Oltre sette milioni di giovani, quelli compresi tra i 18 e i 34 anni, vive ancora in casa dei genitori. All’interno di questa fascia il 40% ha più di 25 anni mentre uno su due ha sì un’occupazione ma è precaria: è la generazione dei ‘milleuristi’ coloro che per intero hanno assorbito il costo della crisi economica. Sono questi alcuni dei dati che emergono da un’indagine condotta dalla Cgil e dal Sunia sulla condizione abitativa dei giovani promossa per la campagna ‘La casa nel percorso di autonomia delle nuove generazioni’.
Secondo la ricerca la presenza dei giovani che in Italia vivono in questa ‘coabitazione forzata’ tra genitori e figli pone il nostro paese “all’ultimo posto tra i principali paesi europei” e le motivazioni di questa costrizione, rileva lo studio del sindacato, “risiedono nel livello dei canoni, per non parlare del costo delle abitazioni, e nelle condizioni precarie di lavoro che generano bassi redditi”. Per questo la Cgil ritiene “indispensabile rivendicare un ‘Patto per l’abitare’ – osserva Laura Mariani responsabile delle Politiche abitative per il sindacato di Corso d’Italia – che sia in grado di far incontrare la domanda dei bisogni giovanili con un’offerta adeguata in modo da regolare un mercato con trasparenza”.
Il disagio abitativo rappresenta infatti per i giovani “un vero scoglio per l’ingresso nell’età adulta”. Secondo l’analisi della Cgil il 60% delle persone fino a 35 anni percepisce un reddito mensile inferiore a mille euro, senza dimenticare che il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato il 28,6%. Dati che rendono complesso il superamento delle barriere che separano i giovani dall’accesso alla casa. I canoni di affitto sono eccessivamente alti, pari a 1.020 euro per i nuovi contratti e 750 euro per i rinnovi. L’esplosione di questi due dati dimostra per il sindacato “come ci sia stata negli anni una ‘dismissione’ delle politiche abitative: gli interventi recenti, come la cedolare secca, hanno soltanto favorito i proprietari con misure di carattere fiscale senza una contropartita in termini sociali per calmierare il mercato”. Tutto ciò poi a fronte di un 30% dei giovani che non lavoro, di un 20% che non studia e non lavora (Neet – Not in Education, Employment or Training), di un 30% che ha un lavoro atipico e di un 60% che guadagna meno di 1.000 euro mensili.
E se le forme di coabitazione e cohuosing sono spesso le uniche possibili per affrancarsi dalla casa d’origine è il costo dell’abitazione ad essere indicato come il maggior ostacolo per il giovani (46% dei casi). Vivere in famiglia viene ormai percepito come un fatto normale sia dai giovani (55%) che dai genitori (60%), tanto che la convivenza tra genitori e figli genera frequenti discussioni solo nel 23% dei casi e sono relative soprattutto a indicatori come l’ordine e la pulizia. E’ presente comunque una forte attesa rispetto alla possibilità di svincolo (88%) soprattutto per il desiderio di indipendenza economica (47%) e quello di sposarsi o andare a convivere (18%). Difatti chi dichiara di voler rimanere in famiglia, lo fa soprattutto per necessità di terminare gli studi (50%) e per la mancanza di un lavoro (25%).
Nel dettaglio della ricerca si nota come il livello di istruzione dei giovani ‘forzati’ nelle case di origine sia particolarmente elevato: il 44% ha una laurea e il 50% ha un diploma. Tra le donne il 52% ha una laurea mentre tra gli uomini il 37%. Un dato, quest’ultimo, che dimostra per la Cgil “come siano notevoli le difficoltà per le donne di trovare un’occupazione ma nonostante i bassi redditi e le maggiori difficoltà le ragazze tentano di uscire dalla famiglia in quota prevalente, segno di una maggiore consapevolezza di autonomia e di maggiore capacità nel riuscire ad attuare soluzioni che permettono indipendenza economica”.
Per la generazione dei ‘milleuristi’ affrancarsi dalla famiglia è sempre più complesso. La Cgil riporta un dato di uno studio dell’università Cattolica di Milano che stima in 13-15 milioni di famiglie che nei prossimi anni disporranno di un reddito mensile di circa 1.500 euro al mese. Nuclei fatti in parte di pensionati ma soprattutto di precari che li inserisce in una sorta di ‘cuscinetto sociale’ che rimane al di sotto della media dei redditi dei cittadini italiani e al di sopra della soglia di povertà. “E’ una sorta di primato negativo per il nostro paese – commenta Mariani -: siamo l’economia avanzata nella quale la minoranza costituita dai giovani ha pagato il prezzo più alto della recessione e continua a farlo. Statisticamente le generazioni nate fra il 1974 e il 1994 hanno assorbito per intero il costo della crisi economica”.
Ed è quindi proprio nell’attuale difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, spiega ancora la sindacalista, “che va individuata una ‘risposta sociale’ che crei le condizioni affinché le nuove generazioni possano intraprendere un percorso di realizzazione. Ad un lavoro con più garanzie devono affiancarsi più garanzie nel trovare una casa”. Per questo, conclude Mariani, “è indispensabile un ‘Patto per l’abitare’ che abbia come garanzia la costituzione di un’Agenzia per la casa in ogni Comune con uno specifico Osservatorio sui bisogni abitativi dei giovani”.
Questi i campi d’intervento secondo la Cgil. Affitti sul mercato: garanzie al proprietario di rientrare in possesso in tempi brevi, sicurezza nel mantenere l’abitazione in buono stato, agevolazioni fiscali; garanzia all’inquilino di un canone concordato. Edilizia pubblica: investimenti per rispondere all’emergenza abitativa dei nuclei in forte disagio (graduatorie, redditi bassi, morosità impoverimento). Social housing: maggiori finanziamenti pubblici ed incentivi, guardando alle opportunità offerte dagli immobili attribuibili agli enti locali (demaniali, confiscati) i quali potrebbero essere recuperati e destinati all’emergenza abitativa, anche dei giovani. Mix sociale e pratiche di buon vicinato.
Link per scaricare la ricerca Cgil e Sunia ‘La casa nel percorso di autonomia delle nuove generazioni:
http://host.ufficiostampa.cgil.it//Documenti//private/CGILeSunia_IndagineCondizioneAbitativaGiovani_28mag11.pdf