Consumi: giù il reddito disponibile, ma famiglie ancora reattive

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Con una riduzione media annua del 2,1% nel biennio 2008-2009, i consumi pro capite tornano ai livelli di dieci anni fa, ma le famiglie italiane, nonostante il perdurare della crisi e la riduzione del reddito disponibile, si sono dimostrate vitali e reattive: meno sprechi, più attenzione al rapporto qualità-prezzo e ricorso anche a quote di risparmi è stato, infatti, il comportamento di spesa adottato per contenere al massimo la perdita di benessere patita durante la crisi. Tra le voci di consumo, nel biennio 2008-2009, in calo la spesa per le vacanze (-3,2%), i pasti in casa e fuori casa (-3,2%), mobilità e comunicazioni (-3,1%), l’abbigliamento (-3,1%); di contro, tengono le spese per la salute (+2,5%), per elettrodomestici e IT domestico (+2,4%) e quelle per beni e servizi per la telefonia (+0,4%). E, nell’analisi di lungo periodo (dal 1992 alle previsioni per il 2012), aumenta di cinque volte la spesa per beni e servizi di telecomunicazioni (cellulari, abbonamenti telefonici e internet, ecc.) rispetto a quella per la mobilità (acquisto di auto e spese di esercizio, carburanti, ecc.); analogamente, ma con minore intensità, si è modificato il rapporto tra pasti in casa e fuori casa: in pratica, nel 2012 per ogni euro speso per l’alimentazione domestica si spenderanno altri 50 centesimi per consumazioni fuori casa.
Questi, in sintesi, i principali risultati che emergono dal “Rapporto Consumi 2010” realizzato dall’Ufficio Studi Confcommercio e consultabile integralmente su www.confcommercio.it.

Nel terzo trimestre del 2010 – si legge nel Rapporto – il prodotto lordo dell’Italia è cresciuto di due decimi di punto su base congiunturale. Una variazione inferiore rispetto a quanto fatto registrare dalle economie più avanzate (ad es. Germania +0,7%, Regno Unito +0,8%, USA +0,5%) e molto esigua in termini pro capite.
Non va, però, trascurato che per il terzo trimestre consecutivo la variazione del Pil è risultata positiva – e questo indica che il Paese, tecnicamente, è fuori dalla recessione – e che nei mesi da giugno a settembre, secondo le rilevazioni dell’Indicatore Consumi Confcommercio, la variazione congiunturale dei consumi in termini reali è stata per tre volte su quattro positiva.

Tuttavia, pure in un contesto di prolungata e acuta criticità, le famiglie italiane, hanno manifestato un’ottima capacità di reazione, scegliendo i beni e i servizi con il migliore rapporto qualità-prezzo, riducendo gli sprechi, utilizzando una quota dei risparmi per tenere i livelli di benessere raggiunti in precedenza.
Superata la recessione, restano però ancora aperte le domande sui tempi di recupero del terreno perso nel biennio 2008-2009 che, sfortunatamente, si prospettano lunghissimi. Infatti, guardando alla spesa delle famiglie e agli occupati (fig. A), non soltanto appare evidente la posizione attuale del livello dei consumi (poco sopra i minimi storici) ma si capisce che la modesta ripresa non si è trasmessa ancora al mercato del lavoro (anche se i dati nazionali sono il risultato di una crescita occupazionale al Nord-Centro neutralizzata da una continua emorragia di posti di lavoro nel Mezzogiorno).
Senza una maggiore occupazione difficilmente si osserverà una curva crescente nella spesa reale per consumi. E senza consumi difficilmente ci sarà una ripresa solida.

L’andamento dei consumi
A ben guardare, comunque, nel biennio recessivo 2008-2009 il prodotto lordo e il reddito distribuito alle famiglie, quello cioè disponibile per i consumi, si sono ridotti molto più della spesa, implicando un incremento e non una riduzione della propensione al consumo (la frazione di reddito che si spende per consumi). Certo, la contrazione media annua del 2,1% della spesa per abitante (tab. B), riporta i consumi ai livelli precedenti il 1999. Un pauroso salto all’indietro che taglia il benessere fruito dai cittadini e genera aspettative negative sulle prospettive di qualità della vita.
I cittadini-consumatori non hanno però subito passivamente la crisi. Essi hanno colto le opportunità offerte dal mercato per ridurre al minimo le perdite di benessere connesse alle contrazioni nella qualità e nella quantità dei consumi durante la recessione.
E’ stato inevitabile rinunciare a una frazione rilevante delle spese per le vacanze e per la connessa mobilità, tanto che l’acquisto di auto nel 2010, dopo la fine degli incentivi, è crollato.
Anche il consumo alimentare domestico ha subito gravi cadute. Ma non è tutta riduzione di consumo effettivo. Si sono ridotti gli sprechi, si è abbassata la qualità, hanno consumato meno gli stranieri sul nostro territorio. Solo considerando questi fenomeni assieme, si spiega il -3,9% medio annuo dei consumi alimentari per abitante nel biennio 2008-2009. Meno profonda è stata la caduta dei pasti e delle consumazioni fuori casa. Le vecchie classificazioni piramidali – alla base i consumi necessari, al vertice quelli voluttuari – vanno aggiornate. Oggi si può rinunciare a una parte della qualità nell’alimentazione domestica mentre più difficilmente si opera un taglio drastico per la pizzeria o il ristorante (si riduce quasi certamente la frequenza, meno l’importo medio del pasto, al di là di fenomeni di destrutturazione dei pasti che poco hanno a che vedere con la crisi economico-finanziaria).

