Anche quest’anno è allarme disoccupazione. L’economia italiana è troppo debole per imprimere una svolta alla domanda di lavoro: a fronte di una crescita fra lo 0.5 e l’1% del Pil, le unità di lavoro nel 2011 registreranno ancora una flessione e il tasso di disoccupazione potrebbe salire ancora per qualche trimestre. E’ quanto emerge dall’analisi contenuta nel Rapporto del Cnel sul “Mercato del lavoro 2010-2011”, presentata stamani a Villa Lubin, e secondo la quale sarebbe urgente spostare l’enfasi dalle politiche passive a sostegno del reddito dei lavoratori disoccupati verso misure che incentivino il rientro nel circuito produttivo dei lavoratori che hanno perso il posto. Il rischio che si corre è la persistenza del lavoratore nello stato di disoccupato, preludio alla formazione di disoccupazione strutturale. L’Italia sta uscendo molto lentamente dalla crisi e il quadro macroeconomico del 2011 non garantisce il recupero dei posti di lavoro persi. Il rischio disoccupazione riguarda soprattutto i giovani: si aggrava infatti il fenomeno dei neet (not in education or training nor in employment), cioè coloro che risultano fuori dal mercato del lavoro e che non sono impegnati in un processo di formazione. Se prima della crisi il tasso di neet si aggirava attorno al 16% tra i più giovani (16-24 anni) e al 24% tra i giovani adulti (25-30 anni), tali percentuali sono rapidamente aumentate, salendo rispettivamente al 18,6 e al 28,8% nel terzo trimestre del 2010. La crisi aggrava le probabilità dei giovani di restare nella condizione di neet, così come aumenta in modo preoccupante lo “scoraggiamento” di chi addirittura rinuncia a cercare lavoro. La recessione ha inoltre inciso sul passaggio dai contratti a termine a quelli a tempo indeterminato: prima della crisi quasi il 31% dei giovani con contratto temporaneo passavano l’anno successivo a un lavoro permanente, percentuale scesa ora a poco più del 22%. Riguardo alla formazione si osserva che sebbene i laureati siano più facilitati se il titolo coincide con la domanda di lavoro, resta ampio e crescente il fenomeno dell’overeducation, dato anche che le minori opportunità professionali aumentano la disponibilità dei laureati ad accettare lavori che richiedono livelli d’istruzione più bassi. Rispetto alla dimensione territoriale nel 2010-2011 prosegue senza interruzione la caduta dell’occupazione nel Mezzogiorno. La crisi ha aumentato ancora la distanza tra Nord e Sud e parte del calo dell’occupazione meridionale si è tradotto in un aumento dei trasferimenti nel Centro-Nord. Contano solo in parte le differenze nei tassi di crescita delle due aree: nel corso della crisi la fragilità del tessuto produttivo meridionale ha anche comportato maggiori perdite occupazionali a parità di flessione del prodotto. Difatti, nel triennio 2008-2010 la variazione cumulata del Pil al centro-Nord non va molto meglio che al Sud (-4,8% e -5,9% rispettivamente nelle due aree), ma la dimensione delle perdite occupazionali nelle due aree è molto diversa: a inizio 2011 rispetto al punto di massimo di inizio 2008, la perdita di occupati al Sud era del 5%, al Nord dell’1.5%. D’altro canto la dimensione della disoccupazione al Sud è comunque contenuta dai fenomeni di scoraggiamento che hanno spinto molti lavoratori ad interrompere le azioni di ricerca, finendo classificati fra gli inattivi. Quindi, se si includessero nella definizione di disoccupati anche gli inattivi potenzialmente attivi si otterrebbe un aumento del tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno, pari al 24,5%. Per quanto riguarda l’occupazione femminile, nel 2011 il divario di genere si è ampliato a causa del sottoutilizzo del capitale umano, dato che è aumentata, più di quanto osservato per gli uomini, la quota di occupate con un impiego che richiede una qualifica inferiore a quella posseduta. L’occupazione femminile cresce invece nei servizi ad alta intensità di lavoro e a bassa qualificazione (in seguito anche alle massicce regolarizzazioni che negli ultimi hanno riguardato le donne straniere prevalentemente impiegate nei servizi di cura e assistenza alle famiglie), accentuando la segregazione femminile in questo segmento del mercato del lavoro, mentre è caduta l’occupazione qualificata. In relazione agli immigrati, il Rapporto del Cnel sottolinea che nell’ultimo biennio la componente straniera è stata fondamentale nel contenere la contrazione dell’occupazione complessiva: tra il 2008 e il 2010 il numero di stranieri è infatti aumentato di 330 mila nuovi occupati, che hanno compensato parte del calo del numero di occupati italiani (863 mila in meno nello stesso periodo). Va però rilevato che l’aumento del numero di occupati immigrati è da ricondurre essenzialmente alla crescita demografica e ai ritardi nella regolarizzazione dei permessi di soggiorno per lavoro, e non ad una migliore occupabilità degli stranieri. Al contrario, il tasso di occupazione degli stranieri in Italia si è ridotto notevolmente negli ultimi due anni in misura nettamente più marcata di quanto osservato invece per gli italiani, sebbene resti su livelli più elevati. Anche il numero di disoccupati stranieri è aumentato sensibilmente negli anni della crisi e in misura largamente superiore a quanto sperimentato dalla componente italiana.