Ancora la Cassazione Civile contro i processi lumaca.

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L’importo liquidato a titolo di equo indennizzo per l’irragionevole durata del processo, secondo la legge Pinto, non può essere inferiore a euro 750 per ogni anno di ritardo per i primi tre anni e a euro 1000 per i successivi.

Lo “Sportello dei Diritti” del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori è intervenuto numerose volte sull’annoso problema della lentezza dei processi italiani causa non solo di continue condanne dello Stato da parte della Corte di Giustizia europea, ma soprattutto di conseguenze negative per i cittadini costretti a subire le ansie e le attese per decisioni che non arrivano mai o che arrivano dopo anni ed anni di rinvii.

La legge 89/2001 nota a tutti come «legge Pinto» e che ha superato il decimo anno dall’entrata in vigore ha tentato di porre un argine ai danni causati alla cittadinanza per tutelarla di fronte all’irragionevole durata delle cause, che secondo giurisprudenza corrisponderebbe a tre anni per il primo grado di giudizio, due anni per il secondo e un anno per ciascuna fase successiva, stabilendo la possibilità di ottenere un “equo indennizzo” a fronte degli irragionevoli ritardi dei processi.

Con alcune recenti decisioni della Cassazione (2009/16086; 2010/819), gli ermellini avevano posto alcuni paletti per definire l’entità dell’indennizzo liquidabile: “La quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata. Tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno”.

A tal proposito è utile riportare la recentissima sentenza n. 20689 del 07.10.2011 sempre della Suprema Corte (Prima sezione) che ha precisato che “In materia di irragionevole durata del processo, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della legge 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata. Il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno”.

Nel caso di specie, il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva proposto ricorso per cassazione, avverso il decreto in data 29 maggio 2009 con il quale la Corte di Appello di Roma lo ha condannato al pagamento in favore di G.C., (+Altri) della somma di Euro 6.500,00 ciascuno, oltre agli interessi legali a decorrere dalla data del decreto, a titolo di equo indennizzo per la violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso davanti al Tar Lazio il 30 luglio 1997 e definito con sentenza del 13 novembre 2006.

Al di là del merito della sentenza che ha comunque sancito la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze, e quindi il diritto all’indennizzo del danno, Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, si rivolge alla cittadinanza affinché prendendo spunto da tali decisioni continui a promuovere l’azione civile nei confronti dello Stato per vedersi riconosciuto un sollievo economico a fronte delle sofferenze e delle ansie dovute alla lungaggine dei processi che dovrebbe servire anche da impulso per accelerare le riforme necessarie e per fornire uno stimolo ulteriore affinché si doti l’amministrazione giudiziaria degli strumenti necessari per una Giustizia più rapida ed efficace.

Anche alla luce delle decisioni in commento che confermano l’orientamento giurisprudenziale per una tutela più efficace dei cittadini, lo “Sportello dei Diritti” continua e continuerà nella sua attività di tutela legale di tutte le vittime della giustizia lenta.