Condannata a pagare 10 mila euro perchè abusava dei processi

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Fare causa temerariamente abusando dello strumento processuale e del (preziosissimo) tempo dei giudici può costare ancora più caro, da quando è stata introdotta dall’art. 45, comma 12, della Legge 18 giugno 2009, n. 69 la possibilità di condanna in sede di liquidazione delle spese processuali, anche d’ufficio e quindi senza apposita richiesta da parte di una delle parti in causa, al pagamento di una somma determinata equitativamente dal giudice in casi simili.
Così Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, segnala una delle prime sentenze in materia, la 98/2011 della prima sezione civile del Tribunale di Varese, che potrà costituire da monito per chi senza alcun valido motivo contribuisce ad ingolfare il già macchinoso apparato giudiziario, perché chi abusa dei processi evidentemente danneggia non solo gli altri soggetti coinvolti nell’azione, perché ritarda l’accertamento della verità, ma inflaziona anche tutto il sistema-Giustizia.
Quindi, può ritenersi che l’ultima riforma del processo civile ha introdotto una norma a carattere sanzionatorio per tutelare la totale funzionalità del sistema, che si risolve in una pena pecuniaria da applicare d’ufficio.
Accade, infatti, soventemente, nel Paese delle carte bollate che lo strumento giudiziario sia utilizzato con effetti dilatori ed addirittura quasi per dispetto, come succede assai spesso tra coniugi, così come nel caso di specie nel quale tra moglie e marito era stata avviata una vera e propria guerra giudiziaria che li aveva visti avviare ben quattro diversi procedimenti in due anni.
In particolare nella questione affrontata nel azione di cui alla sentenza in commento, la signora si era opposta ad un decreto ingiuntivo relativo alla riconsegna di un impianto di proprietà del marito ed a lei affidato in comodato senza termine e perciò suscettibile di revoca ad nutum.
Nonostante ciò l’ex aveva citato il marito pur avendo contezza dell’inutilità dell’opposizione e quindi, il giudice, ritenuta l’infondatezza e soprattutto la colpevolezza con cui ha agito l’attrice, ha condannato quest’ultima – così come previsto dal terzo comma dell’articolo 96 del codice di procedura civile – al pagamento di una somma ulteriore quantificata in ben 10mila euro.