La manovra finanziaria e la “casta”

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Qualche “piccola” proposta per dare ossigeno al Paese
L’approvazione della manovra finanziaria è stata, giustamente, seguita da una ondata generale di indignazione che ha trovato, come sempre da qualche tempo, la sua massima visibilità nella rete. Organi di informazione solitamente moderati, come Famiglia Cristiana, hanno parlato di “macelleria sociale” e tutti i commentatori hanno stigmatizzato il fatto che i “costi della politica” e (aggiungiamo noi, delle sue clientele) non sono stati scalfiti.
Per gran parte dei cittadini questo fatto non soltanto è grave in sé, ma è anche la manifestazione di un comportamento generale irresponsabile: la rappresentanza politica che, stando alle leggi e alla costituzione, dovrebbe essere la risorsa per il buon governo, soprattutto nei momenti di crisi, è invece uno dei principali problemi del Paese, al punto di essere una causa non secondaria dell’attacco speculativo all’Italia, come sostengono autorevoli osservatori dei mercati internazionali.
Non sembra però che tutto ciò abbia fatto particolare effetto ai responsabili del misfatto. I soliti irriducibili (Rotondi, Cicchitto e compagnia bipartisan) si attardano a parlare di demagogia e di emotività, e rivendicano i finanziamenti ai partiti per “evitare che la politica torni ad essere monopolio dei ricchi” che peraltro, visti i contenuti della manovra, non hanno bisogno di impegnarsi direttamente per tutelare i propri interessi. I principali leader, con l’eccezione – a onor del vero – di Di Pietro, evitano (a nostro parere ormai imprudentemente) l’argomento. Altri, come Calderoli (ma non solo), colgono l’occasione per salire sul palcoscenico con proposte di riforma fantasmagoriche, tecnicamente non approvabili nella legislatura in corso, ma utili per animare una commedia dell’arte sempre più stanca.
Un tasso di indignazione come quello al quale stiamo assistendo è destinato a produrre, prima o poi, effetti tangibili. Sarebbe pericoloso però lasciare il pallino in mano alla rappresentanza politica e ai soliti esperti. La cittadinanza attiva deve fare fino in fondo la propria parte ed elaborare, senza alcuna delega culturale, proposte e strategie di intervento adeguate. È un’opera di lunga lena – che proprio per questo deve essere iniziata subito – alla quale dedichiamo questo spunto.
I costi della politica possono essere sommariamente divisi in tre grandi categorie.
La prima, quantitativamente più modesta, è quella immediatamente disponibile (nel senso che i fatti possono seguire le decisioni, senza ritardi) e comprende gli emolumenti dei componenti delle assemblee elettive – dai parlamentari ai consiglieri di circoscrizione –, i loro benefit, i rimborsi elettorali ai partiti ed anche i fondi per la comunicazione, che spesso è usata più per propaganda che per informazione.
La seconda categoria comprende gli enti partecipati, gran parte delle consulenze esterne e i vitalizi degli ex parlamentati e, secondo “Il Sole 24 ore”, vale più di cinque miliardi: Qui non si può operare con la scure, bisogna agire con grande competenza tecnica e giuridica per evitare che i provvedimenti siano vanificati, come spesso avviene, dai ricorsi ai TAR.
La terza categoria riguarda la struttura stessa della rappresentanza politica e quindi richiede leggi costituzionali e, comunque, non può incidere sui mandati elettivi in corso.
In questa fase conviene, con ogni evidenza, concentrare l’attenzione sulla prima categoria. Gli importi in gioco sono più modesti, ma il valore simbolico è elevato. Anche i mercati internazionali potrebbero apprezzare la manifestazione di responsabilità ed allentare la tensione.
Con uno sforzo importante ma non insostenibile (si resterebbe nell’ordine del 20% medio) si potrebbero mettere a disposizione circa 200 milioni. Accontentiamoci di 50; sono pochi ma permetterebbero l’avvio di alcune operazioni di grande respiro. Metà potrebbe essere dedicata al sostegno dei soggetti fragili, dove ogni euro riduce comunque uno stato si sofferenza. L’altra metà potrebbe finanziare una grande consultazione della cittadinanza attiva e della società civile sul modo di affrontare le altre due fonti di spesa.
Per la seconda si tratterebbe di individuare quali sono gli enti puramente clientelari e soprattutto di definire un regime di trasparenza delle nomine e dei controlli che riduca il peso della politica e sostenga la lotta alla corruzione.
Per la terza – le riforme costituzionali – si tratta di comprendere come si possa restituire ai cittadini la sovranità che ad essi compete, come si possano circoscrivere i poteri della rappresentanza politica riportandola alle funzioni proprie di garanzia e di sostegno allo sviluppo.
Siamo perfettamente consapevoli del fatto che queste idee possano sembrare inadeguate. Qualcuno potrebbe sostenere che siano “troppo piccole” rispetto alla crisi in atto. Per altri possono essere ingenue e velleitarie. Critiche simili, peraltro legittime, sono state rivolte anche alle proposte di manovra alternativa – comunque ben fatte e meritevoli di discussione – avanzate da “Sbilanciamoci” e, su un altro versante, da “Il sole 24 ore”. Il problema di fare entrare in gioco i cittadini in una fase in cui la rappresentanza politica ha portato il paese sull’orlo del baratro, però, resta e dovrebbe convocare tutti a responsabilità.
La proposta avanzata in queste righe è, per ora, un’esercitazione che dovrebbe essere meglio articolata e coordinata con un programma di intervento che permetta di “fare attrito” con il dibattito pubblico e sortire qualche risultato. È soprattutto una provocazione e, come ogni provocazione, spera di non cadere nel vuoto.

Alessio Terzi, Presidente nazionale di Cittadinanzattiva