Confcommercio: consumi, solo Nord recupera livelli pre-crisi

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Negli ultimi anni si riduce il contributo del Sud in termini di consumi rispetto al totale nazionale con una quota che è passata dal 27,2% del 2007 al 26,6% del 2011; positive, invece, le dinamiche delle regioni settentrionali con quote in costante aumento sia nel Nord-Est (dal 21,8% al 22,2%) che nel Nord-Ovest (dal 30,1% al 30,6%); alle deboli performance del Mezzogiorno si associano anche gli effetti del calo demografico registrato in quest’area (la quota della popolazione sul totale nazionale è scesa dal 36,4% del 1995 al 34,4% del 2011) che hanno determinato il protrarsi del calo dei consumi anche nel 2010; a livello di singole regioni, nel 2009 tutte fanno registrare una contrazione dei consumi in termini reali con picchi in Calabria (-4,2%), Puglia (-3,6%), Sicilia (-3,2%) e Campania (-3,0%), mentre nel 2010 solo il Nord-Est ha recuperato i livelli di consumo pre-crisi; in ogni caso, la debolezza dei consumi a livello pro capite, complice il biennio di crisi 2008-2009, lascia prevedere un rallentamento generalizzato dell’uscita dalla crisi tanto che, a fine 2011, ben 17 regioni su 20 rischiano di registrare un livello di consumi inferiore a quello del 2000, mentre in una prospettiva di più lungo periodo, nel 2017, il Mezzogiorno avrà acuito il suo ritardo con una continua riduzione della spesa per consumi rispetto al totale nazionale. In ogni caso, al di là delle differenti dinamiche dei consumi che evidenziano una maggiore debolezza delle regioni meridionali confermando i divari territoriali presenti nel Paese, a livello generale va segnalato il tentativo delle famiglie di recuperare i livelli di consumo persi nel biennio recessivo anche se le previsioni per il 2011 sull’intero territorio restano modeste con un +0,8%.

Questi i principali risultati che emergono dall’“Aggiornamento delle analisi e delle previsioni dei consumi delle famiglie nelle regioni italiane” (il documento integrale è consultabile sul sito www.confcommercio.it) .

Analizzando quanto accaduto negli ultimi anni, si conferma la tendenza al ridimensionamento della quota dei consumi effettuati dalle famiglie del Sud rispetto al totale nazionale. Questa tendenza, emersa già da tempo, si è consolidata negli anni più recenti, durante i quali la quota è passata dal 27,2% del 2007 al 26,6% del 2011.
Il fenomeno rispecchia, oltre alle dinamiche registrate dalla spesa delle famiglie nelle diverse macroaree, anche gli effetti dei fenomeni demografici. Tra il 1995 ed il 2011 è, infatti, diminuita in modo significativo la quota della popolazione residente nel Mezzogiorno (dal 36,4% al 34,4%). Tale tendenza riflette sia una crescente presenza degli stranieri residenti nel Centro-Nord sia la ripresa dei flussi migratori interni da Sud a Nord. Quest’ultimo fenomeno ha determinato, tra il 1955 ed il 2008, un saldo negativo tra iscrizioni e cancellazioni della popolazione residente nel Mezzogiorno pari ad oltre 4 milioni, con la verosimile conseguenza di spostare le migliori competenze e abilità dal Mezzogiorno al resto dell’Italia e di ridurre il potenziale di sviluppo dell’area.

Dopo la recessione del biennio 2008-2009, che ha colpito in modo significativo tutto il territorio nazionale, assumendo toni particolarmente accentuati nel Sud, la riduzione della domanda per consumi proprio nel Mezzogiorno si è protratta, secondo le nostre stime, anche nel 2010.

Il fenomeno riflette, oltre a una minore capacità di spesa delle famiglie dell’area – il reddito disponibile pro capite nel Mezzogiorno è pari a poco più del 65% di quello del Nord – anche i diversi andamenti registrati dalla popolazione residente sul territorio, come detto stabile o in riduzione in molte regioni del Sud.
Un ruolo di rilievo è giocato anche dalla propensione al consumo, cioè la frazione di reddito disponibile destinata a spesa per consumi. Nel caso dell’analisi territoriale si tratta di un’indicazione approssimata, in quanto i consumi sul territorio si riferiscono anche alla spesa effettuata da soggetti (i turisti, per esempio) che non hanno percepito il reddito disponibile cui i consumi sono rapportati al consumo. Questa distorsione è mediamente non grave.

