Cassazione: è truffa aggravata il reato di frode fiscale

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Con la decisione in esame le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che sia il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. n. 74 del 2000) che quello di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8, D.Lgs. n. 74 del 2000) sono in rapporto di specialità rispetto al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen.), in quanto qualsiasi condotta di frode al fisco – purchè non ne derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni – non può che esaurirsi all’interno del quadro sanzionatorio delineato dall’apposita normativa.

Si legge nella sentenza che il raffronto fra le fattispecie astratte evidenzia che la frode fiscale è connotata da uno specifico artifizio, costituito da fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Una volta chiarito che la condotta di cui alla frode fiscale è una specie del genere ” artifizio”, non si può far leva, per affermare la diversità dei fatti, sugli elementi danno e profitto, giacchè questi dati fattuali di evento non possono trasformare una tale situazione di identità ontologica dell’azione in totale diversità del fatto.

Per quanto riguarda l’evento di danno, esso è specificato nell’art.1, comma 1, lett. d) d lgs n.74 del 200, che include nel ” fine di evadere le imposte” anche il fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d’imposta, e il conseguimento, in quanto delitto di frode fiscale si connota come reato di pericolo o di mera condotta, perchè il legislatore ha inteso rafforzare in tal modo la tutela, anticipandola al momento della commissione della condotta tipica, intendimento ulteriormente confermato dalla misura della sanzione, superiore ( sia la minimo che nel massimo) a quella prevista per il delitto di truffa aggravata.

Nella stessa relazione governativa, si osserva che la dichiarazione fraudolenta” si connota come quella ontologicamente più grave: essa ricorre, infatti quando la dichiarazione non soltanto non è veridica, ma risulta altresì ” insidiosa”, in quanto supportata da un “impianto contabile”, o più genericamente documentale, atto a sviare o ad ostacolare la successiva attività di accertamento dell’amministrazione finanziaria, o comunque ad avvalorare artificiosamente l’inveritiera prospettazione di dati in essa racchiusi>>. In tal modo, il legislatore valuta che la condotta descritta, oltre che essere connotata di particolare disvalore, è anche oggettivamente idonea a raggiungere lo scopo perseguito, cioè ad esporre concretamente a pericolo il bene tutelato, ciò spiega la indifferenza dell’evento di danno nell’integrazione della fattispecie oggettiva. Lo stesso legislatore, peraltro, non considera irrilevante l’entità del profitto e del conseguente danno, posto che prevede una diminuzione della sanzione, parametrandola proprio ai suddetti elementi ( art.2 comma 3 e 8, comma 3, d.lgs n. 74 del 2000), con la conseguenza che ritenere la configurabilità in concorso della truffa aggravata significherebbe svuotare di ogni valenza giuridica le soglie sanzionatorie.

La citata relazione governativa marca queste caratteristiche dei reati in questione e sembra proprio escludere la configurabilità di un concorso con la truffa aggravata ai danni dello Stato, osservando, rispetto a quest’ultimo reato, come >> il relativo paradigma punitivo prescinda sia dall’ammontare dell’ingiusto profitto conseguito che dalla particolare natura dell’artifizio utilizzato ( la quale, nel delitto tributario in esame, assume connotati di particolare disvalore)>>.

Queste considerazioni sono sufficienti a rispondere alle obiezioni circa l’assenza nel reato di frode fiscale dei due elementi dell’induzione in errore e del danno al patrimonio dello Stato, che sono elementi essenziali per la configurazione del reato di truffa. Ma potrebbe anche aggiungersi , sotto un altro profilo, che sia l’induzione in errore che il danno sono presenti nella condotta incriminata dal reato di frode fiscale, posto che alla presentazione di una dichiarazione non veridica si accompagna normalmente il versamento di un minor ( o di nessun) tributo e genera, in prima battuta e nella fase di liquidazione della dichiarazione, un ‘induzione in errore dell’amministrazione finanziaria e un danno immediato quanto meno nel senso del ritardo nella percezione delle entrate tributarie.

La negazione del rapporto di specialità tra frode fiscale e truffa ai danni dell’erario, si pone, inoltre, in contraddizione con la linea di politica criminale e con la ratio che ha ispirato il legislatore nella riforma di cui al d.lgs n.74 del 2000.

