72.500 imprese in più nel 2010 (+1,2%), il saldo migliore dal 2006

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Il 2010 si è chiuso con un buon risultato per il sistema delle imprese italiane. Alla fine dell’anno, il bilancio anagrafico tra le aziende nate e quelle che hanno cessato l’attività ha fatto registrare un aumento di 72.530 unità, in crescita dell’1,2% rispetto all’anno precedente. L’esito positivo rappresenta il saldo migliore dal 2006 ed è dovuto alla ripresa delle nuove iscrizioni, risultate pari a 410.736 unità (miglior risultato degli ultimi tre anni) e al contemporaneo rallentamento del flusso delle cessazioni, pari a 338.206 unità (il valore più contenuto degli ultimi quattro anni). Del ritorno alla ‘normalità’ della dinamica imprenditoriale non ha beneficiato il comparto artigiano che, nei dodici mesi del 2010 (pur migliorando il bilancio rispetto al 2009) ha perduto circa 5mila aziende. Al 31 dicembre scorso, pertanto, le imprese che risultano iscritte ai Registri delle Camere di commercio sono 6.109.217, delle quali 1.470.942 (il 24,1%) artigiane.
Due le tendenze di fondo che hanno determinato il risultato del 2010. Da un lato la forte crescita delle Società di capitali e delle “Altre forme” societarie (cooperative e consorzi) che insieme, con 55.400 unità, hanno inciso per più dei tre quarti (76,4%) sul saldo complessivo. Dall’altra, la tenuta delle Ditte individuali che, dopo un triennio di progressiva riduzione dello stock, lo scorso anno sono tornate a crescere realizzando un saldo positivo per oltre 13mila unità, pari al 18,4% dell’intero saldo annuale.

Questi i dati di sintesi più significativi diffusi da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione trimestrale sulla natalità e mortalità delle imprese condotta da InfoCamere, la società di informatica delle Camere di Commercio italiane.
“Tra gli italiani c’è voglia di fare, c’è voglia di scommettere su sé stessi per realizzare quel benessere che è stato così duramente minacciato dalla crisi. Un obiettivo che si persegue sempre più contando sulle proprie competenze e le proprie abilità. Guardando al mercato e prendendo su di sé, consapevolmente, il rischio di fare impresa”. E’ questo, secondo il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, il quadro che emerge dall’andamento delle anagrafi delle Camere di commercio dello scorso anno. “Da questi dati – ha aggiunto Dardanello – vediamo un Paese che ha una grandissima riserva di capacità di innovare e di affrontare il cambiamento degli scenari, per quanto difficile e rischioso. Sono queste le forze su cui il Paese può e deve contare per rilanciarsi e dunque è fondamentale dare loro gli strumenti per crescere. L’agenda di questi neo-imprenditori è l’agenda delle famiglie, del lavoro e non può essere rinviata perché il mondo non si ferma per aspettarci. Le imprese chiedono alla politica risposte concrete per sostenere e facilitare le loro attività: rimuovendo gli ostacoli burocratici che ancora le imbrigliano, riformando la giustizia civile, rilanciando l’ammodernamento delle infrastrutture e della pubblica amministrazione, investendo sulla formazione”.

Il quadro generale
Il saldo complessivo realizzato nel 2010, oltre a riportare la dinamica della vitalità imprenditoriale italiana ai livelli del 2006, segna un marcato punto di svolta rispetto all’ultimo quinquennio, durante il quale i saldi si erano andati progressivamente riducendo di entità. Dopo il picco del 2004, quando il sistema delle imprese crebbe di quasi 105mila unità, in tutti gli anni successivi i bilanci tra iscrizioni e cessazioni si erano, infatti, progressivamente ridotti fino al record di sole 17.385 imprese in più fatto registrare nel 2009.
Rispetto al quadro complessivo, la dinamica dell’artigianato ha seguito un profilo simile, con saldi in progressiva riduzione dal 2004 (con l’unica eccezione del 2007). Nel complesso, però, il comparto segnala difficoltà più marcate della media delle imprese e ciò per il peso che la crisi ha avuto su settori-chiave dell’artigianato, quali le costruzioni e l’industria manifatturiera. Ciò ha portato il saldo degli ultimi due anni a scendere addirittura in campo negativo: nel 2009 per 15.914 unità e nel 2010 per 5.064 unità, con un’attenuazione che fa sperare in un ulteriore recupero nei prossimi mesi.
Guardando ai flussi delle iscrizioni e delle cessazioni (le determinanti alla base del saldo), il 2010 si conferma come un anno davvero diverso da tutti i precedenti dal momento che, per la prima volta dal 2003, i due indicatori seguono direzioni opposte. In particolare, mentre le prime tornano ad aumentare dopo un biennio di ripetute contrazioni, le seconde accentuano la tendenza alla riduzione avviata dal 2007 (quando si toccò un massimo di oltre 390mila chiusure).
In definitiva, lo slancio all’espansione della base imprenditoriale registrato nel 2010 appare frutto di una ritrovata volontà degli italiani a ricercare nell’impresa e nel mercato la risposta ai propri progetti di vita, sia attraverso l’avvio di nuove attività, sia impegnandosi a mantenere in vita quelle esistenti.

