Settimo Rapporto UniCredit sulle Piccole Imprese

0
409

Presentato a Roma, lo studio è stato dedicato quest’anno alla sfida dell’internazionalizzazione e della scoperta di nuovi mercati quali strategie di rilancio per il Paese e le PMI. Solo dalle esportazioni, e in particolare da quelle verso i mercati più dinamici dei Paesi emergenti, potrà giungere infatti la spinta per far ripartire la nostra economia. Internazionalizzazione, esportazione e scoperta di nuovi mercati più dinamici sono le grandi opportunità che le piccole imprese possono e devono cogliere per rilanciare l’economia del paese. Con 6000 interviste a piccoli imprenditori italiani clienti UniCredit e un questionario ad oltre 200 Associazioni di categoria e Confidi, il settimo Rapporto sulle Piccole Imprese tasta il polso alla vitalità e reattività di quei circa 5 milioni di imprese con meno di 50 addetti attualmente operanti in Italia, e ne evidenzia le possibilità di crescita grazie alla ricerca di nuovi mercati. Il questionario, in particolare, tocca un ricco ventaglio di temi: dall’innovazione alla collaborazione tra attori di territorio, dalla strategia di impresa all’internazionalizzazione, dal rapporto banca-impresa al ruolo di Confidi e Associazioni di categoria. Il Rapporto è stato presentato oggi a Roma presso il Palazzo della Cancelleria nel corso di una tavola rotonda sul tema “La ricerca di nuovi mercati: la sfida delle piccole imprese fra cambiamento e tradizione”, introdotta da Paolo Savona, Presidente del Fondo Interbancario per la Tutela dei Depositi, cui hanno preso parte l’on. Adolfo Urso , XIV Commissione, Politiche dell’Unione Europea; l’on. Raffaello Vignali, Consigliere del Ministro dello Sviluppo Economico per le Politiche delle PMI; Roberto Nicastro, Direttore generale UniCredit; Ivanhoe Lo Bello, presidente Confindustria Sicilia; Paolo Carli, presidente HENRAUX SPA e Aldo Bonomi, presidente Consorzio A.A.STER.
L’analisi si articola su tre filoni di approfondimento, partendo dalle leve a disposizione delle piccole imprese per affrontare la sfida dei mercati esteri: la valorizzazione del territorio, inteso come patrimonio conoscitivo, naturale e produttivo, l’innovazione e la rete tra imprese. Internazionalizzazione e competitività dei territori sono infatti aspetti fortemente complementari: il made in Italy nasce, cresce e si sviluppa a livello locale ed è dal forte radicamento locale che trae la propria forza a livello globale.

I RISULTATI PRINCIPALI

La congiuntura economica
Nonostante tra aprile e maggio 2009 fossero emersi i primi segnali di ripresa per l’Italia, anche se in misura meno vivace rispetto agli altri Paesi, nel secondo semestre 2010 si osserva un rallentamento della ripresa. Le statistiche evidenziano peraltro il differente passo della domanda interna rispetto a quella estera: a fronte di ritmi contenuti di recupero per investimenti e consumi privati, le componenti dell’interscambio commerciale confermano invece il contributo positivo delle esportazioni nette.

L’indice di fiducia
I risultati dell’indagine UniCredit sulla fiducia dei piccoli imprenditori effettuata tra giugno e settembre 2010 confermano il perdurare di una situazione di incertezza, legata probabilmente al protrarsi delle difficili condizioni che da più di un anno caratterizzano il contesto dell’economia globale. Rispetto al 2009, l’indice di fiducia sintetico scende di due punti, passando da 93 a 91. Resta alto il divario tra i giudizi espressi sui 12 mesi passati e quelli sui 12 mesi futuri: 78 per i primi, 104 per i secondi, valore quest’ultimo analogo a quello registrato nel 2007, anno precrisi. Uno dei risultati più interessanti riguarda la maggiore fiducia espressa degli imprenditori che svolgono attività internazionale, segno di maggiore solidità di impresa. L’indice di fiducia sui 12 mesi futuri registrato dalle aziende internazionalizzate è infatti pari a 107, superiore di ben 6 punti rispetto alla fiducia espressa dalle aziende non internazionalizzate.

