Il cosiddetto decreto antiscalata messo a punto dal Governo per tutelare l’italianità di alcuni grandi aziende nazionali (in primis Parmalat nel mirino dei francesi di Lactalis) cerca di porre una pezza ad un problema normativo di grande rilievo. In Italia, infatti, a differenza di altri grandi paesi europei (inclusa la stessa Francia) tutte le nostre aziende, piccole o grandi, rilevanti o irrilevanti possono essere acquistati da soggetti non italiani. Il decreto del Governo proroga di due mesi il termine di convocazione delle assemblee, in modo da dar respiro a Parmalat sotto assedio e di preparare una più organica disciplina dell’argomento. Ma come sempre nel nostro paese una questione di grande rilevanza economica deve essere risolta con interventi d’urgenza, non si nemmeno quanto efficaci. Bisogna allora interrogarsi più a fondo sulla problematica e chiedersi: è giusto alzare delle barriere all’ingresso di competitor o di capitali stranieri? I fautori del libero mercato ad oltranza, quelli che spesso sono anche consulenti delle aziende straniere in cerca di prede, rispondono in coro di no. Il libero mercato è ormai globalizzato e quindi ognuno può acquisire quello che sul mercato è disponibile. Si tratta di una tesi accademica, fondata su un concetto di libero mercato e di libera concorrenza che esiste solo sui libri di testo di economia, ma che fa a cazzotti con la realtà produttiva di ogni giorno. Le aziende, specie quelle di dimensioni più cospicue, non sono neutre rispetto alla società e al territorio in cui operano. Impattano,a volte in modo pesantissimo, nel bene come nel male, su quello che esiste al di fuori dei cancelli aziendali e non solo in senso fisico. Si tratta delle esternalità negative o positive, un concetto spesso chiamato in causa a proposito dell’ambiente ma che invece ha grande rilevanza anche sotto il profilo sociale e di vita dei cittadini. Per semplificare: Parmalat italiana è una cosa, Parmalat francese è un’altra. Perché? Perché Parmalat francese sposterà, sia pure con cautela, le funzioni direzionali sotto la comune casa transalpina. Perché questo significherà che possibilità di carriere aziendali, di impiego per giovani brillanti saranno man mano riservate anche a soggetti non italiani. Perché Parmalat francese lavorerà con banche francesi e questo toglierà spazio agli istituti nazionali. Perché Parmalat francese sarà diretta da non italiani e le loro strategie, culturali,economiche e operative saranno radicalmente diverse, anche nella sola percezione, da quelle di un’azionista e di un manager italiano. Il libero mercato sarebbe tale non solo se non esistessero più differenze dimensionali ma anche culturali, politiche, di società e di interessi di gruppi sociali. Questo non solo non accade ma è un percorso utopico che probabilmente mai nella storia dell’uomo si potrà verificare. La realtà ci dice che un’azienda italiana è una ricchezza per la comunità italiana se è in mano italiana più di quanto lo possa essere se in mano straniere. Questo non vuol dire porre barriere assolute all’ingresso di soci stranieri o di proprietari non italiani. Ma deve essere un percorso non automatico, almeno per aziende di una certa soglia e di una certa rilevanza. E deve essere un percorso in cui alla possibilità o all’autorizzazione di un’acquisizione straniera corrispondano livelli elevati di garanzia che le esternalità positive restino a favore della collettività nazionale. Su questo il nostro Governo si è mosso poco e male e come sempre solo di fronte ad un’emergenza. Oggi bisogna porre il problema in tutta la sua radicalità e con serietà possibilmente attraverso un organico intervento legislativo. Per risolvere non solo il caso Parmalat/Lactalis ma evitare anche che in futuro possa ripetersi un pastrocchio ancora più pericoloso come quello della presenza di Gheddafi come maggiore azionista di Unicredit, la prima banca italiana.
Pietro Colagiovanni