Istat, Giovannini: giovani e donne hanno pagato di più la crisi

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Alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e di numerosi rappresentanti del Governo e del Parlamento, Enrico Giovannini ha illustrato oggi la sintesi della diciannovesima edizione del Rapporto annuale sulla situazione del Paese. In cinque capitoli il volume affronta le più recenti dinamiche in campo economico, tracciando la traiettoria di uscita dell’economia internazionale e di quella italiana dalla peggiore recessione dal secondo dopoguerra, documenta le condizioni del mercato del lavoro e delle famiglie italiane fino a proiettare lo sguardo sui prossimi anni, valutando lo stato del Paese alla luce di “Europa 2020” e del percorso tracciato dal Programma nazionale di riforma.

“Il Rapporto di quest’anno mostra – ha detto Giovannini – che l’Italia ha pagato, a causa della recessione, un prezzo elevato in termini di produzione e di occupazione, ma ne ha anche limitato l’impatto sociale ed ha evitato crisi sistemiche analoghe a quelle di altri paesi. La ricchezza di cui dispongono le famiglie, un tessuto produttivo robusto e flessibile, l’ampio ricorso alla cassa integrazione, il rigore nella gestione del bilancio pubblico, le reti di aiuto informale sono gli elementi che spiegano perché la caduta del reddito prodotto, la più forte tra i grandi paesi industrializzati, non si è trasformata in una crisi sociale di ampie dimensioni”.

Il Presidente dell’Istat ha poi avvertito ”il sistema Italia appare vulnerabile, e più vulnerabile di qualche anno fa. Per fronteggiare le recenti difficoltà l’economia e la società italiana hanno eroso molte delle riserve disponibili”. Parlando delle imprese, Giovannini ha sottolineato che “durante la recessione le imprese hanno cercato di rinnovarsi sul piano tecnologico e organizzativo, conservando gran parte del capitale umano disponibile, forse in attesa di tempi migliori. La metà delle imprese esportatrici ha già recuperato i livelli pre-crisi di fatturato sui mercati esteri.

Una quota rilevante delle multinazionali italiane ha continuato a disegnare strategie di sviluppo. Stentano invece le grandi imprese e quelle che operano nei settori sui quali l’offerta straniera sta guadagnando quote di mercato interno. L’inflazione è in ripresa, anche se su livelli contenuti, e la produttività del lavoro è ancora ferma sui livelli del 2000”.

Nel corso dell’intervento, il Presidente ha sostenuto che “il tasso di crescita dell’economia italiana è del tutto insoddisfacente e anche i segnali di recupero congiuturale dei livelli di attività e della domanda di lavoro non sembrano sufficientemente forti e diffusi per riassorbire la disoccupazione e l’inattività, rilanciando redditi e consumi”. Ha poi notato che “l’occupazione sta ora crescendo prevalentemente nei servizi a più basso contenuto professionale, a fronte della riduzione del numero delle posizioni più qualificate. Ciò implica, a parità di altre condizioni, un sottoutilizzo del capitale umano, guadagni più bassi, minori prospettive di sviluppo”.

Affrontando poi gli effetti sociali della crisi appena trascorsa, Giovannini ha aggiunto: “I giovani e le donne hanno pagato in misura più elevata la crisi, con prospettive sempre più incerte di rientro sul mercato del lavoro, le quali ampliano ulteriormente il divario tra le loro aspirazioni, testimoniate da un più alto livello di istruzione, e le opportunità. Una quota sempre più alta di giovani scivola, non solo nel Mezzogiorno, verso l’inattività prolungata, vissuta il più delle volte nella famiglia di origine, e verso bassi livelli di integrazione sociale, soprattutto per quelli appartenenti alle classi sociali meno agiate. Oltre il 40 per cento dei giovani stranieri abbandona prematuramente la scuola, alimentando un’area di emarginazione i cui costi non tarderanno a diventare evidenti.