La linea di politica criminale adottata dal legislatore, nell’ambito delle scelte discrezionali che gli competono, in occasione della riforma introdotta con il d. lgs n. 74 del 2000, sono state ampiamente delineate dalle sezioni unite di questa Corte ( Sez.unite n. 27 del 25.10.2000, Di Mauro), affrontando il problema della continuità normativa dell’illecito fra l’ipotesi di frode di cui all’art.4, lett.f) d.l 10 luglio 1982, n.429, convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516 e la nuova ipotesi di dichiarazione fraudolenta di cui all’art.2 d.lgs 10 marzo 2000, n.74 e successivamente dalla Corte Costituzionale ( sentenza n.49 del 2002), nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli art. 6 e 9, comma 1, lett. b, d.lgs 10 marzo 2000, n.74 in riferimento all’art.3 della Costituzione nella parte in cui escludono, rispettivamente, la punibilità a titolo di tentativo del delitto di cui all’art.2 medesimo decreto legislativo e la punibilità di chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti a titolo di concorso nel reato di emissione di tali fatture o documenti, previsto dall’art 8 del decreto stesso, posto che il giudice rimettente aveva, in sostanza, richiesto alla Corte di rimuovere la sospetta incostituzionalità tramite un riequilibrio in malam partem del rispettivo regime sanzionatorio.

Sia le Sezioni Unite che la corte costituzionale sottolineano che il legislatore, in occasione della riforma introdotta con il d.lgs n. 74 del 2000, con una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria, ha inteso abbandonare il << il modello del c.d “reato prodromico”, caratteristico della precedente disciplina di cui al d.l 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516 – modello che attestava la linea d’intervento repressivo sulla fase meramente ” preparatoria” dell’evasione dì imposta – a favore del recupero alla fattispecie penale tributaria del momento dell’offesa degli interessi dell’erario. questa strategia – come si legge nella relazione ministeriale – ha portato a focalizzare la risposta punitiva sulla dichiarazione annuale, quale atto che << realizza dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo e definitivo dell’evasione, negando rilevanza penale autonoma alle violazioni 2 a monte” della dichiarazione stessa>> ( Corte cost. citata).

La dichiarazione annuale ” fraudolenta” ( art 2 d.lgs. n.74 del 2000), siccome non soltanto mendace ma caratterizzata altresì da un particolare ” coefficiente di insidiosità” per essere supportata da un impianto contabile o documentale per operazioni inesistenti, costituisce dunque la fattispecie criminosa ontologicamente più grave; << il delitto, di tipo commissivo e di mera condotta, seppure teleologicamente diretto al risultato dell’evasione d’imposta ( come precisato nella definizione del dolo specifico di evasione sub art.1 lett.d), ha natura istantanea e si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale>> ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non rilevando le dichiarazioni periodiche e e quelle relative ad imposte diverse, << con la conseguenza che il comportamento di utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, si configura come ante factum meramente strumentale e prodromico per la realizzazione dell’illecito, e perciò non ” punibile2 ( così Sez Un cit). Risulta poi autonomamente strutturata la fattispecie criminosa di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, finalizzata a consentire l’evasione altrui, attività illecita di spiccata pericolosità consistente nell’immissione sul mercato di documentazione idonea a supportare l’indicazione fraudolenta in dichiarazioni di elementi passivi fittizi: l’ipotesi criminosa dell’emissione, regolata dall’art 8, è dunque punita di per sè, mentre l’utilizzazione solo in quanto trasfusa in una falsa dichiarazione. Particolare rilievo sistematico assumono altresì le disposizioni normative degli art.6 e 9 d.lgs n.74 del 2000 sul tentativo e, rispettivamente, sul concorso di persone. La disposizione dell’art. 6 d.lgs n.74 del 2000, escludendo la punibilità a titolo di tentativo dei delitti in materia di dichiarazione di tipo commissivo di cui agli artt. 2, 3,4 dello stesso decreto legislativo, << mira – oltre che a stimolare, nell’interesse dell’erario, la resipiscenza del contribuente scoperto nel corso del periodo d’imposta – ad evitare che violazioni “preparatorie”, già autonomamente represse nel vecchio sistema ( registrazione in contabilità di fatture per operazioni inesistenti, omesse fatturazioni, sottofatturazioni, ecc), possano essere ritenute tuttora penalmente rilevanti ex se, quali atti idonei, preordinati in modo non equivoco ad una falsa dichiarazione>>, come tali punibili ex se a titolo di delitto tentato ( così Corte Cost.cit).

