Il caso Parmalat/ Un lettore commenta, la nostra risposta

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Riceviamo e pubblichiamo

Tutte le nazioni annoverano nelle loro linee di politica economica intendimenti protezionistici riguardanti i così detti settori strategici, ma credo nessuno abbai mai inserito tra gli stessi il confezionamento del latte. Francamente ritengo difficile infatti che imbustare latte, produrre succhi di frutta o merendine possa avere valore strategico per una qualche nazione. Forse potrebbe esserlo la produzione di latte, ma sembra che alcuni decenni addietro le scelte di politica economica siano andate in direzione opposta, attualmente in Italia produciamo sono una esigua quantità di latte rispetto ai consumi interni e per di più, se consideriamo le multe che i contribuenti italiani devono pagare a causa di qualche allevatore delinquente politicamente protetto, sarebbe opportuno che non ne producessimo affatto.
La verità e che in Italia di industrie appartenenti ai settori strategici non ne esistono più, siamo pertanto costretti a far diventare strategico ciò che strategico non è, cercano di emulare maldestramente i comportamenti di nazioni alle quali vorremmo assomigliare, forse a causa di una nostra latente sindrome di inferiorità (faccio come lui così sono come lui!!!).
Per quanto riguarda poi le esternalità delle aziende italiane in generale, della Parmalat in particolare mi sembra che la stessa sia stata foriera di esternalità negative e non di esternalità positive. La Parmalat con i suoi manager Italiani, e con le sue possibilità “….di impiego di giovani brillanti….” abbia creato la più grande catastrofe finanziaria che l’Italia ricordi..
L’idea di avere in Italia la sede di grandi aziende che con i loro manager creino prodotti innovativi, sviluppino nuovi mercati, facciano crescere nuovi talenti, creino occupazione benessere e in ultima analisi cultura , è sicuramente affascinante, ma, ahimè a noi italiani ci tocca solo cassa integrazione, truffe ed evasione fiscale, causata da imprenditori che nella maggior parte dei casi hanno impiantato imprese magari grandi grazie ad immeritati contributi pubblici e appalti taroccati.
Concludo rilevando che le ultime cronache in merito al decreto antri scalata riferiscono della costituzione presso la nostra (e dico nostra di noi contribuenti) Cassa Depositi e Prestiti di un fondo anti scalata il cui compito dovrebbe essere quello di prendere partecipazioni rilevanti in aziende strategiche (imbottigliamento di latte, produzione di mozzarelle, biscotti, mutande ecc.) al fine di evitare scalate ostili da parte di aziende estere. Ebbene francamente non sono d’accordo nell’utilizzare i miei soldi per investire in aziende governate da i soliti figli, mogli, amici, amanti, tutti assolutamente affamati, dei soliti noti (come la storia d’Italia tristemente ci insegna)“.

Max

 

Rispondo volentieri alle sollecitazione, tutte interessanti, che il lettore Max ha lasciato a commento del mio articolo “Parmalat/Lactalis Unicredit e le barriere alle acquisizioni straniere”. Andiamo quindi con ordine. In primo luogo ritengo che la strategicità di un’azienda sia da intendersi piuttosto in senso lato come peso e rilevanza economica piuttosto che come settore specifico o produzione di beni. Che poi nel settore lattiero-caseario, come giustamente rileva il lettore, l’Italia abbia seguito una politica suicida è cosa che fa il paio con il resto del mio ragionamento, ossia quello di una politica economica nazionale superficiale asservita ai fini di un club esclusivo di oligarchi, per nulla pensata e pianificata in favore della collettività. Mi sembra che su questo punto ci sia piena intesa. Il punto che ci differenzia credo sia alla fine uno soltanto. Max è ormai disilluso da quanto è accaduto e tuttora accade in Italia. E’ovvio che quanto successo alla Parmalat di Calisto Tanzi, con le coperture ostinate del sistema bancario nazionale ma anche internazionale ( solo in questo modo si possono nascondere per anni 14 miliardi di perdite) fa perdere di fascino ogni discorso rispetto alle possibili esternalità positive di un’assunzione di un manager italiano in Parmalat anziché francese. Ma il discorso in linea teorica resta corretto anche se non facilmente applicabile, mi rendo conto, alla disastrata e poco stimolante vita economica nazionale. Così come mi rendo conto che la creazione di una Cassa depositi e prestiti, di un player finanziario a difesa della italianità delle aziende più importanti del nostro paese fa a pugni e cazzotti con lo spettacolo (ripetuto recentemente con le nomine in nei colossi energetici pubblici Eni ed Enel) di una occupazione immeritocratica delle poltrone di comando della nostra economia e della nostra finanza. Un club esclusivo in cui si entra per lobby e conoscenza e in cui si è manager non per quello che si è fatto ma per la tessera di partito (se è prevalente la politica) o per le frequentazioni con i salotti buoni, le affiliazioni con massonerie bianche o nere, le reti di rapporti familiari o familistici (nella finanza e nell’economia cosiddetta privata) Il lettore ha ragione ad essere nauseato e ne condividiamo la reazione. Il punto è che, nonostante tutto, non bisogna arrendersi o gettare la spugna a meno che non si decida di cambiare nazione ed andare all’estero (che pure è un’idea): Nonostante lo sfacelo e la pochezza culturale in cui siamo immersi dobbiamo continuare a mantenere la lucidità e perseguire ragionamenti che, in un altro paese, avrebbero logica e senso e che solo in Italia sono desueti, sorpassati dal bunga bunga e dall’elogio della furberia”.

Pietro Colagiovanni