La conferenza nazionale per il lavoro del Pd della scorsa settimana ha confermato, pur tra le profonde diversità d’impostazione, una sostanziale convergenza tra maggioranza e opposizione su uno dei temi centrali del dibattito sulle riforme del lavoro. Entrambi gli schieramenti concordano come non sia sufficiente un semplice tratto di penna del legislatore per affrontare e risolvere un tema complesso come quello del precariato.
La soluzione – si legge infatti nel documento preparatorio della conferenza di Genova – non sta nel “contratto unico” di primo ingresso e cioè in velleitarie soluzioni dirigistiche tese ad appiattire in rigidi schemi legali il dinamismo e la multiforme realtà del lavoro. Fondamentali sono, piuttosto, le azioni tese ad assicurare un migliore e più efficace incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. A partire dalla transizione dalla scuola al mercato del lavoro. Rendendo trasparenti e mobili le qualifiche.
Migliorando il riconoscimento, anche a fini curriculari, delle forme di apprendimento realizzate in ambiente lavorativo. Contrastando l’abuso dei tirocini formativi, che spesso vengono usati in alternativa a regolari rapporti di lavoro. Incentivando, con un adeguato orientamento e robusti servizi di placement nelle scuole e nelle Università, l’acquisizione di professionalità e competenze realmente spendibili sul mercato del lavoro, senza per questo rinunciare all’obiettivo di una formazione che educhi i giovani ad affrontare con consapevolezza e spirito critico la realtà che li circonda.
È in questo quadro che diventa irrinunciabile – come a più riprese sostenuto dal Governo e come ora ribadito dalla conferenza per il lavoro del Pd – un convinto e coraggioso rilancio del contratto di apprendistato per restituirlo alla sua vocazione originaria di veicolo di primo ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Sottraendolo, per un verso, all’utilizzo improprio che lo ha fatto non di rado diventare uno strumento per il mero abbattimento del costo del lavoro. Garantendo, per l’altro verso, l’effettività della sua componente formativa oggi riservata soltanto a un giovane apprendista su cinque.
Lungi dall’essere un semplice contratto di lavoro l’apprendistato può rappresentare, in effetti, un canale di incontro tra domanda e offerta di lavoro particolarmente efficace. Un apprendistato di qualità consente di superare la vecchia quanto artificiosa distinzione tra sapere e saper fare. Condizione questa imprescindibile per offrire ai nostri giovani robusti percorsi di apprendimento, come tali coerenti con i fabbisogni professionali e le esigenze del sistema produttivo.
A differenza del “contratto unico” di primo ingresso, che nella sostanza si traduce in un rapporto di lavoro temporaneo di durata triennale senza le tutele dell’articolo 18, il contratto di apprendistato si caratterizza per una maggiore qualità e per un più corretto equilibrio tra tutela del giovane lavoratore ed esigenze della impresa. Con questa forma di lavoro, infatti, la stabilità al termine dell’inserimento iniziale non è frutto di rigide imposizioni legislative, peraltro facilmente aggirabili dal datore di lavoro. Oltre ad accompagnare tutta la fase formativa dell’apprendista, la stabilizzazione diventa piuttosto una convenienza reciproca.
La formazione e le competenze acquisite nel percorso di apprendistato rappresentano infatti un valore aggiunto. Non solo per il singolo apprendista, che può acquisire in ambito lavorativo una qualifica professionale e persino un titolo di studio di livello universitario. Ma anche per la stessa impresa che investe in capitale umano accrescendo così la produttività e la qualità della forza lavoro di cui si avvale e avviando il necessario ricambio generazionale. Perché i giovani che entrano oggi in azienda in apprendistato saranno le “competenze” e le “professionalità” di cui l’impresa potrà avvalersi nel futuro.
Governo, Regioni e parti sociali sono chiamati a valutare un progetto di riforma dell’apprendistato che già oggi registra un’ampia e significativa convergenza. Non a caso lo schema di decreto legislativo approvato dal Governo lo scorso maggio dà piena attuazione alla delega del Governo Prodi frutto, a sua volta, del protocollo sul lavoro del luglio 2007. Sono passati quattro anni e l’obiettivo pare a portata di mano. Anche in questo caso, come per l’atteso avviso comune per l’esigibilità del contratto aziendale, occorre recuperare uno spirito condiviso e mettere l’interesse generale davanti a quello particolare. Ognuno faccia davvero la sua parte e non si sottragga alla quota di responsabilità che gli appartiene. Perché per il futuro dei nostri giovani – e delle imprese che li assumono scommettendo su di loro – non esistono scorciatoie.