Sotto diverso profilo, << il successivo art.9 esclude, in deroga all’art.110 cp, la configurabilità del concorso dell’emittente nel reato di dichiarazione fraudolenta commesso dall’utilizzatore e soprattutto, in forza della medesima logica sottesa alla non configurabilità del tentativo (<< quella cioè di ancorare comunque la punibilità al momento della dichiarazione fraudolenta evitando una indiretta resurrezione del reato prodromico>>: relazione governativa , par 3.2.1), del concorso dell’utilizzatore nel reato di emissione anche in caso di preventivo accordo. Di conseguenza, per l’emittente la successiva utilizzazione da parte di terzi configura un postfatto non punibile, mentre per l’utilizzatore, che se ne avvalga nella dichiarazione annuale , il prelievo rilascio costituisce un antefatto pure irrilevante penalmente; del pari, l’intermediario non potrà considerarsi concorrente in entrambi i reati ma, a seconda dei casi concreti, in una delle distinte ipotesi>> ( così Sez U cit).

Proprio sulla base di tali riflessioni della Corte Costituzionale e delle Sezioni Unita, alcune delle decisioni che sostengono l’esistenza di un rapporto di specialità tra la fattispecie penale tributaria e quella comune di truffa aggravata ai danni dello stato osservano correttamente che la negazione della sussistenza del suddetto rapporto si porrebbe in palese contrasto con la linea di politica criminale e con la stessa ratio che ha ispirato il legislatore nel dettare le linee portanti della riforma introdotta che il decreto legislativo n.74 del 2000; in particolate, sarebbe paradossale ipotizzare, in capo all’emittente la falsa documentazione, una responsabilità penale costruita facendo leva su una fattispecie di ” genere” 8 truffa ai danni dell’erario), in presenza di una condotta ” fiscale” che si ” esaurisce” nella configurabilità della ipotesi speciale descritta dal decreto legislativo n. 74 del 2000. In altri termini, se il legislatore individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della fattispecie di evasione, espressamente escludendo che la soglia di punibilità possa essere ” anticipata”, ai sensi dell’art.56 cp, anche nel caso di accertamento di irregolarità fiscali compiute nel corso del periodo d’imposta, non è ovviamente consentita l’utilizzazione strumentale di un ipotesi delittuosa comune contro il patrimonio quale la truffa aggravata ai danni dello Stato ( eventualmente anche sub specie di tentativo) per alterare, se non stravolgere, il sistema di repressione penale dell’evasione disegnato dalla legge.

Ugualmente deve dirsi con riferimento al reato di mera emissione di fatture, destinate alla eventuale utilizzazione da parte di soggetti terzi, poichè la configurabilità di un concorrente delitto di truffa potrebbe portare, non solo ad eludere la norma che esclude che la punibilità possa essere anticipata ai sensi dell’art. 56 cp, ma anche quella che impedisce la configurabilità di un concorso tra emittenti ed utilizzatori, in deroga all’art. 110 cp ( art.9, d.lgs n.74 del 2000).

Argomenti a favore della prospettata interpretazione sono stati tratti anche dalla legge 27 dicembre 2002, n.289 ( Legge finanziaria 2003), poichè ai sensi del combinato disposto del comma 6, lett. c, dell’art.8 ( <<… il perfezionamento della procedura prevista dal presente articolo comporta……c) l’esclusione ad ogni effetto della punibilità per i reati tributari di cui al d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, articoli 2…..>>) e del comma 12 dello stesso articolo (<< La conoscenza dell’intervenuta integrazione dei redditi e degli imponibili ai sensi del presente articolo non genera obbligo o facoltà della segnalazione di cui all’art.331 cpp. L’integrazione effettuata ai sensi del presente articolo non costituisce notizia di reato>>) deve ritenersi che il legislatore abbia escluso il concorso con il delitto di truffa ai danni dello Stato. Diversamente, non avrebbe stabilito l’esonero dalla denuncia e non avrebbe espressamente disposto che l’integrazione effettuata ai sensi dell’art. 8, legge cit ” non costituisce notizia di reato” D’altro canto, se si facesse rientrare la condotta del soggetto agente nella sfera di punibilità del delitto di truffa ai danni dello Stato, si avrebbe l’effetto di impedire il perseguimento delle finalità a cui l’intervento normativo è rivolto, poichè la legge sul condono ha lo scopo di evitare costi all’amministrazione finanziaria invitando l’evasore a definire ogni pendenza con l’erario attraverso il pagamento di una somma di denaro predeterminata.

In definitIVA, qualsiasi condotta di frode al fisco non può che esaurirsi all’interno del quadro sanzionatorio delineato dalla apposita normatIVA.