Le donne vivono una inaccettabile esclusione dal mercato del lavoro. Per di più, il carico di lavoro familiare e di cura gravante su di loro rende più vulnerabile un sistema di ’welfare familiare’ già debole, nel quale esse hanno cercato di supplire alle carenze del sistema pubblico. Peraltro, le donne sono ancora troppo spesso costrette a uscire dal mercato del lavoro in occasione della nascita dei figli. Ad essere investiti da una vulnerabilità crescente, insieme ai giovani e le donne, sono gli anziani. Povertà e deprivazione riguardano spesso le famiglie di ultrasessantacinquenni.

Inoltre, molti anziani con gravi limitazioni non sono aiutati né dalle reti informali, né dai servizi a pagamento, né dalle strutture pubbliche. La carenza di queste ultime produce così non solo un costo aggiuntivo per le famiglie, ma rischia di mettere in concorrenza la cura dei bambini con l’assistenza degli anziani, i cui bisogni crescono con l’allungarsi della vita. I necessari interventi volti al controllo della finanza pubblica non devono andare a discapito della capacità dei Comuni di svolgere interventi socio-assistenziali”.

Poi si è soffermato sul Mezzogiorno: “Aggiungendosi alle tendenze ora ricordate per le reti informali di aiuto, una eventuale riduzione della spesa sociale ridurrebbe la capacità di fronteggiare le nuove vulnerabilità sociali. Il rischio è più elevato nel Mezzogiorno, dove i livelli di assistenza risultano già nettamente inferiori a quelli del Nord, pur in presenza di bisogni maggiori. Il Mezzogiorno invece di costituire una opportunità straordinaria per elevare il tasso di sviluppo dell’economia italiana, presenta segni crescenti di vulnerabilità economica e sociale. Ciò richiede un’attenzione particolare da parte della politica, del mondo produttivo e della società, così da recuperare e rilanciare i segnali positivi che stavano emergendo prima della recessione”.

Infine, ha parlato della prospettiva della Strategia Europa 2020, notando che “le vulnerabilità richiamate, unitamente ad alcuni ritardi storici del nostro Paese, stiano frenando il suo slancio verso gli obiettivi concordati a livello europeo. I progressi conseguiti in diversi campi, dalla riduzione dell’abbandono scolastico alla vitalità delle imprese high-growth prima della recessione, dal miglioramento dell’efficienza energetica al contenimento della deprivazione materiale, appaiono decisamente troppo lenti per un grande Paese come il nostro, soprattutto a confronto di quanto sta avvenendo in altre parti dell’Unione europea”.

L’intervento si è concluso con alcune considerazioni generali. “L’Italia ha bisogno di prendere coscienza dei propri problemi e dei propri punti di forza per mobilitare le tante risorse disponibili e accelerare il passo, in tutti i campi. Ha anche bisogno di utilizzare meglio l’informazione esistente per orientare le decisioni collettive e individuali. Analogo discorso vale per il sostegno alle imprese nell’identificare i mercati internazionali più dinamici e entrarvi nel modo migliore”.

“La modernizzazione del Paese passa anche per un modo nuovo di discutere obiettivi, strategie e soluzioni. Soprattutto in un sistema economico e sociale come quello italiano, caratterizzato da un elevato numero di operatori (imprese, pubbliche amministrazioni centrali e locali, istituzioni private), la coesione di intenti, la chiarezza degli obiettivi, la mobilitazione dell’opinione pubblica e della società civile sono condizioni necessarie, ancorché non sufficienti, per affrontare i nodi esistenti e moltiplicare gli effetti benefici di decisioni coordinate. Questo cambio di passo sarebbe il modo migliore per celebrare l’Unità d’Italia”

“Tracciare nuove mappe, far emergere opportunità e rischi, valutare progressi e regressi, sostenere con informazioni affidabili la discussione democratica. Questo è il servizio che rendiamo, con orgoglio e onestà intellettuale, ai cittadini e alla istituzioni di questo Paese, nella convinzione che il suo futuro passi, ora più che mai, per decisioni difficili ma lungimiranti, da assumere al più presto, a tutti i livelli di responsabilità, sulla base di un quadro informativo ampio e condiviso”.