Conti correnti: i tassi d’interesse devono essere indicati analiticamente pena la loro nullità

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La trasparenza non è sempre di casa nei rapporti di conto corrente, tant’è che la Cassazione è intervenuta nuovamente con la recentissima sentenza n. 9695 del 03/05/2011 ad individuare i comportamenti che devono tenere le banche nel regolare tali tipi di contratti bancari.

La terza sezione civile della Suprema Corte ha infatti ribadito con l’importante decisione che Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” porta in evidenza, alcuni principi che devono osservare gli istituti di credito in merito alla gestione dei conti in materia di tassi d’interesse, sulla valenza probatoria dell’estratto conto ai fini della dimostrazione del credito vantato dalla banca e sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi per i contratti ante riforma.

Per quanto riguarda la necessità di chiarezza, secondo i giudici di piazza Cavour sono illegittimi i tassi di interesse che non sono indicati analiticamente per iscritto e individuabili dalle parti contraenti con precisione. Ogni clausola riguardante gli interessi ai fini della sua validità deve essere redatta in forma scritta e il tasso da applicare deve essere specificato in modo puntuale. La Corte, infatti, esclude sul punto che si possa configurare la possibilità di un uso normativo nelle condizioni abitualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza (rinvio a clausole «su piazza») in assenza di regolamentazioni vincolanti stabilite a livello nazionale con accordi di cartello: in caso contrario non sarebbe possibile stabilire a quale previsione le parti contraenti abbiano voluto riferirsi di fronte alle diverse tipologie di interessi esistenti. Stesso discorso, vale per le previsioni di costi, commissioni e la disciplina della postergazione delle valute di accredito.

Inoltre, in materia di valore probatorio dell’estratto del conto corrente, se contestato, per i giudici del Palazzaccio non costituisce di per sé prova del credito della banca anche perché la certificazione stabilita dall’articolo 50 del D.Lgs 385/93 non può dimostrare validamente l’entità del credito vantato in quanto atto unilaterale e proprio per tale ragioni non può attribuirsi a tale documento valenza probatoria ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo.

In merito all’annosa questione della capitalizzazione trimestrale degli interessi, gli ermellini ribadiscono che le clausole anatocistiche stipulate antecedentemente alla riforma del Decreto Legislativo 342/99 sono nulle perché risultano fondate su di un uso negoziale e non normativo e ciò ai sensi dell’articolo 1283 Cc.