Nel 2007 il rapporto tra consumi sul territorio e reddito disponibile delle famiglie consumatrici si approssimava nel Mezzogiorno al 95%, con margini ridotti per un suo aumento, mentre nel Nord-Est il valore era pari a poco più dell’88%.
Le regioni hanno risposto alla crisi in modo disomogeneo, nei tempi e nelle dimensioni della reazione. In molte regioni del Mezzogiorno, la dinamica recessiva dei consumi, che aveva già assunto toni abbastanza marcati nel 2008, si è accentuata nel 2009, comportando, almeno in media, situazioni di profondo disagio specialmente in Sicilia, Campania e Molise.
Particolarmente articolato sotto il profilo regionale è risultato l’andamento dei consumi nel 2010, anno in cui solo nelle regioni del Nord-Est sono stati recuperati i livelli del 2007.
Solo nel 2011 la spesa delle famiglie dovrebbe tornare a registrare una dinamica positiva su tutto il territorio italiano, senza peraltro mostrare la presenza di processi espansivi di apprezzabile entità.

Considerando i consumi reali rapportati alla popolazione, emerge come la loro dinamica sia da troppo tempo troppo esigua.
Posti pari a 100, per ciascuna regione, i consumi per abitante nel 1995, si rileva come complessivamente nel 2007 questo indicatore sia aumentato di poco meno di 14 punti percentuali, un risultato quasi completamente acquisito nella seconda parte degli anni ’90. Infatti, tra il 2000 e il 2007, la crescita dei consumi pro capite è praticamente nulla (l’indice per l’Italia passa da 112,7 a 113,8, con una variazione dell’1% cumulato su sette anni).

Dopo la recessione, che ha determinato un brusco ridimensionamento dell’indicatore nel biennio 2008-2009, l’uscita dalla crisi risulta, secondo le nostre stime, particolarmente lenta, non permettendo alle famiglie di tornare entro il 2011 sui livelli di consumo sperimentati nel 2007. In 17 regioni su 20, a fine 2011 il livello dei consumi reali pro capite potrebbe risultare inferiore a quello registrato nel 2000. solo Molise, Friuli Venezia Giulia e Basilicata presenterebbero livelli di spesa reale pro capite moderatamente superiori a quelli registrati 11 anni prima.

Per evidenziare le implicazioni prospettiche degli attuali insufficienti ritmi di crescita dei consumi, è stato proiettato al 2017 il tasso di medio di variazione osservato e stimato tra il 2008 e il 2011 per i consumi regionali complessivi. Allo stesso modo sono state proiettate le tendenze attuali della variazione della popolazione residente regione per regione.
La tabella riassume i risultati di questo semplice esercizio meccanico (che non può essere in alcun modo considerato una previsione ma soltanto l’estensione al futuro di ciò che sta accadendo in questi ultimi anni).

Date le suddette ipotesi, il ritardo del Mezzogiorno si acuirebbe. Non soltanto la popolazione crescerebbe a un tasso medio dello 0,2% rispetto allo 0,4% del Nord e allo 0,5% del Centro, ma i consumi pro capite ristagnerebbero, a fronte di un pure esiguo incremento della spesa reale per la media Italia pari allo 0,6%.

Rispetto al 2007, posto pari a 100, nel 2017, cioè dieci anni dopo, il Mezzogiorno avrà perso il 4,5% in termini di consumi reali per abitante, il Centro poco meno del 2% e il Nord supererebbe i livelli pre-recessione (101,6 il Nord-Ovest e 104 il Nord-Est).

In termini complessivi, la spesa per consumi movimentata nel Mezzogiorno continuerebbe a ridursi sul totale nazionale: valeva quasi il 29% nel 1995 e scenderebbe a circa il 25% nel 2017.
Questo esercizio non ha altro significato se non quello di sottolineare che in assenza di un mutamento di rotta nelle dinamiche economiche territoriali non è verosimile ipotizzare una spinta alla crescita da parte delle regioni del Sud, le quali, per la combinazione di ragioni demografiche ed economiche, verrebbero ulteriormente marginalizzate.

I tassi di crescita dei consumi regionali, anche nei territori più dinamici, sono troppo ridotti per non prospettare un peggioramento delle aspettative delle famiglie italiane, a meno che non si presentino nel prossimo futuro indizi di ricostruzione della fiducia e del benessere perduti durante la recessione e ancora oggi per nulla recuperati.