualsiasi, non riuscirebbero a trovarlo – e aumentano anche i lavoratori in cassa integrazione (da 96mila nel 2008 a 353mila nel 2010); ma, tra il 2009 e il 2010, ci sono 50mila scoraggiati in meno (da 438mila a 383mila) e nei primi sei mesi del 2010 si registra una moderata crescita dell’occupazione (+40mila occupati); il solo comparto dei servizi di mercato ha creato, tra il 2008 e il 2009, quasi 18mila posti di lavoro in più; inferiore alle aspettative il ricorso alla cassa integrazione in deroga (un quarto della quale è domandata dal solo settore del commercio), con la previsione che, degli 8 miliardi stanziati ad inizio 2009, per la fine del 2010 ne verranno effettivamente utilizzati meno della metà; tra le qualifiche, l’unica a registrare un calo è l’apprendistato (-11mila addetti tra il 2008 e il 2009), mentre l’analisi per aree geografiche indica un risalita dell’occupazione nell’aggregato Nord-Centro e un calo, ininterrotto da metà 2008, nel Mezzogiorno; sempre a livello geografico, il costo del lavoro nei settori del terziario di mercato risulta maggiore al Nord (33mila euro per unità di lavoro nel Nord-Ovest contro quasi 29mila al Sud).

La Cassa Integrazione in Deroga

Sul terreno degli ammortizzatori sociali, è auspicabile la soluzione di un problema congiunturale di straordinaria necessità e urgenza: il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Infatti, una larga frazione dei lavoratori attualmente non conteggiati tra i disoccupati, potrebbero di colpo rientrarvi se la cassa integrazione in deroga dovesse esaurire i suoi effetti nei primi mesi del 2011.
Si può riporre una ragionevole fiducia nell’ipotesi di pronto rifinanziamento della CIG in deroga, sia per l’esplicita volontà espressa dal Ministro del Lavoro in tal senso, sia in considerazione del fatto che il tiraggio dal fondo di 8 miliardi di euro istituito per questo scopo a partire da gennaio 2009, dovrebbe essere, a fine 2010, data di scadenza del provvedimento, ancora molto al di sotto del monte complessivo disponibile. Degli 8 miliardi iniziali, probabilmente, a fine 2010 meno della metà saranno stati effettivamente impiegati.
Un quarto della CIG in deroga è domandata dal solo settore del commercio e la crescita del ricorso a questa forma di mantenimento del posto di lavoro, relativamente oneroso per l’impresa (il 4,5% del suo costo è a carico del datore di lavoro), testimonia sia la crescente consapevolezza degli imprenditori sull’importanza dello strumento sia il fatto che la crisi per alcuni settori, come appunto il commercio, ha una coda relativamente più lunga rispetto, per esempio, alla manifattura. E testimonia, inoltre, il buon funzionamento dello strumento stesso. Senza di esso, molti posti di lavoro risulterebbero oggi inesistenti.