Occorre ancora considerare che ai sensi dell’art.325 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ( ex art.280 del T.C.E), nel testo in vigore dal 1 dicembre 2009<< l’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’unione stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell’unione ( comma1). Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari ( comma 2)>>. Questa disposizione esprime il c.d principio di assimilazione: gli interessi finanziari europei sono assimilati a quelli nazionali con la conseguenza che gli Stati sono tenuti ad agire con gli stessi mezzi e adottando le stesse misure in entrambi i casi. La Corte di giustizia U.E, già con sentenza 21 settembre 1989, causa n. 68/88, Commissione c. Repubblica ellenica, impose agli Stati membri di equiparare la tutela degli interessi comunitari a quella dei propri interessi finanziari e di prevedere un dispositivo di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive. A tal fine, occorre considerare che la convenzione relatIVA alla tutela degli interessi finanziari delle comunità europee ( oggi dell’unione europea) del 26 luglio 1995, definisce, all’art.1, la portata dell’espressione frode comunitaria, distinguendo tra quella in materia di spese ( tra cui l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni e documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi provenienti dal bilancio generale delle comunità europee o dai bilanci gestiti dalle comunità europee o per conto di esse) e quella in materia di entrate ( tra cui l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni e documenti falsi , inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale delle comunità europee e dei bilanci gestiti dalle comunità europee o per conto di esse). Poichè tra le fonti di approvvigionamento delle risorse finanziarie dell’U.E rientra una certa percentuale dell’imposta sul valore aggiunto Iva riscossa dagli stati membri, appare evidente come ogi condotta diretta ad eludere il pagamento dell’IVA , oltre agenerare un danno economico per gli introiti dello Stato, si ripercuote negatIVAmente sulle finanze U.E, seppure in misura proporzionalmente inferiore.

Pertanto, la lesione degli interessi finanziari dell’U.E in casi di frode in materia di IVA si manifesta come lesIVA, sia in via diretta che indiretta, degli stessi interessi e le norme penali nazionali in materia di IVA riguardano l’imposta nel suo complesse, quindi sono idonee a tutelare anche la componente comunitaria.

Particolarmente significatIVA è la previsione contenuta all’art. 7 della citata convenzione secondo cui <<1. Gli Stati membri applicano, nel loro diritto penale interno, il principio ne bis in idem, in virtù del quale la persona che sia stata giudicata con provvedimento definitivo in uno Stato membro, non può essere perseguita in un altro stato membro per gli stessi fatti, purchè la pena eventualmente applicata sia stata eseguita, sia in fase di esecuzione o non possa essere più eseguita ai sensi della legislazione dello Stato che ha pronunciato la condanna>>. Tale disposto, mentre evidenzia la duplicità della lesione degli interessi finanziati dei singoli Stati e della U.E, conferma che la tutela dei suddetti deve essere attuata mediante un sistema sanzionatorio che è esaustivo degli interventi repressivi, non solo all’interno dei confini nazionali, ma anche nella dimensione comunitaria. Vi è, dunque, una generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitIVA dello Stato ( e della Unione Eupea).

Ciò che può rilevarsi è la inadeguatezza della disciplina del d.lgs n.74 del 2000 al fine di un contrasto alle frodi fiscali, soprattutto in considerazione della impossibilità di applicare la confisca per equIVAlente, prevista, invece, in relazione al reato di trufa aggravata ai danni dello Stato ( art.640- quater cp) . Lacuna peraltro, colmata a seguito della legge 24 dicembre 2007, n.244, art.1, comma 143, ( Legge finanziaria 2008), il quale dispone che << nei casi di cui agli art.2,3,4,5,8,10-bis-ter,10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n.74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art 322-ter del cp>>, in tal modo le somme di denaro sottratte al pagamento dell’IVA dovuta costituiscono il profitto del reato, in ordine al quale è possibile la confisca per equIVAlente, con conseguente legittimità del sequestro preventivo, ex art. 321 cpp, comma 2 ( Sez.III, 26 maggio 2010, n. 25890, Molon, rv 248058) . Ulteriori interventi di contrasto contro il fenomeno delle frodi fiscali, in particolare contro le c.d operazioni carosello, sono contenuti nel d.l marzo 2010, n.40, convertito con modificazioni in legge 22 maggio 2010, n.73.

Proprio queste novelle legislative dimostrano ulteriormente che il sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e autosufficiente, all’interno del quale si esauriscono tutti i profili degli interventi repressivi, dettando tutte le sanzioni penali necessarie a reprimere condotte lesive o potenzialmente lesive dell’interesse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali.

Deve, pertanto, affermarsi il seguente principio di diritto:<< i reati in materia fiscale di cui agli artt.2 e 8 del d.lgs 10 marzo 2000, n.74, sono speciali rispetto al delitto di truffa aggravata a danno dello Stato di cui all’art. 640, secondo comma, n. 1, cod.pen.>>.

Avv. Marco Martini