Necessarie sono le spese per la salute, per l’assistenza, per i servizi domestici. Non c’è recessione che ne riduca il volume richiesto. La congiuntura non scalfisce i trend di lungo termine. Nell’ambito della cura del sé, invece, rimane debole l’area dell’abbigliamento.
Necessari, in un certo senso, sono anche i consumi di beni e servizi per la telefonia, anche se ciò contrasta con la stima di un’elasticità al reddito piuttosto elevata per queste categorie di spesa. Probabilmente siamo in presenza di risposte asimmetriche della domanda nei confronti delle variazioni del reddito: incrementi di reddito, pure di modesta entità, generano consumi crescenti in misura molto più che proporzionale; decrementi di reddito limitano a una stagnazione la dinamica di questi consumi.

Previsioni
Lungo questi trend si costruiscono le previsioni per il prossimo biennio. In termini aggregati dopo il modesto 0,4% del 2010 in termini di crescita dei consumi, nel 2011 si dovrebbe completare la “guarigione” dell’economia e del clima di fiducia dei consumatori (+0,9% i consumi in termini reali). La vera ripresa dei consumi è collocata soltanto nel 2012 (+1,6%), anno nel quale dovrebbe diventare concretamente apprezzabile una fase di crescita, almeno in linea con le dinamiche sperimentate prima del 2007.
Allo stesso modo queste tendenze modificano la struttura della spesa: crescono le quote di risorse devolute alle telecomunicazioni; cresce la quota di spesa per la salute a scapito di quella per il vestiario; continua a svilupparsi l’alimentazione fuori casa, seppure in modo insufficiente a compensare la riduzione relativa all’alimentazione in casa; si riduce la quota destinata alla consumer electronics e all’IT domestico.

Come cambiano i consumi nel lungo periodo: due casi a confronto
Per fissare meglio la dimensione delle modificazioni dei consumi nel lungo periodo consideriamo i rapporti tra due coppie di funzioni di spesa particolarmente importanti nel periodo 1992-2012. Il primo riguarda le spese per beni e servizi di telecomunicazioni (dall’acquisto di cellulari di vario tipo, agli abbonamenti telefonici e internet) rispetto alle spese per la mobilità (la spesa per acquisto di mezzi di trasporto, le relative spese di esercizio e l’acquisto di carburanti): ebbene, nel giro di meno di venti anni il rapporto è quintuplicato (dal 10 a quasi il 50%). Ciò è frutto di una positiva relazione tra domanda e offerta: quest’ultima, attraverso l’innovazione tecnologica disponibile a prezzi decrescenti, ha reso concreta l’esigenza latente di comunicare sempre e da qualsiasi luogo, innestando una domanda che per dimensioni pro capite e diffusione nella popolazione era difficilmente prevedibile. In prospettiva, non riducendosi i tassi di innovazione, non si dovrebbe significativamente ridurre neppure la crescita della domanda.
Quanto al secondo caso, con intensità diversa ma sempre rilevante, si è modificato anche il rapporto tra spese per alimentazione fuori casa e alimentazione domestica. Il rapporto passa dal 36% dell’inizio degli anni ’90 a quasi il 50% previsto per il 2012. In pratica, nel 2012 per ogni euro speso per mangiare in casa quasi altri 50 centesimi saranno spesi per consumazioni fuori casa. Sono modificazioni di assoluto rilievo.
I trend di crescita e i cambiamenti delle quote di allocazione dei bilanci che leggiamo in termini aggregati sono frutto dell’impegno profuso per ottimizzare i propri consumi da parte di circa 25 milioni di famiglie italiane, nelle quali si aggregano oltre 60 milioni di individui.


L’arte di consumare

Da un punto di vista economico si può affermare che gli italiani vogliono e sanno scegliere. Ed effettivamente scelgono, almeno quando possono. Seppure a un livello di aggregazione molto elevato – in termini di categorie di spesa e, soprattutto, mediando su tutti i consumatori italiani – emerge dalla fig. C che i consumi per i quali gli italiani esprimono preferenze spinte e consolidate nel tempo presentano quote fortemente crescenti e variazioni in termini reali che risentono poco delle recessioni. Aggregando le voci di spesa che presentano le maggiori elasticità al reddito, cioè le voci di spesa che gli italiani realmente preferiscono, si vede che questo paniere conquista quote di spesa sempre più rilevanti. In altri termini, i consumatori combattono quotidianamente, e spesso con successo, una battaglia per mantenere il più elevato possibile il proprio tenore qualitativo in termini di consumo. Tutto quello che si può ridurre – sprechi inclusi – si riduce, mentre ciò che si desidera di più viene tagliato per ultimo.

La quota di consumi preferiti passa dal 13% del 1992 a poco meno del 20% nel 2008. Durante la recessione questo paniere non può che ridursi, ma ciò accade in misura esigua rispetto alla spesa complessiva (molto meno dell’1% in ciascuno dei due anni di crisi). Ovviamente la figura evidenzia che c’è uno stop nella corsa di questa frazione di spesa desiderabile e qualificata, perché la riduzione nel reddito reale e nella ricchezza finanziaria e immobiliare ha pur sempre qualche effetto. Ma non c’è più il crollo che si è verificato per esempio nel 1993 (-9%) e quindi la previsione indica che la quota di consumi preferiti riprenderà a crescere dall’anno prossimo.