Cambia la proprietà di Arena holding: Di Dario esce.Perchè?

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Dante Di Dario getta la spugna e lascia la sua creatura, quell’Arena Holding con cui aveva solcato i mari della finanza internazionale e acquisito una popolarità e un rilievo importanti. E’la notizia del giorno, ma non è una notizia inattesa. Di Dario da tempo si sentiva solo, abbandonato dai salotti finanziari e poi anche da chi pensava non lo poteva mai abbandonare: la politica molisana. Incontrandolo in privato era noto il livore verso certi ambienti molisani rei di non aver capito quanto di buono Arena avrebbe potuto ancora esprimere. L’avvio di un quotidiano locale, radicalmente antigovernativo , la “Voce del Molise” era il suggello di questa sconfortata presa d’atto. Ora la cessione delle quote della sua creatura, anche se sorprese potrebbero sempre essere dietro l’angolo e mai nulla deve essere dato per scontato. Ripubblichiamo per l’occasione questa analisi di qualche mese fa, profetica nelle sue conclusioni e probabilmente ben fondata nella reale analisi economica e finanziaria di quella che è stata l’avventura di Arena sotto la guida di Dante Di Dario.

Dante Di Dario è indubbiamente un uomo di grandissimo intuito e di grandissima intelligenza. Lo conosciamo personalmente, conosciamo il suo approccio dinamico alla realtà, conosciamo il guizzo, lo scatto in avanti che trasforma un’idea, per quanto azzardata, in un progetto, in un possibile percorso imprenditoriale. E non si può poi non riconoscere a Dante Di Dario il merito di aver traghettato per molti anni un gruppo ormai completamente decotto, l’ex Sam verso una ripresa produttiva con il mantenimento di importanti livelli occupazionali.E’ del pari ovvio, però che da più di qualche tempo e non solo per colpa di una stampa malevola il mondo Arena/Solagrital/polo avicolo di Bojano era entrato in un cono d’ombra fatto di difficoltà e di problematicità, aggravate anche da avversità specifiche come la psicosi della febbre aviaria. Poi sono arrivate le dichiarazioni, venate in un certo qual modo di malinconia, che Di Dario ha rilasciato  ai quotidiani locali molisani ed in cui ha annunciato e spiegato il suo abbandono della Presidenza del gruppo Arena, la società quotata in borsa di cui è socio di maggioranza e che vede presente anche la banca americana Jp Morgan. Di Dario è un uomo orgoglioso, e probabilmente al suo orgoglio si deve la sottolineatura all’opinione pubblica molisana di quelle “motivazioni personali” che invece aveva seccamente comunicato alla Reuters e alla platea finanziaria nazionale. Motivazioni personali che a suo giudizio vanno ricercate in possibili ostacoli da parte della politica locale oltre che, come Di Dario ha sempre pensato, ad una stampa malevola. Attenzione, non stiamo parlando di conti in rosso o di deficit. Non è questo il vero problema, anche se una perdita di oltre 20 milioni di euro, dopo anni di bilanci in rosso (49,8 milioni nel 2008, 22,8 nel 2007e 17,5 nel 2006) non è un risultato che lascia troppi spazi all’ ottimismo. Non è questo però quello che ci interessa nello specifico, anche perché alla perdita si vorrà ovviare con un aumento di capitale di ben 45 milioni di euro, già deliberato e già ritenuto congruo anche dal revisore dei conti. Un aumento di capitale che a questo punto ci auguriamo venga sottoscritto, pena una situazione di crisi finanziaria assai complessa. Il punto è un altro, e siamo convinti che Di Dario lo conosce fin troppo bene. Il punto vero riguarda il modello complessivo di business perseguito in tutti questi anni da Arena e, ci consentirà per una volta l’ottimo Dante, anche da Solagrital. Un modello che negli anni ha dimostrato di non funzionare. Il modello di business del gruppo Arena infatti si fondava su un’idea in qualche modo ambiziosa e suggestiva. L’idea di rendere il pollo (o i prodotti della filiera avicola, per essere precisi) dei prodotti di moda, quasi fossero jeans di lusso, un paio di scarpe Prada o una giacca di Armani. Lo stesso assetto organizzativo di Arena/Solagrital nasce da questa idea e si confronta con singolari similitudini con il mondo del tessile e della moda. Solagrital infatti è il contoterzista, colei che ti realizza il pollo su disegno dello stilista, che non percepisce il grosso del valore aggiunto, ma impiega grandi quantitativi di lavoratori. Infatti Solagrital è una cooperativa e l’importante è che riesca a creare e mantenere posti di lavoro. Poi c’è il depositario del brand e della fase di commercializzazione, ossia l’Arena di Dante Di Dario, l’equivalente dello stilista, il Dolce&Gabbana del prodotto alimentare. L’Arena, quindi, preleva il pollo dalla cooperativa, lo spruzza di marketing, lo irrora di pubblicità e lo prezza alla stregua di un prodotto voluttuario, non come un prodotto alimentare di base quale poi il pollo in realtà è. Così il gioco è fatto. Certo non si guadagna tantissimo su un singolo pezzo di pollo fashion, ma visto che il pollo è un