La Guardia di Finanza di Milano ha notificato otto avvisi di garanzia ed eseguito circa 150 perquisizioni nei confronti di varie società con sede in Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Abruzzo e Friuli nell’ambito di un’inchiesta su una grande truffa internazionale sull’Iva ai danni dell’erario sulle quote di emmissione di Co2.
Una nota della Gdf precisa che l’inchiesta — coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e dal pm Carlo Nocerino — riguarda società che, attraverso transazioni fittizie di quote di emissione di gas effetto serra, starebbero realizzando una presunta potenziale frode fiscale per circa 500 milioni di euro di Iva, la cosiddetta ‘frode carosello’.
L’inchiesta è stata condotta dai finanzieri italiani in collaborazione con le polizie tedesche e britanniche, perché la frode riguarda anche Inghilterra, Germania e Francia.
“Analizzando gli scambi commerciali delle quote di emissione di Co2, introdotte a seguito degli accordi di Kyoto, sono state monitorate operazioni anomale tra società che, seppur di piccole dimensioni, hanno operato volumi di transazioni per importi enormi, sfruttando anche la prevista non applicazione dell’Iva sugli acquisti delle quote inquinanti da soggetti economici comunitari”, spiega la nota.
“Queste società, che rivendevano ad altre aziende italiane i certificati con applicazione stavolta dell’Iva, erano pronte a ‘sparire’ nei prossimi mesi senza pagare le imposte dovute”.
La Gdf ha notificato otto avvisi di garanzia, tre dei quali nei confronti dei manager di una società di servizi che ha favorito la costituzione e l’operatività della stragrande maggioranze delle aziende indagate, aggiunge la nota, precisando che complessivamente gli indagati sono 21.
Le accuse sono associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato, emissione di fatture false e riciclaggio. Inoltre sono in corso sequestri di centinaia di “conti proprietà” ove sono depositati migliaia di permessi di emissione.
Secondo il Protocollo di Kyoto, ogni Stato può emettere una quantità fissa di anidride carbonica, che varia da Paese a Paese. Queste quote prendono il nome di carbon credit e gli stati che emettono meno CO2 di quella che è loro consentita possono vendere le quote non utilizzate ai paesi meno efficienti.
“Tali transazioni possono vedere la partecipazione sia degli operatori degli impianti coperti dalla direttiva, sia di soggetti terzi (trader), sui quali in particolar modo è incentrata l’attività di indagine”, spiega ancora il comunicato.
Fonte: Reuters