Le Sezioni Unite hanno chiarito che il liquidatore dei beni del concordato preventivo non può essere soggetto attivo dei reati di bancarotta di cui agli artt. 223 e 224 legge fall., richiamati nell’art. 236, comma secondo, n. 1, stessa legge, in quanto non espressamente menzionato tra gli autori propri dei suddetti reati, per come indicati dalla disposizione da ultima citata, né può essere ricompreso nella categoria dei “liquidatori di società” menzionata dalla stessa disposizione. Il nucleo motivazionale della sentenza può essere così sintetizzato, rimandando all’allegato pdf per la lettura del testo integrale: Indipendentemente dalla questione della sua esatta qualificazione giuridica, la figura del liquidatore concordatario presenta sicuramente connotazioni assai peculiari rispetto all’ordinario liquidatore delle società.
Quest’ultimo, infatti, nominato dall’assemblea, resta un vero e proprio organo sociale cui sono assegnati compiti e funzioni coerenti rispetto al rapporto societario: convoca l’assemblea, redige i bilanci in corso di liquidazione ed il bilancio finale ed è responsabile del suo operato secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori (art. 2489, comma secondo, cod. civ.).
Il liquidatore di cui all’art. 182 leffe fall., invece, per il compito che espleta e il rapporto che lo lega agli organi della procedura (in particolare al commissario giudiziale, tenuto a viglilare sull’esecuzione del concordato, con riguardo anche al rispetto delle modalità di liquidazione determinate dal Tribunale in sede di omologazione), si viene a trovare in una posizione di terzietà rispetto al debitore, che esclude il determinarsi di un suo rapporto organico con la società e circoscrive la sua sostituzione agli organi di quest’ultima nei limiti funzionali all’esecuzione del mandato (realizzazione del valore dei beni ceduti – costituenti ormai una sorta di patrimonio separato -con riparto del ricavato).
Risulta allora evidente che manca nel liquidatore concordatario proprio il tratto tipico (rappresentato appunto dal rapporto organico con la società) che accomuna i soggetti richiamati nell’art. 236 legge fall., secondo comma, n. 1 (che sono poi gli stessi che l’art. 146 legge fall. indica come destinatari degli stessi obblighi del fallito in caso di fallimento della società), e che costituisce in sostanza la ratio stessa dell’applicabilità delle richiamate disposizioni agli artt. 223 e 224 legge fall., in una naturale estenzione ad essi, ai fini penali, degli effetti dell’insolvenza dell’imprenditore. Ed è questa mancanza che preclude un’analoga estensione nei confronti del liquidatore di cui all’art. 182 legge fall.
A tali rilievi si può aggiungere la generale considerazione che la tutela offerta dalla norma incriminatrice dell’art. 236, secondo comma, legge fall. è palesemente frammentaria e legata alla configurazione di peculiari modalità di offesa elette dal legislatore. Emerge cioè dal dato normativo l’intenzione del legislatore di non estendere in via generale la tutela offerta dalle fattispecie incriminatrici legate al fallimento ai fatti commessi nell’ambito delle procedure alternative a quest’ultimo, ma limitarne la applicabilità a specifici selezionati ambiti. In questa ottica non è ermeneuticamente possibile ricomprendere tra le figure indicate nell’art. 236, comma secondo, n. 1, legge fall. e, in particolare, all’interno della nozione di <
Vero è che in tal modo possono determinarsi, come denunciato in dottrina, dei vuoti di tutela (peraltro relativi perchè, a seconda delle situazioni, possono comunque soccorrere – indipendentemente da possibili riflessi di stampo pubblicistico – figure criminose comuni, come in particolare l’appropriazione indebita e la truffa). Ma ciò evidentemente non può giustificare forzature interpretative incompatibili col principio di tassatività delle fattispecie incriminatrici.
In conclusione può affermarsi il seguente principio di diritto:
“Il liquidatore dei beni del concordato preventivo di cui all’art. 182 legge fall. non può essere soggetto attivo dei reati di bancarotta di cui agli artt. 223 e 224, richiamati nell’art. 236, comma secondo, n. 1, legge fall., in quanto non può ritenersi ricompreso in alcuno dei soggetti ivi espressamente indicati e, in particolare, tra i !liquidatori della società“.
Le Sezioni Unite, poi si soffermano sul concetto di “sottrazione” caratterizzante una delle condotte alternative mediante le quali può realizzarsi il delitto di cui all’art. 334 cod. pen. (Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorita’ amministrativa) precisando che la condotta di “sottrazione” assume, rispetto alle altre ipotesi, un valore di chiusura improntato all’esigenza di sanzionare ogni comportamento contrassegnato dalla direzione e dall’attitudine a ledere l’interesse tutelato, che è quello pubblico alla conservazione del vincopo apposto su determinati beni in funzione del corretto conseguimento delle finalità cui per effetto di esso sono deputati. Sotto tale profile, la Cassazione ritiene rilevante ogni attività idonea a rendere non solo impossibile ma anche semplicemente più difficoltoso il detto conseguimento.
avv. Marco Martini