alimento di base largamente presente sulle tavole degli italiani basta spingere il suo prezzo un po’ più in alto per avere guadagni di grande consistenza. La realtà invece è stata molto più avara di soddisfazioni rispetto a questa singolare e certamente interessante intuizione di Di Dario. Il marketing infatti può spingere la vendita dei prodotti ma non ne può snaturare mai l’origine. Chi spende 800 euro per una borsa di Prada lo fa per motivi sociali, che nulla o poco hanno a che vedere con la necessità di vestirsi. Chi spende mille euro per un vestito Armani lo fa soprattutto per comunicare il proprio status sociale, ostentando una disponibilità di spesa di alto livello. Chi compra un pollo invece anche se stramiliardario, non è particolarmente interessato alla sua marca, e non vi spende nemmeno 10 euro, perché il suo consumo non comporta promozione sociale o visibilità nella collettività. C’è da dire poi che esiste un settore della filiera avicola che poteva dare soddisfazione all’intuizione di Di Dario e il recente lancio sul mercato di un prodotto interessante, qualche mese fa, poteva essere la via giusta. Si tratta del pollo preconfezionato e pronto da consumare, il “croccopollo” per capirci. Ma per entrare in quel settore bisogna avere una grande robustezza di capitali da investire, capitali che ormai l’Arena non aveva più e che, forse, non ha mai avuto. Per arrivare a Capitan Findus bisogna spendere cifre strepitose sia in pubblicità sia sulle reti di distribuzione commerciale. E qui arriviamo al secondo problema dell’iniziativa di Dante Di Dario. Si tratta di un’iniziativa, anche ammirevole per la sua ingegnosità, che partiva da una relativa mancanza di capitali. Di Dario non è la multinazionale Danone ed ereditava una situazione postfallimentare, con tutto quello che in termini di efficienza di impianti e di manutenzione dei marchi e delle reti commerciali ciò comportava. E allora Di Dario, e va anche ammirato per questo, ha dato libero spazio al proprio talento, che è un puro talento finanziario, non industriale. Di Dario nasce infatti come commercialista e della finanza conosce a menadito ogni possibile strada. Da qui l’idea di comprare a debito tutto il possibile e l’immaginabile, da qui l’idea di sfruttare la frenesia dei bond prima del caso Parmalat. Da qui l’acquisto di Roncadin, che produceva gelati per il mercato tedesco e quotarsi in Borsa. Tutto per trovare quei capitali che sin dall’inizio erano mancati al progetto Arena. Poi ci si è messa anche la sfortuna, leggi aviaria, ci si è messo il prosciugarsi dei mercati finanziari, il rincaro dei mangimi, ci si sono messe un sacco di cose. E alla fine il pollo, che non è né un prodotto fashion né un prodotto finanziario è apparso per quello che è: un prodotto alimentare a bassissimo valore aggiunto, in cui player specializzati da generazioni, industriali fino al midollo (come Amadori) fanno la parte del leone. Arena, come dice il revisore dei conti, dipende sempre e solo da Solagrital, perché lì ci sono i polli e perché Arena è una semplice rete di commercializzazione. Ed anche nel suo auspicabile futuro i destini delle due entità saranno sempre connessi. Infine una battuta sui politici locali, chiamati in causa da Di Dario come corresponsabili della difficile situazione attuale. Di Dario sa, come credo sappiano tutti i nostri lettori, che non siamo annoverabili tra le file di coloro che difendono a spada tratta la nostra classe politica e non lo vogliamo certo fare adesso. Ma pensare che quanto è successo ad Arena/Solagrital sia colpa della classe dirigente locale sopravvaluta il ruolo che la politica poteva esercitare in questa vicenda, vicenda tutta industriale e finanziaria. Non si può chiedere, infatti, ad una regione piccola come il Molise di avere delle politiche economiche e un management pubblico tale da poter sviluppare un’intuizione produttivo/finanziaria/di marketing come quella che Di Dario ha condotto in tutti questi anni. Certo i politici hanno le loro colpe, ma sono essenzialmente quelle di aver imbottito sino all’eccesso Solagrital di lavoratori che non avevano alcun futuro. Si tratta di colpe prosaiche, di livello mediocre, colpe tipiche della politica clientelare e post feudale di un territorio povero come quello molisano. Il punto non era quello allora, e non è quello adesso. Certo si porrà il drammatico problema di come sistemare 800 lavoratori per un’azienda che, secondo nostri personalissimi parametri diventa efficiente con non più di 300 dipendenti. Ma qui, e ha ragione Di Dario, sarà la politica a dover dare delle risposte, visto che la politica ha creato il problema. Quello che in questa sede ci interessava era fornire un quadro di riferimento complessivo della vicenda, lanciare spunti economici e industriali che poi potranno anche rivelarsi errate ma che meritano di essere approfonditi, dare, in definitiva, all’opinione pubblica una percezione più sintetica e meno tecnica di quello che è avvenuto a Bojano negli ultimi dieci anni.