Lavoro, intercettazioni, nucleare: in tempo di crisi la paura domina la società

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Dalla paura di perdere il lavoro all’incubo di una tragedia : con la crisi economica gli italiani si scoprono più fragili, stressati, e i loro comportamenti si adeguano, riversandosi nella società. Guardare fuori dalla finestra e avere timore di uscire da casa, sudare freddo quando si timbra il cartellino e sentirsi gli occhi dei colleghi addosso. Sono questi i sintomi inequivocabili della paura di andare a lavoro che si accompagna a quella di essere licenziati e che, in Italia, affligge sempre piu’ persone con gravi conseguenze dal punto di vista psico-fisico. Colpa della crisi economica che ha reso colletti bianchi e blu piu’ fragili, stressati, preoccupati del futuro. “Quando la paura di andare a lavoro e anche di svolgere una semplice mansione -spiega a LABITALIA Giuseppe Luigi Palma presidente del Consiglio nazionale Psicologi- arriva a coinvolgere l’intera sfera lavorativa e ottenere giudizi positivi diventa una ragione di vita allora siamo in presenza di una patologia vera e propria”. “Spesso -ammette- le condizioni di lavoro non sono ottimali e la persona, magari piu’ debole, puo’ sviluppare condotte di comportamento particolari. Queste situazioni -sostiene Palma- possono portare anche a conseguenze di natura somatica. In questi casi ci troviamo di fronte a lavoratori che presentano sintomi fisici che sono causati da problemi psicologici”.

“La paura del lavoro inteso questo come luogo in cui interagire con altre persone -sottolinea il presidente Consiglio nazionale Psicologi- e’ un fenomeno che, inevitabilmente, sfocia nello stress correlato, collegato appunto a situazioni e ambienti lavorativi stressanti per i lavoratori”. “La prima cosa da fare -suggerisce Giuseppe Luigi Palma- e’ quella di prendere coscienza del disagio e poi provare a parlarne. L’ottimale sarebbe con uno specialista, uno psicologo appunto, a cui spiegare i sintomi e le motivazioni. Fondamentale pero’ -avverte- e’ la prevenzione anche perche’ gli effetti della paura da lavoro si ripercuotono sull’andamento generale della produttivita’”. “La valutazione del rischio stress lavoro correlato -aggiunge- e’ infatti un obbligo previsto dalla legge che deve essere effettuato da personale specializzato come il medico competente”.

Ma a misurare l’insicurezza che si respira in una citta’ sono piu’ la sporcizia, il degrado, la poca attenzione ai luoghi pubblici dei dati reali sulla criminalita’. Napoli e’ l’esempio tipo: dietro Milano e Torino per indice di criminalita’, e’ invece percepita come una citta’ estremamente pericolosa, certamente piu’ dei due grandi centri del Nord. Ne e’ convinto il professor Amato Lamberti, docente di Politiche della sicurezza sociale presso la facolta’ di Sociologia dell’Universita’ Federico II di Napoli, secondo il quale, dunque, i cittadini percepiscono il rischio soprattutto nelle metropoli poco curate, associando la carenza di decoro urbano alla mancanza di sicurezza. Ma, secondo Lamberti, sono anche altri elementi a incrementare la percezione di insicurezza. A cominciare dall’enorme diffusione di telefim a sfondo criminale.

“La paura generata dall’insicurezza condiziona la vita di tutti i giorni, specie delle citta’, modificando i comportamenti delle persone – spiega all’Andkronos Lamberti – A generarla, una percezione spesso slegata dai reali dati sull’incidenza della criminalita’, piuttosto alimentata da una serie di fattori collaterali come l’assenza di decoro urbano, la sporcizia, il degrado”.

E la paura ha avuto un ruolo determinante anche sui referendum, almeno per quello sul nucleare. “Non c’e’ dubbio. La paura dell’incidente di Fukushima ha spinto alle urne anche chi non era pregiudizialmente contrario al programma nucleare” afferma il fisico nucleare del Cnr, Valerio Rossi Albertini, che spiega cosi’, all’ADNKRONOS, come il sentimento d’angoscia scatenato nell’opinione pubblica mondiale dalla catastrofe nipponica possa essere alla base anche del quorum al referendum italiano sull’atomo. “L’informazione tecnico scientifica sul referendum per il nucleare -sottolinea Rossi Albertini- e’ stata carente nei grandi mezzi di comunicazione di massa e Fukushima e’ stata determinate per chiarire molti aspetti e far raggiungere il quorum”. Ma non solo.

Alla base della vittoria dei Si’, secondo Rossi Albertini, puo’ aver influito anche “un altro tipo di timore dettato da scenari internazionali”. “Dopo la scelta della Germania di abbandonare il programma nucleare, molti italiani hanno temuto -spiega il fisico nucleare- che l’Italia si cacciase da sola in un vicolo cieco mentre i tedeschi stavano gia’ puntando ad un solido programma di ricerca e innovazione per le rinnovabili, un piano che vede al 2020 il 25% di produzione energetica tedesca da fonti alternative”.

