Nessuno presta più soldi all’Italia? Il governo aumenta le tasse e spia il cittadino

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La manovra finanziaria di ferragosto, cambiata e modificata innumerevoli volte, deve fronteggiare una difficile crisi di fiducia degli investitori nei confronti del nostro paese. Il problema è che, tra dibattiti politici, dinamiche parlamentari e astruserie economiche il comune cittadino rischia di non capirci più nulla. Cerchiamo allora di offrire un quadro il più possibile realistico di quanto sta accadendo. Punto primo: lo Stato italiano ogni anno spende più di quanto incassa.

Gli incassi dello stato italiano sono essenzialmente quelli fiscali, includendo tutte le imposte, le tasse e i contributi che giungono ogni anno sui suoi conti. Mediamente la differenza tra incassi e spese è di circa 60 miliardi di euro l’anno, soldi che lo stato italiano non ha e che quindi si fa prestare. Come? Emettendo titoli di stato (Bot, CCt, Btp eccetera) che non sono altro che cambiali firmate e consegnate dallo stato a chi gli effettua il prestito. Non solo. Lo Stato italiano ha accumulato sinora debiti per oltre 1800 miliardi di euro e di questi una quota parte ogni anno giungono a scadenza. Ma essendo lo stato italiano in deficit non ha i soldi per rimborsarli e, quindi, deve farsi prestare anche le somme per rimborsare i titoli che ogni anno vengono a scadenza. E chi presta tutti questi soldi allo stato italiano?

Occhio e croce un 60% sono prestati da cittadini e istituzioni bancarie italiane, un 40% da soggetti esteri. Detto questo si può capire meglio cosa è successo ad agosto e cosa si sta continuando a manifestare anche in questo periodo di inizio autunno. Per una serie di motivi qualcuno ha cominciato a porsi una domanda che nessuno sinora si era posto. Mi conviene prestare soldi allo Stato italiano? E, soprattutto, sarà capace di rimborsarmi quando il prestito arriva a scadenza? E questo domanda se la sono posti soprattutto gli investitori esteri che non hanno garanzie particolari nel caso in cui l’Italia dicesse “non ti posso restituire i soldi”. A differenza di un mutuo ipotecario o di un prestito assistito da garanzie la sottoscrizione del titolo di stato equivale ad un atto di pura fiducia nei confronti del debitore. Come è accaduto con l’Argentina di dieci anni fa il creditore incontra enormi difficoltà nell’avviare procedure di riscossione coattiva nei confronti di uno stato sovrano e di solito si deve accontentare di una ristrutturazione che equivale in soldoni a riavere solo una parte dei propri soldi magari in un lasso di tempo molto lungo (come è accaduto proprio con l’Argentina). Tutto ciò finora era giustificato dal fatto che gli stati erano considerati debitori arcisicuri.

Si tratta però di un’illusione ottica, di una verità che tutti danno per assodato solo perché tutti pensano che sia vero ma che, nei fatti, non è affatto vera. Gli stati falliscono da sempre e anche gli Stati Uniti, recentemente, hanno subito un abbassamento del loro livello di qualità di debitore. Il punto sta solo nei conti dello stato che chiede danaro. La manovra italiana risponde a questa esigenza: migliorare i propri conti per poter continuare a chiedere soldi ai prestatori. E dopo molto dibattito lo stato italiano ha scelto la solita, infallibile strada: aumentare le tasse. Ossia trovare nelle tasche dei propri cittadini le risorse per ridurre e azzerare lo sbilancio annuale dei propri conti. L’aumento dell’Iva in particolare è una misura che incrementa di diversi miliardi il gettito dello stato italiano ma deprime i consumi, perché l’Iva viene pagata dai consumatori finali dei beni, dai semplici cittadini che bevono un caffè. Tra l’altro farà aumentare il costo della benzina, perché l’iva sulla benzina passerà dal 20% al 21%. Il governo poi sostiene di avere avviato una dura lotta all’evasione fiscale.

Il punto è che le norme per il contrasto all’evasione fiscale sono un coacervo di misure che creeranno, al di là del gettito (su cui non saremmo molto ottimisti come fa invece Giulio Tremonti) il Grande catasto dei cittadini italiani: Ogni abitante della penisola infatti sarà tracciato e spiato in tutti i suoi movimenti. Basterà una spesa superiore a 2500 euro per inserire l’acquirente in un grande archivio elettronico custodito dal governo italiano. Certo l’evasione è un problema serio ma sul piatto della bilancia bisogna mettere anche il diritto del cittadino a non essere ostaggio del proprio governo, specie in una nazione come l’Italia dove il numero di logge segrete e massoniche sta arrivando a P10000. Meglio sarebbe stato, allora, puntare sul conflitto di interesse tra consumatore e erogatore di servizi e venditore dei beni. Rendere gli scontrini e più in generale i consumi in parte detraibile avrebbe dato un sollievo fiscale alle famiglie italiane e avrebbe portato, senza necessità di scrutare dal buco della serratura, alla sicura emersione di miliardi di euro di nuova base imponibile e di nuovo gettito fiscale.