Il ruolo chiave della domanda estera
Dall’analisi emerge il ruolo chiave della domanda estera sia rispetto alla domanda interna del settore privato – che risulta debole a causa della scarsa crescita demografica e dei problemi connessi anche in termini di redistribuzione del reddito – sia rispetto alla componente pubblica, vincolata dalla necessità di risanamento del debito.
Nel lungo periodo, la crescita dell’Italia dipende dunque dalla capacità delle aziende di conquistare quote di mercato crescenti a livello globale, soprattutto nei Paesi emergenti ad alto tasso di crescita.

Superare le criticità
Dal confronto internazionale emerge come l’Italia sia ben posizionata dal punto di vista dello scambio di beni e servizi – siamo al settimo posto fra i paesi esportatori. Tuttavia, l’indagine conferma come i vincoli dimensionali comportino alcune criticità tra cui la polarizzazione su un numero limitato di mercati di sbocco, specie per gli operatori più recentemente affacciatisi sull’estero ( il 47,8% delle imprese opera su un solo mercato e il 21,8% su due). Prevalgono inoltre strategie di globalizzazione a “medio raggio”: più del 70% delle esportazioni è rivolta verso i mercati maturi dell’Europa occidentale. Occorre dunque aumentare la presenza sui mercati emergenti: non solo Cina e India, ma anche i più vicini mercati dell’Europa centro-orientale, che tra il 2001 e il 2009 hanno contribuito per due terzi alla crescita complessiva dell’export italiano. La piccole dimensione delle imprese italiane potrebbe essere un ostacolo per il prossimo futuro se non fosse accompagnata da un cambio di prospettiva. A fronte della profonda metamorfosi dello scenario globale, occorre avviare un processo di rafforzamento del tessuto produttivo che consenta di partecipare con profitto ai nuovi equilibri del commercio internazionale, orientati sempre di più verso mercati non solo geograficamente più lontani. In quest’ottica, la patrimonializzazione è un aspetto chiave, su cui esistono ampi spazi di miglioramento. I dati rivelano vi sia ancora un utilizzo eccessivo della leva finanziaria: il 58,5% delle imprese internazionalizzate presenta una leva superiore al 75%.

Da soli è sempre più difficile farcela
Nonostante l’individuazione di controparti commerciali costituisca il primo e forse più importante scoglio nei processi di internazionalizzazione, i risultati dell’indagine mostrano come il primo approccio ai mercati esteri sia avvenuto in maniera autonoma, ovvero servendosi del passaparola fra imprese, della ricerca su Internet, o partecipando a fiere di settore. Anche per quanto riguarda l’operatività ordinaria il ricorso a soggetti esterni appare ancora limitato, vuoi per una innata tendenza al “fare da sé”, vuoi per una mancata conoscenza di iniziative e servizi dedicati.
La sfida dei mercati internazionali richiede modelli organizzativi diversi che siano in grado di limitare le criticità poste dalla frammentazione del sistema produttivo e che parallelamente possano essere di stimolo per l’adozione di innovazioni di prodotto e di processo. Per ovviare ai vincoli posti dalla piccola dimensione da più parti vi è un deciso richiamo a dare vita a reti di imprese, necessarie a far massa critica e consolidare il posizionamento competitivo sui mercati internazionali.

