L’Italia è indubbiamente un grande Paese. Che poggia però su basi culturali e civili molto fragili, probabilmente troppo fragili se paragonate a quelle di altri paesi e nazioni. Un esempio ci è fornito dall’attualità. La Libia liberata da Gheddafi è un paese privo di credibili strutture di governo e di istituzioni. Certo Gheddafi è stato un dittatore crudele e psicologicamente deviato ma il fatto che la Libia sia stata anche una colonia italiana può far venire qualche pensiero. Tanto più se si paragona la Libia con le ordinate file di votanti della limitrofa Tunisia, anch’essa vittima di una feroce dittatura ma dal passato coloniale francese. E se si va poi a vedere quanto è accaduto e sta accadendo in Somalia, altra colonia italiana dove lo Stato si è praticamente disintegrato da decenni qualche ulteriore dubbio sulle capacità civilizzatrici dell’Italia può anche venire. Certo ci vorrebbero trattati storici per spiegare la difficile costruzione ancora non risolta (vedi la dialettica Nord-Sud) dell’Italia come nazione. Il punto però è di tempo per raffinate analisi storico-demografiche noi, intesi come nazione, non ne abbiamo più. Il sostanziale commissariamento del nostro paese da parte dell’Unione europea pone indubbiamente l’urgenza di dare risposte complesse ad una situazione profonda e radicata. Come si fa ad essere un player affidabile e credibile essendo l’Italia? I nostri limiti infatti, pur affondando in una situazione dei conti pubblici non esaltante, sono per lo più limiti di percezione. Il nostro primo ministro, Silvio Berlusconi è chiaramente considerato non più all’altezza del ruolo dagli altri partner europei, in specie da coloro che detengono il potere maggiore nell’abito dell’Unione europea ossia Francia e Germania. Sarà pure una cosa ingiusta (in definitiva il primo ministro lo dobbiamo scegliere noi non certo Angela Merkel) ma il problema resta soprattutto percettivo, psicologico e di mancanza di fiducia. E siccome nel mondo dell’economia, come insegnava Keynes la cosa più importante è la fiducia, un’Italia percepita già nella sua massima espressione istituzionale come non credibile è un grande problema. Anche perché Berlusconi è solo la punta di un iceberg di diffidenza. Dietro la sua sagome e la sua barzelletta scacciapensieri troviamo tutti i luoghi comuni, spesso come tutti i luoghi comuni anche veri, sull’Italia e sugli italiani. Scansafatiche, furbi, levantini, abituati ad arrangiare e a fregare il prossimo, e quindi mangia spaghetti, pizza e mandolino. Così nessuno va più a vedere la reale situazione italiana, in cui ad un debito pubblico tra i più alti del mondo corrisponde un attivo pubblico tra i più alti del mondo in grado di ripagare lo stesso debito. Nessuno va a vedere il risparmio privato degli italiani enorme anche togliendo tutti i debiti dei cittadini e della famiglie. Sicuramente poi la bassa crescita italiana rappresenta un problema. Ma siamo poi tanto sicuri che la crescita degli Stati Uniti, drogata da debito pubblico, privato e aziendale sia più sana e sostenibile di quella italiana, fondata su milioni di piccoli e medi imprenditori con tassi di creatività e di innovazione tra i più alti del mondo? Insomma nella società dell’immagine, l’Italia viene valutata in base all’immagine che oggi da di sé e che è sicuramente frutto della sua complessa, articolata e ancora non del tutto risolta storia. Ma come non si fa sempre pesare alla Germania Hitler ma anche il primo conflitto mondiale e forse anche il massacro di Teutoburgo così esagerare su un’immagine dell’Italia che non è del tutto corrispondente alla realtà significa solo voler approfittare di una condizione di debolezza che, tuttosommato proprio noi italiani abbiamo voluto infliggere a noi stessi.
di Pietro Colagiovanni