L’andamento dell’occupazione

La riflessione collegata alla cassa in deroga e agli ammortizzatori sociali viene enfatizzata dai conteggi sul tasso di disoccupazione nella versione estesa. Se si considerano non lavoratori anche le unità di lavoro a zero ore corrispondenti alle ore utilizzate di cassa integrazione in qualsiasi regime e vi si sommano quanti sono verosimilmente scoraggiati (sulla base di una metodologia della Banca d’Italia), emerge un tasso di disoccupazione esteso pari a circa l’11,1% nel 2010 (fig. 1), con un numero di lavoratori a zero ore in moderata crescita e un effetto scoraggiamento che è del 60% superiore ai livelli del 2008 ma apparirebbe, secondo le nostre stime, in riduzione rispetto ai massimi del 2009.
Questo genere di conteggi non dovrebbe creare polemiche quanto piuttosto irrobustire la consapevolezza del dualismo del mercato del lavoro, questione da correggere attraverso la realizzazione dell’agenda delle riforme strutturali. Si può affermare che mentre la gestione della disoccupazione, grazie all’estensione che il Governo ha fatto degli ammortizzatori sociali, sta funzionando piuttosto bene, i soggetti esclusi dal mondo del lavoro protetto e quelli che non riescono a entrarvi patiscono sensibilmente più degli altri gli effetti della recessione: questo fenomeno ingrossa le fila degli scoraggiati da 239mila del 2008 a 383mila del 2010.
Nel 2010, comunque, gli occupati sono tornati a crescere (+40mila unità), così come le persone in cerca di occupazione (+66mila unità). Si tratta di un segnale positivo, che denota il ritorno di un po’ di fiducia assieme ai timidi segnali di ripresa dell’economia, tali da stimolare le persone non occupate alla ricerca attiva di un’occupazione.
Sostanzialmente, i comparti produttivi riconducibili all’area Confcommercio, i servizi di mercato, hanno moderatamente creato occupazione anche nella fase della recessione. Durante l’anno 2009, infatti, più di 17mila posizioni lavorative regolari sono state create in questo comparto (tab. 2). L’analisi della composizione per qualifica indica che tutte le qualifiche professionali risultano in crescita (la più elevata tra gli operai, seguita da impiegati e quadri) mentre rilevante è la flessione registrata tra gli apprendisti (-11mila addetti, 4mila solo nel commercio all’ingrosso).
La dimensione territoriale dell’occupazione è centrale nell’interpretare le dinamiche di ripresa e le condizioni del mercato del lavoro (fig. 2). Aggregando Nord e Centro emerge il significato della ripresa, seppure moderata, di cui si attendono segnali più robusti: l’occupazione nei primi sei mesi dell’anno è certamente in via di espansione. Inoltre, in queste macro-ripartizioni geografiche il livello dell’occupazione è superiore ai livelli del 2006 e si avvicina a quelli del 2007, seppure ancora a distanza dai massimi del 2008.
Nel Mezzogiorno la situazione è radicalmente differente: l’occupazione prosegue inesorabilmente nella caduta e di ripresa oggettivamente ancora non si può parlare. Economia e mercato del lavoro per le diverse aree del Paese hanno funzionamenti e debolezze del tutto differenti. Il che dovrebbe implicare che le cure per patologie diverse, che si manifestano con intensità diverse, dovrebbe essere mirate e ben differenziate.

Il costo del lavoro

Sul fronte del costo del lavoro, il vasto campione di imprese analizzate indica negli “altri servizi” il settore con il livello medio più basso, quasi 30mila euro nel 2009. Il commercio al dettaglio è allineato alla media dei settori market (mentre l’Istat lo posiziona più in basso). Il commercio all’ingrosso con quasi 40mila euro di costo medio per addetto paga più degli altri settori il fattore lavoro. Diversi aspetti sottendono queste differenze settoriali. Nei prossimi numeri dell’Osservatorio saranno analizzate le potenziali cause del fenomeno, tra cui la produttività per addetto e la composizione settoriale per qualifiche.
L’analisi regionale del costo del lavoro nei settori del terziario di mercato è di grande interesse (tab. 3).
In un certo senso, e senza pretesa di rappresentatività statistica, si può dire che le gabbie salariali ci sono già. Lo stacco tra il costo medio del lavoro nel Nord-Ovest rispetto al Mezzogiorno, per esempio, è pari al 16,2%. Tale distanza – più di 33mila euro circa nel Nord-Ovest contro poco meno di 29mila nel Sud – rispecchia con buona approssimazione la presunta differenza nei prezzi medi al consumo nelle due macroaree (più costoso di circa il 15-20% il Nord rispetto al Mezzogiorno, secondo valutazioni attendibili ma parziali; il costo reale della vita potrebbe avere uno scarto inferiore).
Il problema vero, però, oscurato dalle polemiche sulle “gabbie”, è il rapporto tra i costi effettivi del lavoro per unità di prodotto: cioè non è tanto la differenza nei prezzi a stabilire convenienze o meno nella localizzazione d’impresa quanto la produttività del lavoro rispetto al potere d’acquisto del salario. Un tema, questo, che sarà affrontato nei prossimi numeri dell’Osservatorio.