Crisi economica, ma non solo, quindi. Ansia per i conti che non tornano, per il posto di lavoro a rischio, progetti di acquisti rimessi nel cassetto. Poi, senso di insicurezza, timore per i cambiamenti e tentazione di chiudere le porte al nuovo. Anche ai nuovi arrivati, come gli immigrati. Sullo sfondo le notizie che ci fanno sentire tutti controllati, spiati. E’ la paura ai tempi della crisi. La societa’ ne risente, il panico prende il sopravvento. Non fa eccezione il mondo politico, soprattutto in un momento di grandi fibrillazioni, con la prospettiva di dover abbandonare il certo per affrontare l’incognita del futuro.

Al punto che si parla di ‘angoscia del politico‘, dovuta proprio al periodo di transizione e di incertezza che sta attraversando il Paese. Carlo Ciccioli, deputato del Pdl e medico psichiatra di professione, analizza cosi’ il fenomeno: ”Siamo oggettivamente alla fine di un ciclo, attraversiamo una fase di profonda transizione, che porta con se’ inevitabilmente l’incognita del futuro”.

”Il cambiamento -avverte lo ‘strizzacervelli’ pidiellino- porta con se’ una crisi di equilibrio, anche psicologica. Io la definirei l”angoscia del politico’ che si traduce in una serie di domande senza risposta: mi ricandideranno in lista? Se affonda la nave, saro’ rieletto? Avro’ ancora un ruolo? Questo senso e clima di incertezza genera ansia generalizzata, tono dell’umore depresso. C’e’ chi diventa aggressivo, chi si chiude in se’, chi prende decisioni impulsive controproducenti”. Ci sono anche i lati positivi di questa forma di paura. Di solito, giura Ciccioli, ”proprio nei periodi di maggior incertezza e transizione escono fuori nuovi leader”, capaci di ”interpretare le emozioni piu’ profonde della gente”.

”L’angoscia del politico -assicura Ciccioli- prende tutti. I parlamentari piu’ anziani, perche’ temono di essere messi definitivamente da parte. I giovani che non hanno avuto il tempo di consolidare il potere acquisito, quelli che hanno fatto successo per un’occasione particolare che viene improvvisamente a mancare”.

C’e’ una via di uscita? L’esponente pidiellino da’ alcuni suggerimenti: ”Innanzitutto, bisogna cercare di stare sereni, di mettere da parte l’emotivita’, perche’ l’ansia di prestazione fa solo danni, in ogni campo. In secondo luogo, occorre pensare che da un ciclo di transizione si puo’ uscire anche rilanciati a livelli piu’ forti. E sono proprio questi cicli a creare nuovi leader. E paradossalmente non si tratta di persone furbe, ma capaci di interpretare ed esprimere le emozioni piu’ intime della gente”. Ciccioli ricorda la ”transizioni del ’92 e del ’94”, che hanno profondamente cambiato il paese e prodotto due leader: Gianfranco Fini e Umberto Bossi e dal ’94 Silvio Berlusconi.

”Oggi stiamo attraversando un’altra grande fase di cambiamento. Berlusconi resta sempre il leader del centrodestra, ma il concetto di leadership e’ cambiato: una volta duravano 30-40 anni, come il caso di Andreotti e Forlani, adesso non durano piu’ di 10-15 anni, sta nelle cose”. ”L’accelerazione dell’economia, della finanza -spiega- provoca un’accelerazione anche della vita e, quindi, della politica. Questo ritmo accelerato ti manda in crisi e cadi nell’angoscia. Solo con nervi saldi, una riflessione profonda e un po’ di ottimismo se ne esce fuori”.

Infine, ci sono anche i casi più gravi, come spiega Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta, docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Universita’ Lumsa di Roma. “Cinque italiani su 100 fanno i conti con l’ipocondria, il timore di essere affetti da una grave malattia. Una paura che diventa una solida convinzione, intorno alla quale ruota la vita di queste persone”. “Accanto a questo fenomeno ben noto, si stanno diffondendo atteggiamenti nuovi: in particolare l”ortoressia diffusa’, che spinge alcune persone a seguire attentamente mille scrupoli alimentari e non, per il timore di conseguenze per la salute”. Emergono anche nuove paure “come quella, diffusa fra gli ‘ossessivi miti’, del magnetismo e dell’elettrosmog”. I pazienti ipocondriaci “ritengono di avere una grave malattia che non e’ ancora stata identificata. E non e’ possibile convincerli del contrario – ricorda lo psichiatra – nonostante i risultati negativi degli esami di laboratorio, il decorso benigno della presunta malattia nel corso del tempo, e le ripetute rassicurazioni da parte di diversi medici. Insomma – dice Cantelmi – si tratta persone che, a causa dei controlli inutili, finiscono per costare molto alla sanita’”.