Le dinamiche per forma giuridica
La Tabella 2, nel distinguere le imprese artigiane rispetto al totale delle imprese registrate, mette in luce come la recente crisi economica abbia influito diversamente nei due universi. Innanzitutto, a differenza del 2009, nel 2010 tutte le tipologie di forme giuridiche in cui si dividono le imprese registrate conoscono un tasso di crescita positivo. Nell’universo delle sole imprese artigiane, invece, sia nel 2009 come nel 2010 le Ditte individuali e le Società di persone evidenziano un tasso di crescita negativo.
In termini assoluti, il contributo più rilevante al saldo annuale viene ancora una volta dalla crescita delle Società di capitali: 50.509 le aziende in più, pari al 69,6% del saldo complessivo. Accanto a questo che è un ormai fenomeno di lungo periodo – in virtù del quale il tessuto imprenditoriale nazionale si va progressivamente rimodellando su forme d’impresa più articolate e adatte a competere sui nuovi mercati – è da segnalare l’inversione di tendenza nel saldo delle Ditte individuali del 2010. Dopo un quinquennio di continua e sostenuta riduzione di questa componente dell’imprenditorialità – avvenuta a dispetto della contemporanea spinta positiva dell’imprenditoria immigrata – nei dodici mesi dello scorso anno i piccoli e piccolissimi alfieri del lavoro autonomo hanno ripreso a crescere, contribuendo all’espansione della base imprenditoriale per 13.291 unità. Resta da notare che il ritorno alla crescita di questa forma giuridica è interamente spiegato dalla componente delle imprese aperte da imprenditori immigrati, cresciuta nel 2010 di oltre 15mila unità. In definitiva, considerando l’insieme delle forme giuridiche, il contributo delle imprese di immigrati rappresenta una quota pari al 21,3% del saldo annuale complessivo.
Mentre le imprese artigiane sono pienamente coinvolte nel processo di rafforzamento legato alla crescita delle Società di capitale (l’unico vero saldo positivo artigiano nel 2010 si realizza in questa forma giuridica, con 2.546 imprese di capitali artigiane in più), non altrettanto si può dire delle Ditte individuali. Lo scorso anno, infatti, queste ultime nell’artigianato si sono ridotte di ulteriori 4.475 unità.
In termini strutturali, alla fine del 2010 più della metà delle imprese italiane (il 55,3%) è ancora costituito da Ditte individuali. Negli otto anni presi in esame dalla Tabella 3, le Ditte individuali hanno conosciuto un decremento dello stock pari al 6,9%, mentre la loro incidenza sul totale delle imprese registrate è diminuito di 3,3 punti percentuali, scendendo dal valore del 58,6% nel 2003, a quello del 55,3% del 2010.
Pur riducendosi in termini assoluti, l’universo delle Ditte individuali continua a rappresentare la più grande scuola di “formazione sul lavoro” per l’attività imprenditoriale di cui disponga il sistema formativo del Paese. Molte attività imprenditoriali più solide (dal punto di vista della forma giuridica), riescono ad affermarsi proprio perché affondano le radici in un “terreno” reso fertile dal ricco flusso delle iscrizioni e delle cessazioni di Ditte individuali.
All’interno delle imprese che adottano la forma societaria, le Società di persone sono da almeno due decenni in declino sia in termini assoluti che relativi. Come mostra la Tabella 3, nei soli sette anni che separano il 2003 dal 2010, il loro decremento è stato pari al 4,7%, mentre il loro peso percentuale sul totale delle imprese è diminuito di 1,6 punti percentuali. Molto marcato risulta l’incremento delle Società di capitali e delle “Altre forme” societarie che, insieme, negli ultimi sette anni hanno conosciuto un incremento pari al 28,6%, mentre il loro peso percentuale è cresciuto di cinque punti.

