Accertamento fiscale scaduto: l’annullamento è ancora possibile

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Il fatto che avverso un accertamento fiscale illegittimo il contribuente non abbia proposto ricorso nei termini di legge (in genere 60 gg dalla notifica dell’atto, come previsto dall’art. 21 del Dlgs n.546/92), non vuol dire necessariamente che il debito tributario sia ormai definitivo e non ci sia più altra alternativa che quella di pagare. Il contribuente, infatti, ha ancora il diritto di chiedere all’Agenzia delle Entrate la revisione in autotutela dell’atto illegittimo e quest’ultima ha il dovere di intervenire tempestivamente per eliminare gli errori.

Ciò è quanto emerge da una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Brescia (Sent. CTP di Brescia n.133/7/10 del 16/09/2010; liberamente visibile su www.studiolegalesances.it – Sez. Documenti), secondo la quale, “ancorchè scaduti i termini per impugnare, sussiste sempre una valutazione di opportunità e di politica amministrativa lato sensu all’esercizio dei poteri di autotutela, quando come nella specie l’atto impositivo si appalesa illegittimo perché fondato su errore del presupposto dell’imposta, con evidente errore logico o di calcolo”.

I giudici, inoltre, chiariscono che se è pur vero che sussiste in capo all’Amministrazione una certa discrezionalità, essa non è né assoluta né ad arbitrium; infatti, “la valutazione ha da essere non di mera opportunità, trattandosi pur sempre di una discrezionalità vincolata, in quanto nella comparazione degli interessi in gioco non può il fisco ritenersi, per la definitività dell’atto, al riparo dal contenzioso mantenendo in essere una tassazione illegittima …”.

In altri termini, continuano i giudici di Brescia, la discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria “non può essere gravatoria, approfittando della posizione di vantaggio acquisita con la mancata impugnazione, essendo comunque ingiusto sottoporre il contribuente ad una tassazione contra legem e non dovuta nei termini pretesi, allorché sia fondata su presupposti di fatto palesemente idonei”.

A sostegno di tali conclusioni, la Commissione cita sia i principi costituzionali del rispetto della capacità contributiva e dell’imparzialità dell’Amministrazione (art. 53 e 97 della Costituzione), sia la normativa in materia di autotutela.

Proprio in merito alle disposizioni relative all’autotutela, si evidenzia come l’art. 2 del DM n.37/97 preveda espressamente che “l’Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione … anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità (perché ad esempio sono scaduti i termini per fare opposizione), nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione”.

Ciò viene ribadito anche nella circolare n.198/s del Segretariato Generale Ufficio per l’informazione del Contribuente del 5/08/98, la quale ribadisce che per l’esercizio dell’autotutela nei confronti di un atto illegittimo “Non assume rilevanza il decorso dei termini per presentare ricorso …”.

D’altronde, chiariscono i giudici di Brescia, la mancata rettifica dell’atto illegittimo da parte dell’Agenzia delle Entrate determina sicuramente un indebito arricchimento (art. 2041 cc).

Alla luce di quanto illustrato, dunque, qualora il contribuente non riuscisse ad impugnare un accertamento fiscale entro sessanta giorni dalla notifica dinanzi alla Commissione Tributaria, egli avrà sempre la possibilità di proporre istanza di autotutela all’Agenzia delle Entrate competente illustrando gli errori commessi nei suoi confronti.

A questo punto, nel caso in cui l’Agenzia dovesse rigettare la richiesta, il contribuente potrà sempre impugnare il diniego dinanzi alla Commissione Tributaria competente chiedendo la revisione dell’atto.

Per un ulteriore approfondimento sul tema, si consiglia di leggere “Ma il silenzio-assenso spunta anche in ambito tributario” (ItaliaOggi del 5/11/2007, liberamente visibile su www.studiolegalesances.it – Sez. Pubblicazioni).

Avv. Matteo Sances
info@studiolegalesances.it
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