La tempesta finanziaria di questo giorni sembrerebbe sfuggire alle classiche definizioni di crisi. Chi parla di cigno nero (ossia evento statisticamente poco probabile, come la nascita di un cigno di colore nero), chi parla di contrazione (che è cosa diversa dalla recessione) insomma tutti ritengono che questa sia una crisi diversa dalle altre. Ma è proprio così? Il punto è capire bene alcune dinamiche, che sembrerebbero a prima vista abnormi ma che poi tante abnormi non sono. In primis questa crisi sta colpendo in modo formidabile l’Europa e i paesi ritenuti più deboli, tra cui l’Italia. Ma è giusto questo? Ed è un fatto straordinario? Bisogna intendersi su cosa significhi essere più deboli: la sciando perdere la Grecia, che effettivamente ha debiti difficilmente rimborsabili, l’accanimento contro alcuni sistemi paesi e segnatamente quello italiano non è pienamente giustificato. L’Italia ha un debito pubblico molto alto, è vero ma ha anche un patrimonio statale a garanzia elevatissimo e capace di rimborsare il debito stesso. Non solo. Gli italiani hanno risparmi per 8600 miliardi di euro, secondo le ultime statistiche di Banca d’Italia, quattro volte l’ammontare del debito pubblico. Inoltre a differenza degli Stati uniti l’Italia ha un debito privato assai basso e quindi è disponibile un patrimonio netto rilevante. Purtroppo però l’Italia è un paese di grande solidità patrimoniale ma di scarso dinamismo economico. E questo ci sta penalizzando. Secondo le migliori prassi per l’affidamento bancario non basta che chi richiede un prestito abbia garanzie ma abbia anche un reddito prospettico capace di rimborsare i soldi ricevuti. Ed è qui che l’Italia stenta. La produttività di un sistema, che possiamo paragonare al reddito di un capofamiglia, per uno stato è essenzialmente la crescita del Prodotto interno lordo. E l’Italia negli ultimi dieci anni ha visto una crescita assai ridotta, quasi nulla del proprio Pil, a differenza degli altri stati europei. Ecco quindi perché l’Italia è finita sotto tiro. Ma come sempre in economia non conta solo la propria situazione ma anche quella degli altri. Ed è qui che personalmente non ci ritroviamo. Vedere che, nel bel mezzo della tempesta, il bene rifugio per eccellenza è diventato ilo titolo di stato americano francamente lascia più di qualche dubbio. Perché i conti dell’America non solo sono in disordine, molto peggio dell’Italia ma non hanno ragionevoli prospettive di tornare ad essere ordinati per un lungo periodo di tempo. In America ad un debito pubblico enorme si assomma anche un debito privato di grandissime dimensioni. Il patrimonio immobiliare americano, reduce da pesanti svalutazioni dopo l’esplosione della bolla, vale anche un 40% meno dei livelli pre crisi e quindi le garanzie a servizio dei due debiti sono molto più basse. Ma anche sulla redditività dell’America si può nutrire più di qualche dubbio. Il sistema sanitario americano, ad esempio, già oggi costa quasi il doppio di quello europeo ma assicura prestazioni ridotte per quantità e qualità di assistenza. Il sistema pensionistico è destinato, se non corretto, ad un vero e proprio crack. Ma l’America, si dirà ha una grande elasticità, è produttiva, il Pil corre. Sue sono le aziende che guidano l’innovazione, l’America ha la Apple, la Coca cola, Facebook, Google, Wall Street. E’tutto americano, è tutto bello, è tutto incoraggiante. Ma le cose anche in questo caso non stanno esattamente così. Certo gli Stati uniti sono all’avanguardia nell’innovazione tecnologica. Certamente Gli Stati Uniti hanno imposto ilo loro modello di capitalismo e di stile di vita al resto del mondo, Cina inclusa. Certamente gli Stati uniti posseggono e continuano a sfornare i marchi più conosciuti e più riconoscibili a livello mondiale. Ma gli Stati Uniti hanno anche un numero enorme di disoccupati che non riescono ad assorbire: le loro istituzioni finanziarie hanno problemi di bilancio e di qualità degli asset che le banche italiane non hanno sicuramente. Ed anche sulla tecnologia gli stati emergenti, ma anche la stessa piccola Italia, vantano possibilità competitive che sarebbe ingiusto ridurre a zero e che sono invece crescenti specie per le economie più dinamiche. L’immagine invece è solo è quella degli Stati Uniti, l’unica superpotenza esistente. E noi vivendo in un mondo di immagine riteniamo ancora gli Stati uniti gli stessi di venti, trenta o quaranta anni fa. In pratica, e volendo semplificare, lo zio Sam quando va in banca arriva ancora in una lussuosa limousine, accessoriata con ogni ben di dio tecnologico. Quando scende lo zio Sam è ancora quello di una volta, ben vestito in giacca e cravata, rampante, sicuro, dalla stretta di mano poderosa e dall’ottimismo senza infingimenti. E questo in banca funziona. E’il miglior cliente di sempre, perché dovremmo mai non rispondere alla sue richieste? Anzi. Quando qualche altro cliente dall’immagine acciaccata (anche per nostra colpa, a dire il vero) come l’italia si presenta gli preferiamo lo scintillante zio Sam. Il punto è che la macchina dello zio Sam non fa la revisione da qualche anno, le rate dei gadegt tecnoligici da qualche mese non vengono pagate e i vestiti sono quelli di qualche anno fa e da allora sono stati solo rammendati e mai cambiati. Resta solo il sorriso, l’immagine e l’ottimismo. E al momento per i mercati mondiali (che guarda caso sono gestiti e diretti da colossi finanziari americani) questo sembra sia più che sufficiente. Ma il sorriso e la stretta di mano fino a quando potranno bastare?