Le dinamiche sul territorio
La crescita del 2010 si è localizzata in modo più accentuato nel Centro e nel Sud. Le due circoscrizioni, a fronte di uno stock delle proprie imprese che a inizio 2010 era pari al 54% di tutte le imprese italiane, hanno infatti determinato il 62,8% della crescita totale dell’anno. In termini assoluti, la circoscrizione che ha dato il maggior contributo (24.848 unità in più) al saldo positivo delle imprese è stata quella del Sud e Isole. Seguono il Centro (+ 20.702 imprese), il Nord-Ovest (+19.226) e il Nord-Est (+7.754).
Dal punto di vista regionale, a differenza del 2009 – quando in otto regioni su venti si registrarono saldi negativi – nel 2010 tutte le regioni hanno chiuso il bilancio anagrafico in attivo. In termini assoluti le regioni che hanno visto aumentare di più il numero delle loro imprese sono state la Lombardia (+14.233) il Lazio (+12.477) e, più distanziata, la Campania (+7.279). In termini relativi, le dinamiche più accentuate si registrano nel Lazio (+2,11% il tasso di crescita regionale rispetto al 2009), in Calabria (1,67%) e in Lombardia (+1,46%).
Guardando al dettaglio delle sole imprese artigiane, il quadro cambia decisamente con ben quindici regioni su venti che chiudono l’anno con il segno meno nel saldo. A registrare un bilancio positivo sono state, nell’ordine, ancora una volta il Lazio (+0,64%), la Liguria (+0,62%), Abruzzo e Valle d’Aosta (+0,52%), e Trentino Alto Adige (+0,22%).

Le dinamiche settoriali
L’analisi settoriale dei saldi evidenzia gli effetti di alcune dinamiche di lungo periodo che connotano i tre grandi settori economici tradizionali (agricoltura, manifattura e commercio) e le crescenti opportunità di fare impresa che vengono dai settori dei servizi.
L’agricoltura continua a registrare una riduzione numerica delle imprese (-13.431 unità), legata più alle continue modificazioni nell’uso del territorio agricolo – destinato ad attività di edilizia residenziale e/o turistica o ad attività legate allo sviluppo di infrastrutture e logistica – che a processi di razionalizzazione e accorpamento tra imprese.
La manifattura evidenzia un saldo complessivamente negativo per 2.061 unità. Un bilancio segnato dalle difficoltà di alcuni comparti quali le industrie del legno e della fabbricazione di mobili (che insieme perdono 1.752 imprese), della fabbricazione di prodotti in metallo (-1.396), e della confezione di articoli di abbigliamento (-606). Tra i pochi settori manifatturieri che chiudono l’anno con saldi positivi si segnalano la riparazione, manutenzione ed installazione di macchine (+2.737 unità) e le industrie alimentari (+294).
Come accennato, le note più interessanti dal punto di vista delle dinamiche di ampliamento della base imprenditoriale, vengono dai servizi. Il commercio, pur crescendo lievemente al di sotto della media generale (+1,1%), presenta il saldo settoriale più elevato in valore assoluto (+16.975 unità, il 71% delle quali nel comparto delle vendite al dettaglio). Rilevante è anche il contributo del comparto turistico (servizi di ristorazione e alloggio) che cresce di 13.029 unità, pari ad un aumento dello stock del 3,5%. Subito dopo, però, spiccano i progressi delle attività professionali scientifiche e tecniche (+7.694 unità, il 4,2% in più rispetto al 2009), delle attività immobiliari (+6.200 unità), del noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese (+5.689 unità, pari ad un incremento dello stock del 3,85%) e dei servizi di informazione e comunicazione (3.379 le imprese in più, pari ad un aumento del 2,78% in termini relativi).
Tra le imprese artigiane, sono solo sette i settori – tutti nei servizi – che fanno registrare una variazione percentuale annua dello stock positiva e due che, pur facendo registrare una variazione negativa, restano al di sopra del valore medio nazionale (-0,34%). I primi quattro settori artigiani in ordine di grandezza – che insieme costituiscono l’83,66% del comparto – hanno complessivamente fatto registrare un saldo negativo pari a -7.227 unità. Saldo solo in parte ‘compensato’ e ridotto al valore finale di -5.064 unità dagli altri sette settori che, insieme, hanno generato un saldo attivo di 5.991 unità.