Perché l’Italia è a rischio fallimento

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Le tempeste violentissime di questi giorni sui titoli dello stato italiano porteranno sicuramente ad una crisi di natura sistemica. Probabilmente si dovrà fare in poco tempo ed in fretta quello che una classe dirigente più avveduta avrebbe dovuto fare per tempo: portare il bilancio dello stato italiano in pareggio. Detto questo però qualche riflessione in più va fatta, lavorando sui numeri.

Lo sbilancio dello stato italiano è ogni anno in una forbice tra i 50 e i 100 miliardi di euro. Ma si tratta in termini percentuali di una perdita pari al 10-15% del fatturato del governo italiano, ossia i ricavi da entrate tributarie e accessorie. Se facciamo il paragone con la Grecia, che un deficit annuo similare ma incassa in tutto circa 40 miliardi di euro, siamo in una situazione totalmente diversa. In un caso la perdita è del 15% in un altro invece è del 150% sulle entrate annue. Punto due. L’Italia ha uno dei più grandi debiti pubblici al mondo.

Siamo ad oltre 1.800 miliardi di euro. Ma a fronte di questo debito l’Italia, anche per la singolare storia che ha vissuto detiene un patrimonio proprio, a garanzia del debito pubblico, quanto meno equivalente. Ragionando in un’ottica bancaria il debito è ben assistito da garanzie reali di pregio. Perché allora non si vogliono prestare più soldi all’Italia e se lo si fa si chiedono interessi stellari (il famoso spread)? Perché comunque il bilancio dello stato chiude in perdita, e questo non va bene. Perché il sistema produttivo italiano non è in crescita, è stagnante e quando si prestano dei soldi non si guarda solo alla garanzia ma alla redditività del debitore, ossia alla sua capacità di restituire quanto prestatogli. In pratica, e sempre seguendo una logica di azienda, il governo italiano non produce utili e non promette di produrne in futuro, vista la bassa crescita del prodotto interno lordo nazionale. A queste motivazioni per così dire logiche si aggiungono poi motivazioni meno confessabili, ma anch’esse presenti. Non si tratta del famoso complotto che non ha alcun senso, ma di opportunità e strategie poco trasparenti ma molto motivanti.

Chi presta soldi all’Italia? Tra i tanti anche molti operatori americani, hedge fund, banche, fondi di investimento, finanziarie. Il punto è che questi operatori non sono neutri rispetto all’economia in cui vivono e prosperano. E oggi la situazione economica americana è di gran lunga più disastrosa di quella italiana o della zona euro. A fronte di un debito pubblico colossale ( e che rischia di sfuggire di mano se non ci sarà accordo bipartisan sul suo tetto legislativo) l’America non dispone di garanzie adeguate, come l’Italia, neanche ricorrendo ai propri cittadini che hanno un tasso di risparmio negativo. Inoltre le somme stesse del debito pubblico americano fanno paura. Ogni mese il tesoro americano deve farsi prestare, per il solo deficit annuale, ben 125 miliardi di dollari. In un anno gli Stati Uniti si fanno prestare l’intero debito pubblico italiano. Non solo.

Il debito pubblico americano non include alcune agenzie, come quelle per la garanzie dei mutui, che se correttamente inserite (si tratta di attività dello stato americano) farebbero esplodere ancor di più il debito pubblico statunitense. Insomma attaccare l’euro ed alcuni dei suoi paesi fosse solo per problemi di immagine (quanto ci ha danneggiato il bunga bunga di Berlsuconi) distoglie l’attenzione dai problemi reali. E i problemi reali sono essenzialmente legati ad una superpotenza sull’orlo del fallimento, che non ha più i soldi per mantenere lo status di superpotenza ma che tutti continuano a finanziare perché l’America è sempre l’America. E colpendo l’euro, l’Italia, la Grecia, il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda ( sono i danni di un’unione monetaria e non politica) si rinvia il problema e si fanno pure soldi. Perché quando il problema scoppierà, ossia la dubbia solvibilità degli Stati Uniti, tutti gli operatori finanziari statunitensi avranno dei problemi enormi forse persino insolubili.

di Pietro Colagiovanni