L’analisi/Ma siamo proprio sicuri che la Cina è il futuro?

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di Pietro Colagiovanni

Mentre assistiamo con un misto di rassegnazione e rimpianto all’inevitabile declino della civiltà occidentale, siamo tutti convinti e veniamo convinti ogni giorno dai mass media  che la vera unica forza economica e quindi politica del mondo sarà la Cina. Sulla portata storica del suo cambiamento, da sterminato popolo di poveri agricoltori a moderna società capitalistico borghese non c’è nulla da obiettare. Certo la Cina è ancora molto povera in termini di prodotto interno lordo per abitante ma sicuramente la povertà nera dei secoli trascorsi è ormai un vago ricordo. Ed è d’altro canto vero che l’impero economico americano ogni giorno di più mostra le crepe. Una guida politica insicura (prevedibilmente insicura aggiungiamo noi , visto che Obama ha lo stesso spessore di uno spot pubblicitario), un’economia drogata dalla finanza e dagli interessi dei grandi gruppi finanziari, una leadership in difficoltà nell’intero mondo: questa è l’America di oggi. Ed è difficile pensarla diversamente. L’Europa dal canto suo non conta perché non riuscendo a fare sintesi politica inciampa in continuazione sui problemi di ogni sua parte costitutiva, sia essa la Grecia, l’Irlanda, l’Estramadura o la Lettonia del nord. In pratica con l’euro e con le istituzioni economiche dell’Europa unita i dolori di ciascuno sono i dolori di tutti, ma non esiste un dottore unico che può prescrivere una cura o un rimedio. Una situazione fortemente squilibrata, per la quale al momento non si vede alcuna soluzione. Diventa quindi naturale pensare alla Cina (con il conforto di India, Brasile e perché no Russia) come al futuro colosso economico e politico mondiale. Questa analisi potrà essere anche giusta, ma ormai è diventata di prassi. Cioè non c’è nessuno che va un attimo a verificare se anche la Cina qualche problema potrebbe mai averlo. E, a giudizio di chi scrive, la Cina di problemi ne ha molti. E sempre secondo chi scrive c’è n’è uno davvero grosso che pochi però considerano. C’è solo un investitore a livello mondiale che è, come si suole dire, contrarian sulla Cina: si chiama James Chanos ed ha il pregio di aver predetto lo scoppio di Enron quando Enron era magnificata da tutti come una delle più belle società di energia del mondo. Cosa dice Chanos? Una cosa che condividiamo in pieno: dice che in Cina c’è una bolla immobiliare immensa, una bolla che come tutte le bolle (per bolle si intende una classe di prezzi sganciati dal valore intrinseco del bene che rappresentano) che prima o poi scoppierà. Fa un  conto semplice: rispetto a Dubai, esempio inimitabile di bolla immobiliare, in Cina si registrano investimenti nel settore quattro volte più alti. A temperare le previsioni negative di Chanos, va detto, c’è il fatto che i cinesi per lo più acquistano le case senza indebitarsi, senza usare leve, e senza ricorrere se non in maniera ancora marginale all’indebitamento bancario. Ma questo potrebbe rendere lo scoppio della bolla solo meno devastante, non meno doloroso. Se si costruiscono troppi immobili, questa è la regola, sganciata dalla domanda reale (di abitazioni o di utilizzi commerciali) prima o poi i valori cadranno e la ricchezza complessiva di una nazione crollerà. E visto che la Cina ricca ancora non lo è, lo scoppio della bolla immobiliare rischierebbe di traumatizzare il glorioso percorso di arricchimento che trent’anni fa Deng Xiao Ping aveva indicato al più popoloso stato del nostro pianeta.