P.A.: risarcito il danno all’immagine solo se con rilevanza penale

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L’esercizio dell’azione per danno all’immagine da parte della Pubblica Amministrazione – nella specie la Procura della Corte dei conti – é limitato ai casi e modi previsti dall’art. 7 della legge n. 97/2001 (rilevanza penale dell’illecito amministrativo).
Lo ha chiarito La Corte Costituzionale nella sentenza n. 355 depositata il 15 dicembre 2010 con cui ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle Regioni Calabria, Campania, Umbria, Toscana, Sicilia e Lombardia avverso l’articolo 17, comma 30-ter, periodo secondo, terzo e quarto, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 relativamente al provvedimento anticrisi del 2009, secondo cui la Procura della Corte dei conti esercita l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97.

Spiegano i Giudici delle leggi che il legislatore ha ammesso la proposizione dell’azione risarcitoria per danni all’immagine dell’ente pubblico da parte della procura operante presso il giudice contabile soltanto in presenza di un fatto di reato ascrivibile alla categoria dei «delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione»; ciò per effetto del richiamo, contenuto nella norma censurata, all’art. 7 della legge n. 97 del 2001, che fa, appunto, espresso riferimento ai delitti previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale.

Non vi è dubbio che la formulazione della disposizione non consente di ritenere che, in presenza di fattispecie distinte da quelle espressamente contemplate dalla norma impugnata, la domanda di risarcimento del danno per lesione dell’immagine dell’amministrazione possa essere proposta innanzi ad un organo giurisdizionale diverso dalla Corte dei conti, adita in sede di giudizio per responsabilità amministrativa ai sensi dell’art. 103 Cost. Deve, quindi, ritenersi che il legislatore non abbia inteso prevedere una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione, e segnatamente di quella ordinaria, bensì circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine dell’amministrazione imputabile a un dipendente di questa. In altri termini, non è condivisibile una interpretazione della normativa censurata nel senso che il legislatore abbia voluto prevedere una responsabilità nei confronti dell’amministrazione diversamente modulata a seconda dell’autorità giudiziaria competente a pronunciarsi in ordine alla domanda risarcitoria. La norma deve essere univocamente interpretata, invece, nel senso che, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilità per danni all’immagine dell’ente pubblico di appartenenza, non è configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria.

Del resto – sottolinea la Corte – costituisce dato pacifico, come riconosciuto anche da questa Corte con la sentenza n. 371 del 1998, sulla quale si ritornerà nel prosieguo, che la limitazione della responsabilità amministrativa, sul piano soggettivo, al dolo o alla colpa grave, non implica che il dipendente pubblico, qualora la sua condotta si caratterizzi per la presenza di un minore grado di colpa, possa essere evocato in giudizio innanzi ad una autorità giudiziaria diversa dal giudice contabile.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, rientra, infatti, nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della scelta, conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa, valutando le esigenze cui si ritiene di dover fare fronte. Senza volere indagare in questa sede quale sia la effettiva natura della responsabilità derivante dalla lesione del diritto all’immagine di un ente pubblico, è indubbio che la responsabilità amministrativa, in generale, presenti una peculiare connotazione, rispetto alle altre forme di responsabilità previste dall’ordinamento, che deriva dalla accentuazione dei profili sanzionatori rispetto a quelli risarcitori (sentenze n. 453 e n. 371 del 1998). In questa prospettiva, il legislatore ha, tra l’altro, il potere di delimitare l’ambito di rilevanza delle condotte perseguibili, stabilendo, «nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza», quanto «del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo» (citata sentenza n. 371 del 1998).

Nel caso in esame, il legislatore ha ulteriormente delimitato, sul piano oggettivo, gli ambiti di rilevanza del giudizio di responsabilità, ammettendo la risarcibilità del danno per lesione dell’immagine dell’amministrazione soltanto in presenza di un fatto che integri gli estremi di una particolare categoria di delitti. La scelta di non estendere l’azione risarcitoria anche in presenza di condotte non costituenti reato, ovvero costituenti un reato diverso da quelli espressamente previsti, può essere considerata non manifestamente irragionevole. Il legislatore ha ritenuto, infatti, nell’esercizio della predetta discrezionalità, che soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l’altro, proprio il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione, possa essere proposta l’azione di risarcimento del danno per lesione dell’immagine dell’ente pubblico. In altri termini, la circostanza che il legislatore abbia inteso individuare esclusivamente quei reati che contemplano la pubblica amministrazione quale soggetto passivo concorre a rendere non manifestamente irragionevole la scelta legislativa in esame.

In definitiva, pertanto, la particolare struttura e funzione della responsabilità amministrativa, unitamente alla valutazione della specifica natura del bene giuridico protetto dalle norme penali richiamate dalla disposizione impugnata, rende non palesemente arbitraria la scelta con cui è stato delimitato il campo di applicazione dell’azione risarcitoria esercitatile dalla procura operante presso le sezioni della Corte dei conti.

di avv. Marco Martini