Filiere globali, Confidi e associazioni di categoria
Come rilevato dall’indagine Unicredit la partecipazione a filiere globali consente alle realtà di piccole dimensioni di affacciarsi (direttamente o indirettamente) sui mercati esteri con maggiore autonomia, contenendo al minimo l’impatto degli elevati costi fissi associati ai processi di internazionalizzazione. Purtroppo la partecipazione a reti di impresa appare ancora limitata: il 20,5% delle imprese internazionalizzate intervistate dichiara di appartenere ad un distretto e il 16,7% a una filiera globale. Appena l’8,5% dichiara di appartenere a entrambe queste forme di rete.
Sempre in un ottica di concertazione tra attori del territorio, importante è anche il ruolo di Confidi. Come emerge dall’indagine UniCredit, durante la fase più acuta della crisi i Confidi hanno reso più trasparente lo scambio di informazioni tra banca e piccola impresa grazie ad un effetto di segnalazione (positivo) che si è sommato alla tradizionale fornitura di garanzie accessorie. Parimenti strategiche risultano essere le Associazioni di categoria, non solo nell’ambito della consulenza e della formazione dei propri associati ma anche nei processi di internazionalizzazione. I risultati di una seconda indagine rivolta specificatamente ad Associazioni di categoria e Confidi confermano per entrambi un ruolo di interlocutori qualificati.

Il sistema bancario
La piena valorizzazione di benefici dell’appartenenza ad una rete richiede il contributo del sistema bancario, soprattutto per quanto riguarda le modalità di valutazione del merito creditizio sotto il profilo della componente relazionale/qualitativa, particolarmente importante nel caso delle piccole imprese. Inoltre, per fornire pieno supporto ai processi di internazionalizzazione delle piccole imprese e mitigare i rischi di razionamento del credito, occorre una conoscenza specifica dei mercati di sbocco esteri e delle procedure economiche e bancarie lì prevalenti, conoscenza che nel sistema creditizio solo banche internazionali sono in grado di possedere. La rete estera delle banche italiane internazionalizzate rappresenta una importante leva strategica da sfruttare, una vera e propria “porta di accesso” ai mercati esteri.

Su cosa puntare
Gli operatori italiani si distinguono sui mercati mondiali per una produzione unica, non replicabile all’estero e di qualità estremamente elevata. Per vincere la sfida dei mercati globali è dunque indispensabile puntare sul “made in Italy” ovvero su caratteristiche quali la creatività, il design, l’artigianalità industriale, che consentano alle imprese di realizzare beni quasi “su misura” per i clienti, anche in settori high-tech come la meccanica o i mezzi di trasporto. In un’era in cui la globalizzazione sempre più influenza la competitività e la struttura industriale dei Paesi, le sfide cruciali per il futuro sono essenzialmente : il miglioramento del rapporto qualità/prezzo, puntando sulla qualità del prodotto italiano la conquista della nuova e numerosa classe di consumatori benestanti di Paesi emergenti grazie alle produzioni di beni di consumo di fascia medio-alta. Non è necessario andare lontano, si può puntare ad esempio sui mercati dell’est Europa e del bacino del Mediterraneo.
le strategie di marketing e comunicazione chiave per upgrading strategico delle aziende.

Le imprese che hanno reagito alla crisi hanno infatti adottato due strategie principali:
è stato proseguito l’upgrading qualitativo avviato prima della crisi, pur con un maggior controllo dei costi circa la metà delle piccole imprese internazionalizzate sembra aver introdotto forme di upgrading strategico, ovvero un approccio più elaborato ai mercati. Il ruolo della banca e delle istituzioni. I risultati dell’indagine sulle piccole imprese confermano l’importanza di un rapporto stabile con la banca, specie se internazionalizzata, in un’ottica di reciproca trasparenza e informazione. Dal canto suo, la banca deve offrire prodotti e servizi mirati, per ridurre i costi fissi associati ai processi di internazionalizzazione. Per quanto riguarda le istituzioni pubbliche a supporto dell’internazionalizzazione, è fondamentale un maggior coordinamento e razionalizzazione dei diversi soggetti, con una regia governativa forte. Per ridurre costi e tempi degli interventi è inoltre auspicabile il convolgimento dei privati e la sussidiarietà orizzontale.