La Suprema Corte pone alcuni seri limiti agli accertamenti fiscali un po’ troppo “spregiudicati” nei confronti dei contribuenti.
In particolare, per i giudici di legittimità (sentenza della Corte di Cassazione n.3326 datata 11 febbraio 2011) il solo ritrovamento di un floppy disc indicante presunti ricavi in nero del fornitore non può portare ad un accertamento fiscale nei confronti di un’altra impresa cliente.
In questo modo, la Cassazione ha ribadito la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania (ossia dei giudici di secondo grado), la quale aveva respinto la posizione dell’Agenzia delle Entrate e correttamente applicato il principio della ripartizione dell’onere della prova – previsto dall’art. 2697 del Codice civile – sostenendo che è compito dall’Amministrazione provare l’esistenza di un reddito imponibile evaso.
La sentenza, inoltre, evidenzia che l’errore dell’Amministrazione finanziaria è consistito nel presumere a priori l’evasione del contribuente senza tuttavia individuare alcun concreto elemento di fatto ma basandosi unicamente su un floppy disc appartenete ad un terzo oltre alla mancata congruità dei ricavi rispetto agli studi di settore.
Tale decisione, dunque, risulta particolarmente importante in quanto pare ristabilire maggior equilibrio nella ripartizione dell’onere della prova tra Ufficio e contribuente in presenza di contestazioni analitico-induttive, basate, cioè, su presunzioni semplici, ritenute gravi precise e concordanti.
Avv. Matteo Sances
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